Per la prima volta uno studio ha dimostrato che l'aria inquinata respirata dalle madri penetra nella placenta sul lato fetale.
Particelle di inquinamento atmosferico sono state trovate sul lato fetale della placenta.
Una scoperta che indica come i bambini, ancor prima di nascere, siano
direttamente esposti al nero di carbonio (o nerofumo) prodotto dal
traffico automobilistico e dal consumo di carburante.
La ricerca, condotta da un team della Hasselt University (Belgio) e pubblicata sulla rivista Nature Communications, è il primo studio a dimostrare che la barriera placentare può essere penetrata da particelle inspirate dalla madre. I ricercatori, infatti, hanno trovato migliaia di minuscole particelle per millimetro cubo di tessuto in ogni placenta analizzata.
I combustibili fossili, insomma, lasciano il segno anche nella placenta. Si tratta della prima prova diretta ottenuta su donne che vivono in aree inquinate. Il legame tra esposizione all’inquinamento atmosferico e aumento degli aborti, nascite premature e peso basso alla nascita - ricorda il Guardian - è già ben definito. Ma i risultati di questo studio suggeriscono qualcosa in più: ossia che a causare questi problemi possano essere le particelle stesse, e non “solo” la risposta infiammatoria che l’inquinamento scatena nelle madri.
Di conseguenza, rilevano gli esperti, comprendere come queste particelle influenzano la gravidanza, attraverso effetti diretti sul feto o effetti indiretti attraverso la madre, è necessario per migliorare l’assistenza delle donne in gravidanza che vivono nelle aree inquinate.
La fase fetale - ha spiegato Tim Nawrot, autore principale dello studio - ”è il periodo più vulnerabile della vita. Tutti i sistemi di organi sono in fase di sviluppo. Per la protezione delle generazioni future, dobbiamo ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico”.
Usando tecniche di immagine ad altissima risoluzione, come quelle possibili grazie a laser a impulsi di luce ad altissima frequenza (laser a femtosecondo), i ricercatori hanno analizzato sezioni di placenta raccolte da 28 gravidanze di cui cinque che si sono concluse prima del termine. È stato scoperto che le particelle erano presenti in tutte le placente, ma i livelli più alti sono stati trovati in quelle di 10 madri che vivevano in zone con alti livelli di particelle di nero di carbonio in atmosfera (2,42 microgrammi per metro cubo).
“I nostri risultati - scrivono gli autori - sono i primi basati su dati raccolti in condizioni di vita reale e dimostrano che la barriera placentare umana non è impenetrabile per queste particelle, in accordo con quanto riportato da altri studi condotti in condizioni di laboratorio”. Tuttavia, sottolineano che “sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere se l’accumulo di particelle di nero di carbonio nella placenta sia responsabile degli effetti avversi associati all’esposizione all’inquinamento atmosferico durante la gravidanza”.
La ricerca, condotta da un team della Hasselt University (Belgio) e pubblicata sulla rivista Nature Communications, è il primo studio a dimostrare che la barriera placentare può essere penetrata da particelle inspirate dalla madre. I ricercatori, infatti, hanno trovato migliaia di minuscole particelle per millimetro cubo di tessuto in ogni placenta analizzata.
I combustibili fossili, insomma, lasciano il segno anche nella placenta. Si tratta della prima prova diretta ottenuta su donne che vivono in aree inquinate. Il legame tra esposizione all’inquinamento atmosferico e aumento degli aborti, nascite premature e peso basso alla nascita - ricorda il Guardian - è già ben definito. Ma i risultati di questo studio suggeriscono qualcosa in più: ossia che a causare questi problemi possano essere le particelle stesse, e non “solo” la risposta infiammatoria che l’inquinamento scatena nelle madri.
Di conseguenza, rilevano gli esperti, comprendere come queste particelle influenzano la gravidanza, attraverso effetti diretti sul feto o effetti indiretti attraverso la madre, è necessario per migliorare l’assistenza delle donne in gravidanza che vivono nelle aree inquinate.
La fase fetale - ha spiegato Tim Nawrot, autore principale dello studio - ”è il periodo più vulnerabile della vita. Tutti i sistemi di organi sono in fase di sviluppo. Per la protezione delle generazioni future, dobbiamo ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico”.
Usando tecniche di immagine ad altissima risoluzione, come quelle possibili grazie a laser a impulsi di luce ad altissima frequenza (laser a femtosecondo), i ricercatori hanno analizzato sezioni di placenta raccolte da 28 gravidanze di cui cinque che si sono concluse prima del termine. È stato scoperto che le particelle erano presenti in tutte le placente, ma i livelli più alti sono stati trovati in quelle di 10 madri che vivevano in zone con alti livelli di particelle di nero di carbonio in atmosfera (2,42 microgrammi per metro cubo).
“I nostri risultati - scrivono gli autori - sono i primi basati su dati raccolti in condizioni di vita reale e dimostrano che la barriera placentare umana non è impenetrabile per queste particelle, in accordo con quanto riportato da altri studi condotti in condizioni di laboratorio”. Tuttavia, sottolineano che “sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere se l’accumulo di particelle di nero di carbonio nella placenta sia responsabile degli effetti avversi associati all’esposizione all’inquinamento atmosferico durante la gravidanza”.
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