martedì 24 settembre 2019

Democrazia reale: il caso Hong Kong

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Visto il successo delle disamine critiche sul socialismo reale è necessario indagare con lo stesso acume critico la democrazia o la liberal-democrazia reale.


Democrazia reale: il caso Hong Kong

Dopo aver analizzato il caso emblematico di un paese, considerato fondatore della democrazia moderna, la Svizzera, abbiamo creduto utile indagare sulle ragioni dei manifestanti che, da diverso tempo, si battono per realizzare una nuova “democrazia reale”, considerato il sostegno acritico che ricevono dalle “democrazie occidentali”.
Il pensiero unico è tanto compatto ed egemone che persino l’unico quotidiano che si autodefinisce comunista in Italia non esita a schierarsi, unilateralmente, con le dimostrazioni a Hong Kong che si batterebbero per la democrazia contro il regime cinese, che sarebbe – si dà tanto per scontato che non c’è nemmeno più bisogno di ripeterlo – totalitario. Quale migliore dimostrazione di questa narrazione vi sarebbe, paradossalmente, la compatta denuncia da parte della grande maggioranza degli abitanti del più popoloso paese del mondo, nei confronti di quella che è generalmente condannata come l’ennesima rivoluzione colorata sponsorizzata dalle potenze occidentali.

