Il presidente del Tribunale e altri nove giudici firmano una lettera aperta che critica i provvedimenti restrittivi, laddove non ci sono rischi. Lo scrittore Paolo Cognetti: questi luoghi non possono essere paragonati alle città
Ma che senso ha dare la caccia e
multare gli abitanti di zone montuose e delle campagne che camminano da
soli per i loro campi o nei boschi vicino a casa? Qualche cosa si muove
in Valle D’Aosta. Tra petizioni firmate da migliaia di residenti e
proteste sui social contro atteggiamenti considerati come minimo troppo
rigidi da parte delle forze dell’ordine, sono in tanti a chiedere misure
di prevenzione meno restrittive contro il coronavirus. L’ultima
manifestazione di fastidio in ordine di tempo è arrivata ieri con la
«lettera aperta» firmata da nove magistrati residenti in Valle D’Aosta e
intitolata «Riflessioni in tempo di coronavirus». I magistrati invitano
ad una revisione critica dei provvedimenti «fortemente limitativi di
diritti e libertà costituzionalmente garantiti ad ogni cittadino» e
mirati a limitare la pandemia. Provvedimenti che però, secondo i
firmatari della lettera, hanno portato ad «interventi repressivi di
condotte che solo in parte possono ritenersi conformi a quelle vietate
con la normativa restrittiva introdotta dal Governo e dalle Autorità
regionali e che, talora, paiono in effetti prive di qualsiasi
pericolosità per i beni della salute e dell’incolumità pubblica».
Contro il limite di 300 metri da casa
Che
male può fare il ragazzo che solo corre nel bosco cinque chilometri da
casa, oppure il contadino di una frazione isolata a mille metri di quota
che semina patate nel suo campo tre chilometri dalla sua stalla? I
magistrati criticano esplicitamente le interpretazioni e applicazioni
dei provvedimenti governativi in senso «ulteriormente restrittivo
nell’ambito del territorio regionale della Valle D’Aosta per effetto
dell’ordinanza del 19 marzo». E ricordano i casi, ripresi dai social
locali, di persone multate per essersi «allontanate troppo dalla propria
abitazione», sottolineando che comunque il blocco dell’attività motoria
può causare gravi problemi fisici specie «di carattere
cardiocircolatorio». Preso di mira è in particolare il limite dei 300
metri per chi risiede per esempio ai margini di un bosco o sotto una
grande montagna. Che senso ha limitare il movimento fisico a chiunque
abiti «nelle zone rurali» o comunque isolate? E che dire dei luoghi dove
sul sentiero si può soltanto incontrare «con un poco di fortuna forse
qualche marmotta, o capriolo, o volpe»?
No alle attività estreme
I
magistrati certo mettono in guardia sull’esercizio di attività estreme,
per esempio l’arrampicata, che rischia di «sovraccaricare» gli ospedali
già oberati. Il senso dell’appello è quello di essere ragionevoli e
soprattutto rispettare al massimo ove possibile le libertà fondamentali
del cittadino, sempre ovviamente tenendo a mente che occorrono misure
adeguate per combattere il virus. Sono concetti che erano già stati
espressi da una lettera pubblica diffusa tre giorni fa da un gruppo di
valdostani per «L’allentamento delle misure restrittive relative alle
attività all’aperto». Ieri sera stava sfiorando le 7.000 firme di
sostegno. «In Valle siamo un popolo di montanari. Siamo abituati alle
fatiche e alle restrizioni, al lavoro manuale, al freddo e alla
solitudine, ma non a vivere lontani dai nostri boschi, dai pascoli, dai
torrenti. Un montanaro chiuso in casa si ammala nel corpo e nello
spirito», recita l’incipit. Il principio è lo stesso: ovvio che sono
necessarie le restrizioni, ma con ragionevolezza. È molto più pericoloso
stare in fila con la mascherina in un supermarket cittadino, che salire
in solitaria un sentiero alpino. Non ha senso vietarlo.
Il Premio Strega Paolo Cognetti
Tra i firmatari c’è anche lo scrittore Paolo Cognetti (Premio Strega nel 2017 con Le Otto Montagne),
che trascorre lunghi periodi nella sua malga in Val d’Ayas, alle
pendici del Monte Rosa. «I luoghi di montagna, ma anche le zone rurali
in collina o pianura, non possono venire equiparate alle città. Sappiamo
che nella nostra epoca dall’urbanizzazione trionfante le città dettano
legge su tutto il territorio. Però è un errore», dichiara al Corriere.
A suo parere proprio la cieca autoreferenzialità della cultura e dei
modi di vedere urbani hanno offuscato la diversità delle realtà montane o
comunque rurali. Aggiunge Cognetti: «Nel lungo periodo le forze
dell’ordine devono per forza lasciare spazio al senso di responsabilità
dell’individuo. Si dimentica che nei villaggi alpini il senso di
comunità resta molto forte, sono loro i primi a regolarsi. Anche per
questo ho promosso il nostro appello e condivido la lettera dei
magistrati in difesa dei diritti costituzionali stravolti
dall’emergenza». Si dice tra l’altro d’accordo con l’architetto Stefano
Boeri, che prevede «un futuro nei vecchi borghi fuori dalle città».
Però, commenta Cognetti, «la fuga dalla città comporta la costruzione di
servizi e sostegno agli insediamenti rurali».
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