Niente di tutto questo. Di Keynes non c'è nemmeno l'ombra. Solo una mossa propagandistica condita da annunci non verificabili in perfetto stile renziano. Non si tratta di un fondo, ma di una speranza. I soldi certi sono 21 miliardi (pubblici): per il resto dovrebbero essere ipotetici investimenti privati (stimolati da escamotage finanziari azzardati e fantasiosi) e qualche versamento volontario degli stati membri, invogliati dallo scomputo di questi investimenti dal patto di stabilità. Ma perché gli stati dovrebbero versare soldi a questo fondo, senza alcuna garanzia di un ritorno di investimenti nel proprio paese?
Juncker continua in realtà nella linea dell'austerità.
Ci si affida agli investimenti privati, escludendo che l'intervento e la spesa pubblica possano avere un ruolo. È la stessa linea di Renzi: nella legge di stabilità non ci sono risorse per gli investimenti pubblici, ma solo la speranza che attraverso gli sgravi Irap e la decontribuzione sulle nuove assunzioni possano ripartire gli investimenti privati.
Nella propaganda di Juncker e di Renzi questo piano viene spacciato come la risposta alle politiche di austerità. Ma è un piano solo sulla carta che - felici di essere smentiti - rischia di andare incontro ad un clamoroso fallimento. La raccolta di finanziamenti privati è illusoria, a meno di generosi regali (e quindi altri debiti) nel calcolo del rendimento di questi crediti. Altre sono le strade che si sarebbero dovute seguire. Primo: varare un piano di emissione di eurobond finalizzati alla crescita e allo sviluppo. Secondo: aumentare i versamenti nazionali al bilancio europeo, finalizzando le maggiori risorse agli investimenti per la crescita. Terzo: prevedere lo scomputo delle spese per gli investimenti nazionali (e non solo quelli versati al fondo Juncker) dal patto di stabilità. In sostanza, invece di affidarsi alla finanza privata - adeguatamente remunerata - investire in una politica della domanda indirizzata e finanziata dall'intervento pubblico.
Strade che prevedono per l'appunto un ruolo dello stato e delle politiche pubbliche, tutte scelte che Juncker (e Renzi) rifiutano di fare, affidandosi al mercato e ai privati, continuando nello stesso tempo sulla strada delle riduzioni della spesa pubblica e delle politiche di austerità.
Così non si va da nessuna parte.
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