mercoledì 25 settembre 2019

La sfida dei cambiamenti climatici tra responsabilità individuale e collettiva. I limiti da superare e le potenzialità del movimento.


Nel nostro paese questa rinnovata coscienza ambientalista ha coinvolto positivamente migliaia di giovani, che hanno riempito le piazze delle città italiane nei vari fridays for future, coinvolgendo le scuole italiane e gli stessi insegnanti.
Se ci fermiamo a questa breve descrizione sembrano non esserci problemi, dopotutto è difficile trovare voci critiche osteggianti le parole d’ordine generali del movimento: rivoluzione verde, abbattimento delle emissioni di gas serra, difesa dei cosiddetti polmoni verdi, sviluppo sostenibile e una nuova coscienza del consumo.
Tutte proposte condivisibili e di stretta attualità, ma si rischia seriamente che il tutto si traduca in un nulla di realmente concreto, poco più che pubblicità ingannevole, se non si innesta un cambio di passo che la storia non ha mai avuto l’occasione di vedere.


I grandi gruppi industriali del mondo occidentale hanno da sempre avversato ogni movimento ambientalista che chiedeva un cambiamento per la salvaguardia dell’ecosistema.
La giustificazione era il pericolo che le economie dei paesi industrializzati avrebbero corso, paventando dei veri e propri scenari apocalittici molto poco seri e reali.
Nel caso di Greta e del fridays of future pare che la situazione si sia capovolta e ci si ritrova con imponenti industrie, gruppi mediatici potenti, che sponsorizzano e acclamano i global strike per il clima fornendo copertura planetaria e finanziamenti corposi. 
La domanda da porsi è perché lo fanno.

La grande questione sollevata dal nuovo movimento ambientalista si incentra principalmente sulla responsabilità, sulla colpa.
Cerca quindi di stabilire il colpevole maggiore del decadimento della salute del nostro pianeta.
Nulla di male, ma è la risposta che è stata data ad essere sbagliata e con lei le susseguenti proposte che di piazza in piazza, di convegno in convegno, vengono portate dinanzi all’opinione pubblica e alla politica.

Per citare Occupy Wall Street e il suo slogan principale, ad essere messo alla sbarra è stato il 99%, cioè i singoli cittadini ai quali è attribuita la responsabilità maggiore del cambiamenti climatico, a causa dei consumi sempre crescenti e della poca coscienza riguardo la preservazione dell’ambiente.
Se questo pure è vero, ci si dimentica colpevolmente di una lunga serie di fattori che nei fatti rende insufficiente l’analisi e di conseguenza anche la risposta.

I lavoratori di tutto il mondo si vedono riconosciuti demeriti e mancanze, tra le quali il consumo eccessivo di plastica, l’utilizzo di mezzi di trasporto inquinanti come automobili non elettriche o ibride e aerei, il consumo di cibi non biologici, provenienti da colture intensive o della carne (questa considerata più dannosa del petrolio) prodotta nei grandi allevamenti.
Queste sono solo alcune delle accuse, ma nel complesso le argomentazioni vanno dal cibo al riscaldamento, passando per i rifiuti e i mezzi di trasporto.
La connessione tra la responsabilità individuale del cittadino e il sostegno di gran parte dell’apparato produttivo industriale va a scoprire le carte e pone problemi grandi e difficilmente risolvibili, senza il tracciamento di una linea di demarcazione precisa tra il movimento ambientalista ed il capitalismo.

Il capitalismo deve la sua longevità alla grande capacità di trasformazione e di adattamento alla situazione che gli si presenta dinanzi, una qualità senza dubbio ma che da sempre inquina la genuinità di determinate lotte e rivendicazioni.
Non è un caso quindi se in tv vediamo sempre più pubblicità di prodotti ecosostenibili, plastic free, privi di ingredienti diventati malsani.
Siamo letteralmente sommersi di spot di automobili ibride ed elettriche e non manca la cosiddetta pubblicità progresso che ha il solo compito di innestare il senso di colpa al telespettatore/consumatore che non potrà fare altro che spostare le sue spese quotidiane su questo nuovo mercato.
Ed eccola qui la pubblicità ingannevole dell’ambientalismo sostenuto dal sistema, il reale pericolo che corre la nuova coscienza ecologica di questa era: utilizzare temi di grande attualità e urgenti per creare un nuovo mercato, che porta nuovi profitti miliardari senza cambiare nulla nel malato sistema produttivo capitalista.

La politica ovviamente non sta a guardare e aggiunge il suo pesante contributo per alimentare questo nuovo e allo stesso tempo vecchio corso economico e sociale.
Più di tutte le classi dirigenti degli Stati Uniti e dell’Unione Europea spingono con forza per far passare un messaggio classista e dal sapore aristocratico, chiedendo con le politiche di austerity e di taglio drastico dei diritti sociali e del welfare ai lavoratori di rinunciare ad una fetta del proprio e già molto precario benessere in nome della salvezza del pianeta.
Perché è acclarato che la massa è sostanza e l’1% più ricco non ha la benché minima intenzione di rinunciare a nessuno dei suoi privilegi e al sistema produttivo che li rende così ricchi e potenti.
Pur di non farlo preferiscono fare i filantropi e finanziare innovativi progetti per promuovere l’economia sostenibile, come recentemente hanno fatto Amazon, Google e altre grandi aziende.

