giovedì 23 aprile 2020

Coronavirus, Valle d’Aosta: la protesta dei magistrati. «Passeggiare non è illegale»

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Il presidente del Tribunale e altri nove giudici firmano una lettera aperta che critica i provvedimenti restrittivi, laddove non ci sono rischi. Lo scrittore Paolo Cognetti: questi luoghi non possono essere paragonati alle città

Coronavirus, Valle d'Aosta: la protesta dei magistrati. «Passeggiare non è illegale» Un sentiero in Valle d’Aosta
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Ma che senso ha dare la caccia e multare gli abitanti di zone montuose e delle campagne che camminano da soli per i loro campi o nei boschi vicino a casa? Qualche cosa si muove in Valle D’Aosta. Tra petizioni firmate da migliaia di residenti e proteste sui social contro atteggiamenti considerati come minimo troppo rigidi da parte delle forze dell’ordine, sono in tanti a chiedere misure di prevenzione meno restrittive contro il coronavirus. L’ultima manifestazione di fastidio in ordine di tempo è arrivata ieri con la «lettera aperta» firmata da nove magistrati residenti in Valle D’Aosta e intitolata «Riflessioni in tempo di coronavirus». I magistrati invitano ad una revisione critica dei provvedimenti «fortemente limitativi di diritti e libertà costituzionalmente garantiti ad ogni cittadino» e mirati a limitare la pandemia. Provvedimenti che però, secondo i firmatari della lettera, hanno portato ad «interventi repressivi di condotte che solo in parte possono ritenersi conformi a quelle vietate con la normativa restrittiva introdotta dal Governo e dalle Autorità regionali e che, talora, paiono in effetti prive di qualsiasi pericolosità per i beni della salute e dell’incolumità pubblica».
Contro il limite di 300 metri da casa
Che male può fare il ragazzo che solo corre nel bosco cinque chilometri da casa, oppure il contadino di una frazione isolata a mille metri di quota che semina patate nel suo campo tre chilometri dalla sua stalla? I magistrati criticano esplicitamente le interpretazioni e applicazioni dei provvedimenti governativi in senso «ulteriormente restrittivo nell’ambito del territorio regionale della Valle D’Aosta per effetto dell’ordinanza del 19 marzo». E ricordano i casi, ripresi dai social locali, di persone multate per essersi «allontanate troppo dalla propria abitazione», sottolineando che comunque il blocco dell’attività motoria può causare gravi problemi fisici specie «di carattere cardiocircolatorio». Preso di mira è in particolare il limite dei 300 metri per chi risiede per esempio ai margini di un bosco o sotto una grande montagna. Che senso ha limitare il movimento fisico a chiunque abiti «nelle zone rurali» o comunque isolate? E che dire dei luoghi dove sul sentiero si può soltanto incontrare «con un poco di fortuna forse qualche marmotta, o capriolo, o volpe»? 

No alle attività estreme
I magistrati certo mettono in guardia sull’esercizio di attività estreme, per esempio l’arrampicata, che rischia di «sovraccaricare» gli ospedali già oberati. Il senso dell’appello è quello di essere ragionevoli e soprattutto rispettare al massimo ove possibile le libertà fondamentali del cittadino, sempre ovviamente tenendo a mente che occorrono misure adeguate per combattere il virus. Sono concetti che erano già stati espressi da una lettera pubblica diffusa tre giorni fa da un gruppo di valdostani per «L’allentamento delle misure restrittive relative alle attività all’aperto». Ieri sera stava sfiorando le 7.000 firme di sostegno. «In Valle siamo un popolo di montanari. Siamo abituati alle fatiche e alle restrizioni, al lavoro manuale, al freddo e alla solitudine, ma non a vivere lontani dai nostri boschi, dai pascoli, dai torrenti. Un montanaro chiuso in casa si ammala nel corpo e nello spirito», recita l’incipit. Il principio è lo stesso: ovvio che sono necessarie le restrizioni, ma con ragionevolezza. È molto più pericoloso stare in fila con la mascherina in un supermarket cittadino, che salire in solitaria un sentiero alpino. Non ha senso vietarlo.
Il Premio Strega Paolo Cognetti
Tra i firmatari c’è anche lo scrittore Paolo Cognetti (Premio Strega nel 2017 con Le Otto Montagne), che trascorre lunghi periodi nella sua malga in Val d’Ayas, alle pendici del Monte Rosa. «I luoghi di montagna, ma anche le zone rurali in collina o pianura, non possono venire equiparate alle città. Sappiamo che nella nostra epoca dall’urbanizzazione trionfante le città dettano legge su tutto il territorio. Però è un errore», dichiara al Corriere. A suo parere proprio la cieca autoreferenzialità della cultura e dei modi di vedere urbani hanno offuscato la diversità delle realtà montane o comunque rurali. Aggiunge Cognetti: «Nel lungo periodo le forze dell’ordine devono per forza lasciare spazio al senso di responsabilità dell’individuo. Si dimentica che nei villaggi alpini il senso di comunità resta molto forte, sono loro i primi a regolarsi. Anche per questo ho promosso il nostro appello e condivido la lettera dei magistrati in difesa dei diritti costituzionali stravolti dall’emergenza». Si dice tra l’altro d’accordo con l’architetto Stefano Boeri, che prevede «un futuro nei vecchi borghi fuori dalle città». Però, commenta Cognetti, «la fuga dalla città comporta la costruzione di servizi e sostegno agli insediamenti rurali».
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