La ricerca di sempre maggiori quantità d’acqua per servire la Capitale mette di nuovo in crisi i rapporti di Roma con le comunità vicine. Dopo che i primi giorni di settembre il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche ha respinto il ricorso di Acea e Roma Capitale contro il provvedimento regionale che imponeva lo stop ai prelievi dal Lago di Bracciano, riconoscendo che la riduzione del livello del lago nell’estate 2017 non era dovuta esclusivamente alla crisi idrica legata ai cambiamenti climatici ma anche alle captazioni di Acea, ecco insorgere il fronte reatino.

Rieti, presentati ricorsi contro concessioni sorgenti acqua a Roma: “Scadute o inesistenti”. Soddisfano l’80% fabbisogno della Capitale

In questi giorni sono stati infatti presentati due ricorsi per ottenere l’annullamento della “concessione di derivazione dalle sorgenti del Peschiera nei Comuni di Cittaducale e Castel S. Angelo e dalle sorgenti Le Capore nei Comuni di Frasso Sabino e Casaprota, per l’approvvigionamento idrico di Roma Capitale” rilasciata dalla Regione Lazio a favore della città capitolina e della multiutility. E questa volta la partita è ancora più grande, visto che copre l’80% del fabbisogno idrico della Capitale. A presentare i ricorsi al Tribunale Superiore delle Acque pubbliche contro la Regione Lazio e nei confronti di Roma Capitale ed Acea Ato 2 spa, sono stati lo stesso comune di Casaprota, in provincia di Rieti, al centro della concessione, e l’associazione ambientalista Postribù Onlus.
Proprio loro sono tra gli animatori della rete di cittadini e associazioni FarfaSorGente che difendono le due sorgenti del Farfa, protetto al livello comunitario. Una battaglia silenziosa, contro il prosciugamento del fiume a detta degli attivisti operato da Acea, iniziata nello stesso periodo in cui i riflettori erano tutti puntati sul Lago di Bracciano.
“Durante una delle iniziative che portiamo avanti da anni contro il prelievo abusivo di quasi 5mila litri al secondo che ha ridotto il fiume Farfa ad un torrente, – dichiarano gli attivisti di FarfaSorGente – abbiamo cercato di comprendere le ragioni dell’ulteriore repentino abbassamento del corso d’acqua avvenuto il 23 luglio 2017, scoprendo che Acea aveva attivato dei sistemi di
sbarramento e pompaggio a valle della captazione per prelevare anche l’ultima risorgiva di acqua. Ma cosa ancora più incredibile, una parte di quest’acqua veniva convogliata nel canale di derivazione dell’ENEL per la produzione di energia idroelettrica e non nell’acquedotto che serve Roma. Il tutto mentre migliaia di persone venivano lasciate senz’acqua”.
Da qui è partita una mobilitazione. Cittadini, comuni e associazioni hanno lanciato una petizione su Change.org che in pochi giorni ha raccolto oltre 10mila firme riuscendo a interrompere momentaneamente l’ulteriore prelievo che andava ad aggravare la situazione. La soluzione è però, appunto, temporanea, per questo gli attivisti vogliono farla diventare definitiva tramite i ricorsi. Un “disastro ambientale” in atto, come ha denunciato anche lo storico sindaco di Casaporta, Marcello Ratini, l’unico primo cittadino a farsi sentire all’interno delle istituzioni. “La mole di acqua presa è immensa. Prelevata senza alcuna concessione fin nelle viscere della terra, attraverso pozzi di richiamo fino a 1.141 metri di profondità, da una delle più importanti riserve idriche al mondo per quantità, qualità e relativa facilità di adduzione a caduta, prelevata come se questa fosse terra di nessuno e senza rispetto per chi la amministra e la vive”, ha dichiarato Ratini alle prese anche con il prosciugamento delle falde minori dovuto proprio all’imponente captazione delle Capore, come già attestava nel 1979 il geologo Marcello Zalaffi.
Sono 500 milioni i metri cubi di acqua che ogni anno vengono intercettati dall’acquedotto del Peschiera-Le Capore fino a raggiungere Roma, ma che servono anche gran parte dei Comuni della Sabina e persino Civitavecchia. Un’infrastruttura strategica, dunque, che richiederebbe una gestione al passo con i tempi e soprattutto con le Direttive europee. E invece quasi la metà di quest’acqua viene sprecata, senza che nessuno intervenga, a causa delle inefficienze del servizio idrico integrato gestito da Acea. Anzi, come si legge nei ricorsi presentati dagli avvocati Alessandro Iannelli e Claudio Giangiacomo al Tribunale delle Acque, per quanto riguarda il Peschiera le concessioni di derivazione “per ben 23 anni non sono mai state rinnovate fino all’emanazione della Determinazione impugnata”. E per Le Capore è anche peggio visto che per “non è mai esistito alcun titolo di concessione e relativo disciplinare rilasciati ai sensi del R.D. 1775/33, né per scopi idropotabili né tanto meno per utilizzazione idroelettrica”.
Una risorsa quindi estremamente preziosa che la Regione Lazio e il Comune di Roma hanno deciso di impegnare fino al 2031 a favore di una multinazionale quotata in borsa che ogni anno, anche grazie a quest’acqua e a un affidamento diretto del servizio idrico integrato nell’ambito territoriale romano (ATO2), elargisce ai propri soci dividendi per centinaia di milioni di euro. Nonostante questo l’indignazione degli amministratori locali è flebile, anche se hanno a che fare con bilanci sempre in rosso e con la rabbia dei cittadini per l’aumento delle bollette e l’aggravarsi della carenza
idrica dai rubinetti. Non passa inoltre inosservato il fatto che la concessione sia stata rilasciata per una portata addirittura superiore a quella disponibile nella sorgente, pur prendendo atto degli Studi scientifici Universitari e dell’ISPRA che attestano il passaggio “da uno stato ‘buono’ ad uno ‘cattivo’ (il peggiore livello di stato ecologico)”, e facendo propria la contestuale richiesta di autorizzazione al progetto di raddoppio del tronco superiore dell’acquedotto Peschiera (27 km) con ipotesi di aumento di portata.
Tutto ciò, come scrivono nei ricorsi, senza alcuna procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e con un piano regolatore generale delle acque risalente al 1977, aggiornato dalla Giunta regionale nel 2004 ma mai portato all’approvazione del Consiglio. Quanto basta, secondo i ricorrenti, ad aggravare il disastro ambientale in atto per il fiume Farfa, essendo già compromesso il suo deflusso minimo vitale ed ecologico, e a mettere a rischio persino il fiume Velino, che riceve le acque del Peschiera non deviate verso Roma. Due corsi d’acqua attorno ai quali sono appena nati degli importanti percorsi, rispettivamente su iniziativa del Comune di Mompeo e del Comune di Rieti, che dovrebbero portare alla stipula di un “Contratto di fiume” con l’obiettivo di puntare a un’economia sostenibile fondata proprio sulle risorse idriche, m con la capacità di auto-rigenerarsi.
di Paola Rita Nives Cuzzocrea