martedì 25 novembre 2014

Dopo Blockupy Bce e i movimenti "indignati" di Grecia e Spagna, anche l'Italia inizia a "muoversi".

La nuova capitale dei movimenti anti-austerity è Francoforte. Arriva Blockupy Bce, mentre Grecia e Spagna guidano il fronte degli indignati e lanciano al potere Syriza e Podemos. Tra scioperi sociali e sindacali, anche l’Italia finalmente si muove. Sull’onda della crisi reale.

sbilanciamoci Angelo Mastrandrea
A Bruxelles, nel cuore d'Europa traversato da mille conflitti, 120 mila persone sono scese in strada per protestare contro il ragionieristico piano del nuovo governo di contenere il deficit limitando drasticamente lo Stato sociale. Operai, in gran parte, e scontenti di ogni risma hanno provato a far sentire la propria voce. Qualcuno si è dedicato alla rivolta urbana portando nel centro della città la rabbia della banlieue.
A Londra, epicentro dell'euroscetticismo continentale, migliaia di studenti sono scesi in piazza contro il piano di tagli e aumento delle tasse universitarie presentato dal governo Cameron.
Dalle fabbriche italiane sale finalmente la brezza del conflitto sociale, alimentata dalla disperazione operaia e dalla fine di ogni mediazione. Lo scontro finale tra Renzi e Cgil-Fiom si gioca sul terreno del lavoro: di qua la libertà di licenziare a discrezione dei padroni, di là la difesa di un modello picconato a più riprese negli ultimi vent'anni. Nel frattempo, lo sciopero sociale di studenti, precari, partite Iva, disoccupati e sottoccupati fotografa la realtà di una generazione tenuta lontana dal welfare novecentesco, costretta a emigrare o destinata ad arrangiarsi. Non a caso, i movimenti urbani più radicali parlano il linguaggio delle lotte per la casa e per i bisogni primari.

Da Berlino e Parigi partono per la capitale d'Europa le carovane dei rifugiati e degli antirazzisti per chiedere alle istituzioni comunitarie politiche diverse nei confronti di chi fugge da guerre o si trova a essere sfruttato nelle campagne del sud Europa.
A Francoforte i giovani indignati di tutto il continente, memori della stagione dei controvertici no global, si preparano a sfidare la zona rossa delle politiche monetarie della Banca Centrale Europea.
Perfino in Irlanda, ex malato d'Europa, i cittadini si organizzano per non pagare le bollette dell'acqua, come accade da qualche anno nella nostra Aprilia.
Il cahier de doléances dei movimenti sociali europei è lo specchio rovesciato delle politiche di smantellamento dello Stato sociale e di demolizione del pubblico. Una protesta contro le privatizzazioni da una parte, un'altra per fermare i tagli al welfare, un'altra ancora per impedire delocalizzazioni e abbandoni precipitosi dei troppi capitani poco coraggiosi alla guida delle navi da crociera del capitale.
Spagna e Grecia sono i paesi guida della Piazza che prova a entrare nel Palazzo: dagli indignados a Podemos, dalle rivolte di Atene e Salonicco a Syriza, le ragioni del successo vanno cercate, per dirla con Slavoj Zizek, in un sano «populismo di sinistra» che sfida il qualunquismo arrogante delle nuove destre parafasciste e xenofobe. È su questo terreno che si gioca una partita culturale di decisiva importanza. Una doppia battaglia si prospetta per chi si propone di cambiar verso alla deriva europea: contrastare l'"ordoliberismo" istituzionale e allo stesso tempo evitare che le resistenze regrediscano in chiusure identitarie, pulsioni razziste ed egoismi esasperati.
Qua e là si accendono fiammelle di protesta, esplosioni di rabbia inconsulta e scaramucce incontrollate, piccole scosse d'assestamento di un sisma che nessuno riesce a prevedere se e quando avverrà. E con quale vigore.

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