Quindi, il fatto che le manifestazioni sarebbero sostenute dalla maggioranza degli abitanti della città di Hong Kong sarebbe un evidente dimostrazione della democrazia di tali mobilitazioni, mentre il fatto che la stragrande maggioranza dell’intero paese la consideri quantomeno strumentalizzata dalle potenze nemiche della Cina, sarebbe al contrario un evidente dimostrazione di totalitarismo. Alla base di tale modo di (s)ragionare, vi è il vecchio pregiudizio – anche questo così radicato da essere dato per scontato – che i veri individui portatori naturali di diritti umani siano gli occidentali e i filo-occidentali, mentre tutti gli altri sarebbero semplicemente degli eterni minorenni [1], strumentalizzati dalle dittature che li dominano in modo totalitario. Perciò presidenti occidentali eletti con una minoranza di voti e che sono avversati dalla maggioranza della popolazione, come Trump, in quanto a capo di una delle più autorevoli “democrazie” moderne, non sono mai considerati dei dittatori, come invece lo sono il presidente turco e russo ad esempio, nonostante siano stati più volte eletti con il voto della maggioranza dei loro cittadini, ma che, nel bene e nel male, godono ancora in patria di una significativa popolarità.
Dall’altra parte, uno dei padri nobili del pensiero liberale oggi dominante, il grande filosofo ed economista Adam Smith, non esitava a sostenere che “un governo dispotico” può più facilmente bandire la schiavitù rispetto a un “governo libero”. A tale osservazione aggiungeva: “la libertà dell’uomo libero è la causa della grande oppressione degli schiavi. E dato che essi costituiscono la parte più numerosa della popolazione, nessuna persona provvista di umanità desidera la libertà in un paese in cui è stata stabilita questa istituzione” [2].
Ora le proteste a Hong Kong sono nate in seguito al fatto che un corrotto speculatore di Taiwan, seguendo una prassi consolidata, si era rifugiato in questo vero e proprio paradiso fiscale, certo di farla franca come tutti i suoi predecessori, che non vengono né perseguiti dalla giustizia locale, né estradati nei paesi in cui hanno commesso i loro reati, nonostante che a farne le spese siano stati un gran numero di persone. Ora questa ingiusta legge, già assolutamente inaccettabile quando Hong Kong era una colonia ancora sotto occupazione dell’imperialismo britannico – che, per altro, protegge al proprio interno alcuni dei più significativi paradisi fiscali del mondo – diviene assolutamente intollerabile nel momento in cui, infine, la città è tornata a far parte della madre patria.
Per tale motivo la governatrice di Hong Kong [3] ha cercato di eliminare almeno l’elemento più assurdo di questa legge, ovvero la non possibilità di estradare all’interno dello stesso Stato nazionale i grandi criminali corrotti e speculatori, a ragione duramente contrastati in Cina, che riuscivano a sfuggire alla meritata punizione per le loro colpe, trovando rifugio a Hong Kong.
Evidentemente questi decisivi “dettagli” storici sono stati tranquillamente occultati dal pensiero unico dominante. Anche perché, nello Stato capitalista è evidente, a chi ha occhi per vedere, che la legge serve a punire essenzialmente i subalterni e non i membri della classe dominante. Dunque Hong Kong – avendo mantenuto diverse caratteristiche che aveva in quanto colonia – può ancora permettersi di mostrare apertamente, quello che i paesi capitalistici sono costretti, ipocritamente, a nascondere, ovvero che i crimini dei ricchi restano generalmente impuniti, mentre i reati minori dei subalterni vengono normalmente sanciti nel modo più severo.
Dunque, proprio per difendere questo antico privilegio oligarchico sono insorti i nuovi “combattenti per la libertà e la democrazia”, che non volevano fosse messo in discussione questo antico retaggio coloniale. Al contrario, il pensiero unico dominante ha presentato la causa scatenante della protesta come una lotta in difesa dei diritti umani da parte degli abitanti di Hong Kong che temerebbero, a ragione, di essere estradati in Cina, dove notoriamente tali diritti non sarebbero rispettati. È evidente che in questa narrazione ideologica è sempre sotteso il pregiudizio liberale e imperialista per cui a essere veri uomini portatori di diritti siano i soli occidentali o i loro avamposti nei paesi del “sud del mondo”, mentre le masse che vivono in questi ultimi paesi, pur costituendo la grande maggioranza del genere umano, non dovrebbero essere riconosciuti come veri uomini, portatori – in quanto tali – di diritti. Per cui a questi ultimi un grande speculatore o un funzionario potente e corrotto può fare qualsiasi sopruso e passarla liscia rifugiandosi a Hong Kong. Mentre se tale grande criminale fosse giustamente espatriato e giudicato in Cina, sarebbero messi in discussione non solo i suoi diritti, ma di tutti quelli dei veri uomini occidentali e filo-occidentali che, evidentemente, non si riconoscono nelle molteplici vittime, ma nel ricco grande criminale.
Sono così nate delle grandi proteste, immediatamente appoggiate dal pensiero unico dominante e dalle “nazioni civili” (alias imperialiste) – giudici unici e inappellabili in merito alla violazione dei diritti umani – che hanno potuto tranquillamente violare tutte le leggi tipiche di ogni Stato liberale in materia. I manifestanti sono arrivati ad attaccare e occupare, perfettamente equipaggiati, con la violenza la stessa sede del potere legislativo senza che le forze dell’ordine potessero svolgere il loro ruolo, perché altrimenti sarebbero state prontamente tacciate di violare i diritti umani dal pensiero unico e dalla “comunità internazionale” (aka paesi imperialisti e loro alleati).