Mi è capitato quest’estate di passare per la meravigliosa città di Matera, capitale europea della cultura 2019, e durante le visite ai famosi sassi ho avuto l’occasione di vedere un video promozionale che raccontava la storia della città. Ho avuto un sobbalzo quando, nel descrivere la vita degli abitanti all’interno dei sassi, la voce narrante ha iniziato a declamare la vita che vi si conduceva, misera e vergognosa per un paese moderno, in termini a dir poco entusiastici.
Si lodava il consumo di carne praticamente nullo, l’utilizzo dei prodotti della terra e del grande rispetto che si aveva dell’ambiente, dell’utilizzo di ogni bene senza sprechi, riciclando tutto il possibile.
Mancava un piccolo dettaglio a questo spot, cioè il motivo per cui si viveva in quel modo: la spaventosa povertà. 
È a dir poco vergognoso lodare la povertà in quei toni, quasi a voler ricordare la “vergogna d’Italia” descritta da Togliatti come una felice isola ecosostenibile e attenta all’ambiente.
Sta di fatto che non ho visto facoltosi liberali far la fila per vivere in quel modo ma al contrario un invito a riconsiderare quella società come “felice”, il che si intreccia bene con l’ambientalismo di sistema che si vuole far passare all’opinione pubblica.

Diceva Mao che quando è grande la confusione la situazione è eccellente, ed ancora una volta il grande timoniere ha ragione.
Con tutte le contraddizioni e le ambiguità che abbiamo elencato, è comunque impensabile avere un atteggiamento da la volpe e l’uva, senza mettere in campo in questo grande movimento tutte le possibili azioni politiche alternative che hanno il grande potenziale di causare quello strappo di cui c’è bisogno per costruire davvero qualcosa di nuovo e rivoluzionario.
Non c’è spazio per la sola critica e per i commenti fuoricampo contro una ragazza che ha per sua sfortuna il demerito senza colpe di essere usata come trofeo e immagine di copertina.

La sinistra comunista e di alternativa ha sempre avuto le risposte a queste grandi tematiche e con esse ha sempre associato l’analisi giusta a cui fare riferimento.
Sarebbe imperdonabile non dare alle migliaia di giovani, che con entusiasmo riempiono le città chiedendo un mondo diverso, le parole d’ordine per una spinta propulsiva senza precedenti.
Un messaggio chiaro e forte deve imperversare nei cortei: il capitalismo non è sostenibile. 
Il libero mercato non è la soluzione ma il problema principale.
È il mercato a decidere cosa mettere in commercio e quindi cosa far comprare alle persone, non c’è libera scelta ma solo l’illusione di poterla fare. 
L’industria sceglie materie prime, packaging, distribuzione e se decide di produrre tutto con la plastica, il mercato offrirà solo merce prodotta con la plastica e chi acquista non ha scelta, se non cercare prodotti alternativi di nicchia e molto costosi.
Il potere d’acquisto della maggior parte dei lavoratori non permette di cambiare il proprio stile di vita e non può la casalinga, lo studente, il lavoratore cambiare da solo un intero sistema e il sistema non vuole essere cambiato.
Questo non significa che l’individuo debba disinteressarsi o non impegnarsi a cambiare alcune delle sue abitudini.
Ognuno di noi un piccolo contributo ha il dovere di darlo, per esempio nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
Ma le azioni del singolo sono solo una parte della soluzione e non merita di essere vessato.
Un dato: il viaggio in aereo è considerato come il più inquinante tra tutti i mezzi di trasporto, ma in Unione Europea rappresenta solamente il il 3,6% delle emissioni di CO2 nell’aria e si prospettano entro il 2040, ulteriori miglioramenti in termini di consumo medio di carburante (-12%) e di energia acustica per volo (-24%).[1]

Concretizzare lo strappo significa spostare l’attenzione dalla responsabilità individuale a quella collettiva, globale e generale. 
Unire i popoli contro il capitale coniugando l’ecologismo all’anticapitalismo è la strada maestra da seguire e far seguire.

Nel nostro paese un ruolo di primaria importanza lo sta avendo senza dubbio l’Unione Sindacale di Base, che fin dai primi momenti ha unito la questione fondamentale del lavoro e dei diritti sociali con quella dei cambiamenti climatici, porta avanti una linea sindacale che da tempo mancava in Italia e anche alcune aree dentro la CGIL, il maggiore sindacato italiano, stanno dando spazio ad una visione che coniughi ambientalismo e lotte sociali.
Gli scioperi per il clima  sono un mezzo portentoso e aiutano a collegare lavoro e ambiente in una veste nuova, scevra da ogni dogma capitalista che impone la scelta tra salute e salario in nome del profitto e del mantenimento dello sfruttamento dei lavoratori.

Ora più che mai l’ambiente è una questione di lotta di classe. 
I comunisti agiscano di conseguenza prendendo per le mani la lotta, in punta di piedi senza imporre prepotentemente e paternalmente la propria linea anche se giusta.
Terra e capitale sono nemici per natura, il mondo ne prenda coscienza.

[1]https://www.esquire.com/it/lifestyle/viaggi/a28102759/aerei-quanto-inquinano/
*Segretario nazionale della Fgci

Nessun commento:

Posta un commento