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La tutela della privacy è solo uno degli aspetti legati al problema
dell’app governativa “immuni”. E neanche il più importante. La questione
principale infatti è quella relativa all’uso della tecnologia con
funzione chiaramente sostitutiva della responsabilità politica dello Stato.
È questa la sintesi di un articolo di assoluto interesse apparso sul
“Guardian” la scorsa settimana. Detto in altre parole (e calato dentro
il nostro contesto). Siccome lo Stato
liberista non ha le risorse per adottare tutte le misure necessarie a
risolvere un dato problema (nel nostro caso la pandemia), allora si
pensa di mitigarne gli effetti limitando la libertà personale dei
cittadini. È più pratico e più veloce. E soprattutto costa infinitamente
meno rispetto a un piano miliardario di investimenti pubblici.
Pensateci, perché mai un governo dovrebbe investire montagne di denaro
per risolvere problemi strutturali della società liberista se può
imporre l’uso di strumenti informatici?
Il trasporto pubblico fa schifo? Anziché comprare nuovi mezzi faccio
la app che “efficienta” l’uso dei bus da parte dei cittadini. Non ho le
risorse sufficienti per fare milioni di tamponi, aumentare la
disponibilità di posti letto in ospedale, comprare macchinari
e assumere medici e poliziotti? Chiudo i cittadini in casa e quando
oramai sono sull’orlo dell’esasperazione (e della povertà) li obbligo ad
uscire di casa solo con l’app. Risparmio un sacco di soldi e limito il
problema. E chi se ne frega delle libertà costituzionali. Ecco perché
alla radice di questo modus operandi non c’è (solamente) il pericolo
per la privacy. Ma quello, oggi più concreto che mai, che le nostre
“democrazie” si trasformino in Stati ad elevata sorveglianza attiva al
fine di sopperire alle gigantesche falle del sistema
pubblico di organizzazione e funzionamento della società. Che cioè si
ricorra sempre di più ai big data per affrontare i problemi strutturali
del nostro presente, compresi il modello di produzione e le
disuguaglianze da esso derivanti.
Che quindi si faccia strada un nuovo pensiero politico che ritiene
molto più conveniente influenzare pesantemente il comportamento dei
singoli anziché affrontare alla radice i problemi di un dato modello di
sviluppo, nel nostro caso la società capitalista. Ancora una volta
quindi la nostra Costituzione si erge a baluardo non tanto di un singolo diritto (la libertà individuale) quanto piuttosto di una complessiva idea di Stato
e del suo ruolo pubblico come del principale attore e risolutore dei
problemi della società. Cedere su “immuni” quindi non significa
transigere solo su uno strumento temporaneo e di “pubblico interesse”.
Significa accettare, ancora una volta, che lo Stato
abdichi al suo ruolo principale: prendersi cura dei suoi cittadini. Con
l’aggravante del creare un pericolosissimo precedente dal quale sarà
molto difficile tornare indietro.
(Antonio Di Siena, “‘Immuni’, perché l’attacco alla privacy non è il problema più importante che pone”, da “L’Antidiplomatico” del 21 aprile 2020).
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