In tal modo, la governatrice è stata costretta a ritirare immediatamente la legge, dinanzi a delle forme di protesta che avrebbero comportato, in ogni paese liberal-democratico, una violenta repressione da parte degli apparati di sicurezza e un grandissimo numero di arresti con pene immediate ed esemplari. Si pensi a cosa successe a Genova dinanzi a violazioni della legge da parte dei manifestanti decisamente minori e si ragioni a quali pene riceverebbero i partecipanti a manifestanti del genere nel nostro liberal-democratico paese dopo i due recenti decreti sicurezza.
Evidentemente, dinanzi a questa completa vittoria e alla pressoché totale impunità, grazie al pieno sostegno del pensiero unico dominante – al punto che, come gli stessi manifestanti hanno tranquillamente ammesso, pur non avendo dirigenti riconosciuti, hanno più volte incontrato rappresentanti diplomatici di paesi stranieri, compresi gli Stati uniti d’America – le proteste sono proseguite quasi sempre nella più sfacciata illegalità. Anche in tal caso, questi avvenimenti non creano nessuno scandalo in occidente in quanto avvengono ai danni di un paese come la Cina, non riconosciuto fra le “nazioni civili”. Pensate cosa sarebbe potuto succedere se nei giorni caldi delle manifestazioni di Genova, con le tute bianche avessero discusso rappresentanti diplomatici, cinesi, russi e iraniani.
In questa situazione, per mantenere la copertura dell’imperialismo transnazionale, ai rivoltosi di Hong Kong non rimaneva che battersi per la “democrazia”, ovvero per l’elezione a suffragio universale della governatrice della città. Qui torna utile il ragionamento di A. Smith, che ci dovrebbe portare a riflettere su cosa potrebbe accadere se i cittadini di Hong Kong potessero autogovernarsi. Quasi certamente, anche quelle minime forme di controllo di questo spaventoso ricettacolo dei crimini finanziari di tutto il mondo sarebbero immediatamente cancellate. Ma cosa importa al pensiero unico dominante, che prosegue a dare un sostegno incondizionato a ogni forma di “rivoluzione colorata” in nome del principio Fiat democratiam et pereat mundus (sia fatta la democrazia e perisca pure il mondo).
Quindi nonostante che l’autogoverno di Hong Kong e la sua sostanziale indipendenza dal resto della Cina comporti un rafforzamento del regime economico imperialista che condanna alla schiavitù del lavoro salariato la maggioranza degli abitanti della terra, sarebbe comunque da appoggiare incondizionatamente, al contrario di quanto sostenuto da A. Smith. Del resto la tradizione democratica occidentale conta degli importanti precedenti in materia, a partire dalla lotta per l’autogoverno dei democratici del sud degli Stati Uniti per difendere la schiavitù o alla guerra per il diritto all’autogoverno dei grandi proprietari del Texas per mantenere la schiavitù, dopo che con l’indipendenza del Messico era stata abolita.
In realtà, quali fossero le reali intenzioni di buona parte dei manifestanti, sono divenute chiare quando è cominciata a filtrare, nonostante la rigida censura del pensiero unico, che i vessilli più sventolati da questi ferventi sostenitori della democrazia erano quelli di Hong Kong quando era ancora una colonia britannica. Del resto, dopo aver conquistato con la violenza il parlamento, la prima cosa che avevano fatto i dimostranti era stato issare questo vergognoso vessillo sul tavolo della presidenza. Per altro, nelle manifestazioni non sono mancate le bandiere degli Stati uniti di Trump, che dopo decenni di minacce alla Cina, in quanto ostacolava il libero mercato, ora non in grado di competere con essa, impongono sempre maggiori dazi a quella che è divenuta la fabbrica del mondo.
Tornando ai nostri manifestanti per la democrazia a Hong Kong, è divenuto sempre più evidente che la principale loro rivendicazione era evitare di essere riuniti alla madre patria, al punto da rivendicare apertamente il precedente passato coloniale. Facendo finta di dimenticare che ai bei tempi andati del colonialismo britannico – di cui tanta nostalgia sembrano avere gli arditi manifestanti per la democrazia – non solo il loro paese era dominato da una potenza imperialista prima responsabile (a partire dalle guerre dell’oppio) del secolo nero della loro madrepatria, ma all’epoca della dominazione inglese non solo gli abitanti di Hong Kong erano privati di qualsiasi forma di autogoverno, ma nemmeno potevano sognarsi di realizzare tante manifestazioni legali e, soprattutto, illegali in nome della democrazia. Tutto ciò, naturalmente, non impedisce alla Gran Bretagna e ai paesi occidentali a lei alleata, durante il dominio coloniale su Hong Kong, di schierarsi nel modo più ipocrita con i sedicenti paladini della democrazia della ex colonia.

Note:
[1] Non a caso, definiva minorenni i popoli coloniali, allora costituenti la grande maggioranza dell’umanità, uno dei padri nobili della liberal-democrazia: J. S. Mill. In tal modo, questo pensatore così stimato ancora oggi dai liberali di sinistra, nei fatti giustifica il regime totalitario utilizzato dalle “nazioni civili” per “educarli”. Sulla base di quello che lo scrittore britannico R. Kipling definiva il “fardello dell’uomo bianco”.
[2] A. Smith, Lectures on Jurisprudence [1762-63 e 1766], citato in D. Losurdo, Marx e il bilancio storico del Novecento, La scuola di Pitagora editrice, Napoli 2009, pp. 342-43.
[3] Nonostante si tratti della prima donna a governare Hong Kong, tale notizia non ha avuto nessun risalto sui media internazionali, a differenza di quanto avviene quando viene eletta una persona di sesso femminile nel mondo occidentale o nei suoi alleati, per quanto possa essere apertamente schierata con le forze che si battono per la dis-emancipazione del genere umano.
22/09/2019 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte. 
Credits: https://www.lastampa.it/esteri/2019/07/02/news/hong-kong-battaglia-nelle-strade-preso-d-assalto-il-parlamento-1.36636391

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