giovedì 27 novembre 2014

"La Cgil non fa sul serio e la contraddizione prima o poi esploderà". Parla Fabrizio Tomaselli, esecutivo Usb.


Intervista di Fabio Sebastiani a Fabrizio Tomaselli della UnioneSindacale di Base

controlacrisi.org fabio sebastiani
Tra scioperi e mobilitazioni, il movimento sindacale è tornato protagonista, anche in forme inedite, come la giornata del 14 novembre. Che valutazione date di questo trimestre?
Abbiamo ragionato molto in queste settimane. La fase ci sembra abbastanza chiara nella sua evoluzione ed anche sulla possibile involuzione, nel proseguio delle iniziative. Dal punto di vista politico ci sono alcuni elementi che sono mutati,certo. Tutto più o meno origina dal fatto che la spinta renziana rispetto all’Europa si è dimostrata vacua, e piena di chiacchiere. Di fatto non c’è stata alcuna modifica degli equilibri a livello internazionale. Stiamo semplicemente facendo come paese quello che Draghi e l’Unione europea ci indicarono con Monti e Letta. Questo ha prodotto anche dei problemi interni al Pd più o meno condivisibili e comprensibibili. Tutti nodi che indicano che c’è una cesura profonda a livello politico sulla strategia di Renzi. Questo non vuol dire che questa parte del Pd abbia compreso come uscire dalla crisi, però è anche vero che la spinta che viene dal basso fa riferimento ai bisogni e alle esigenze reali delle persone.

Appunto, e quindi arriviamo al nodo della ripresa della mobilitazione…

Già, ma anche alla contraddizione. Questa spinta dal basso riverserà sui corpi intermedi attese e responsabilità. Da una parte, quindi, questo cambio di fase all’interno del Pd ha utilizzato lo strumento Cgil, dall’altra se Susanna Camusso sta cercando di dare una mano a una parte del Pd è pure evidente che si barcamena cercando di costruire una opposizione sindacale diversa da quella della Cisl. E qui cominciano i dolori.

Perché?

Perché questa linea non segue la logica sindacale classica. Lo sciopero del 12 è proprio un paradigma di come la Cgil sta interpretando il suo ruolo in questa fase. Ma come, non si sciopera su niente, dalle pensioni al collegato lavoro, si fa pure l’accordo del 10 gennaio per assicurarsi uno spazio vitale, e nello stesso tempo si vuole dare l’impressione di aver cambiato verso? Se si voleva fare una opposizione al fiscal compact visto che è stato ripreso come riferimento, esattamente come il Jobs act, lo si poteva fare prima. Oggi siamo a babbo morto, come si dice. Il Jobs act è passato. Ed è passato, che è peggio, con la logica della delega. Hanno dato carta bianca all’esecutivo per tutti i provvedimenti che più piaceranno a Renzi. Il sindacato non può arrivare a questo punto. Lo sciopero del 12 è la chiave di lettura del collegamento tra Cgil e Pd.

Questo crea una sorta di tappo all’iniziativa sindacale.
Questo, da un punto di vista sindacale, produce una contraddizione bella e buona che esploderà. Se dici no al Jobs act ma continui a fare le stesse cose di prima, addirittura scioperando con Uil e Ugl, da un punto di vista politico questo significa prendere in giro i lavoratori. L’asticella va sempre più in alto e invece di farla saltare, se la lotta vera non la si vuole fare, si prevede una caduta a terra o quanto meno un atterraggio graduale. Gli ultimi mesi sono stati mesi di moina. E’ questo quello che crediamo.

Gli appuntamenti che si sono susseguiti a partire dal vostro sciopero hanno indicato se non un fermento generalizzato una certa disponibilità a far sentire la propria voce, o no?
Mentre l’esigenza diventa sempre più importante, ecco che si profilano all’orizzonte i frenatori. E’ evidente che la gente vede tutti questi appuntamenti susseguirsi e quindi prende parte alla protesta. Il problema è capire per che cosa si protesta. Per questo dico che la situazione è esplosiva. Per i singoli è importante stare in piazza. Credo che le associazioni e i partiti debbano però fare una analisi reale della situazione. Qui stiamo parlando del tentativo di riconquista della concertazione sindacale.

Uno snodo importante saranno i provvedimenti sul Jobs act che scriverà il Governo.
Noi crediamo sia più importante e significativo investire sull’alternativa sindacale. Lo sforzo maggiore che si dovrà fare è proprio quello di costruire una alternativa credibile e valida. Quello che uscirà fuori dalla marcia indietro della Cgil sarà il disastro. Camusso, e anche Landini, credo stiano sbagliando tutto da questo punto di vista. Quel tipo di concertazione la fa meglio la Cisl, che sta sempre con chi vince. Quando si comincerà a discutere delle deleghe sul lavoro vorrei proprio vedere cosa farà la Cgil. Tutto tornerà come prima. Se riusciremo a costruire un abbozzo di alternativa valida tutto si può trasformare.

Intanto, quello che esplode di sicuro è il nodo dei precari, soprattutto dopo la sentenza della Corte europea di giustizia…
Non abbiamo mai pensato che la soluzione sia fare il sindacato dei precari. Oggi esiste il lavoro precario, e la vita precaria. E’ precario anche chi viene assunto a tempo indeterminato e lo fanno lavorare in condizioni impossibili. E’ evidente che l’impegno del sindacato non può rivolgersi al lavoro classico ma alla precarietà nella vita e nel lavoro. Questo è quello che abbiamo indicato come la proposta della confederalità sociale. E’ quello che noi in qualche modo vorremmo accostare al sindacato classico per la tutela di interessi generali, dalla casa al lavoro, alla partita iva. Quello che non vogliamo e che purtroppo sta accadendo in varie parti è che si costruisca una contrapposizione. Tutto ci serve, meno che la guerra tra i poveri. Bisogna fare i conti con la realtà. Occorre stroncare i luoghi comuni sui migranti e sulla flessibilità. La difficoltà sindacale sta proprio nel cercare di tutelare il mondo del lavoro classico e dall’altra parte costruire gli strumenti per intervenire sugli altri temi. Al di là delle enunciazioni, non ci sembra ci sia molto di più in giro. Molte sperimentazioni, tutte positive, ma ancora non si resce ad intercettare il mondo nuovo, soprattutto di giovani, della precarietà diffusa. Non ci aiuta da un punto di vista sindacale, infine, la mancanza completa della politica. Quella che chiamamo confederalità sociale è proprio determinata dall’assenza della politica.

Dall’ultimo congresso si è aperta una fase di sfide per Usb, e anche di non poco conto. Come sta andando?
Usb sta lavorando molto nei territori e nell’ottica del sindacato generale. E’ un elmento imporante che ci permette di elaboare un intervento sempre più radicato. Questo è sicuramente uno degli obiettivi con il quale siamo usciti dal congresso. Più tu diventi alternativa vera e più ti mettono i bastoni tra le ruote, però. E’ successo con l’accordo del 10 gennaio. Le battaglie sui territori sono tante, anche a causa della crisi. E’ evidente che l’obiettivo è quello di un sindacato grande e che si sta dotando di strumenti più generali . E fa anche i conti con delegati iscritti e lavoratori che provengono da altre organizzazioni sindacali. E questo alcune modifiche più che ne l core business si presentano nelle modalità di implementazione delle politiche.

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