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da Repubblica, 29 novembre 2014
Caro Augias, ho 64 anni, nell’agosto del 2011 mi è stata diagnosticata la Sla. Scrivo grazie ad un computer a comandi oculari. Da metà del 2013 sono immobilizzato, con un tubo che collega, 24 ore al giorno, il mio naso ad un respiratore meccanico. Non avendo più il riflesso difensivo della tosse mangio e bevo con il terrore che qualcosa vada di traverso — mi è già successo: una situazione terribile di soffocamento. Ad onta della mia condizione, non penso al suicidio, anzi, facendo leva sulle mie residue risorse intellettuali, sulla vicinanza di alcune care amicizie e, soprattutto, sugli affetti familiari, riesco tuttora a trovare un senso alla mia esperienza umana. Però, sempre che non intervenga prima una fatale crisi respiratoria, so di essere condannato a perdere le mie funzioni vocali. A tale evento ho deciso di collegare il punto finale della mia vita. Appunto perché la vita è una unica, irripetibile esperienza, deve poter essere vissuta senza che diventi un’insopportabile prigione. C’è, insomma, un diritto inalienabile, di dignità e di libertà, che deve essere garantito a tutti. Chiedo: perché costringermi ad andare in Svizzera invece di poterlo fare vicino ai miei affetti, nella mia terra, nella mia patria? Al momento la sola alternativa che ho sarebbe lasciarmi morire di fame e di sete. È accettabile, umano, pietoso costringere una persona e i suoi cari ad un tale fardello di prolungata, indicibile sofferenza?
Walter Piludu, Cagliari
La risposta netta è no. Non è ammissibile che un uomo lucido, consapevole della sua condizione, padrone della sua volontà, però prigioniero di un corpo che a quella volontà non è più in grado di rispondere, debba patire una lunga e tremenda agonia solo perché il suo Paese non riesce a tutelarne la dignità. In una parte della lettera che ho dovuto tagliare il signor Piludu dice di sapere che sull’eutanasia incombono numerosi aspetti «ognuno degno di rispetto, di ordine filosofico, religioso, medico, legale». Aggiunge anche, con grande senso di responsabilità, di non sapere se giunto al punto che oggi lucidamente indica, non potrebbe «cambiare idea o perdere la forza necessaria». Ma proprio questo è il punto: sapere che se si confermasse nella sua decisione avrebbe la libertà di farlo senza patimenti è già un sollievo. Ed è questo il momento che oggi il suo Paese, il nostro, gli nega provocandogli un’angoscia aggiuntiva a quella della malattia. Il signor Piludu in anni lontani è stato presidente della Provincia di Cagliari il che dà più forza alle sue parole quando scrive: «L’essenza, vorrei dire la nobiltà, della politica sta nel coraggio di assumere decisioni in grado, a volte in tempi imprevedibilmente rapidi, di rendere migliore la vita delle persone e della società». La nobiltà della politica, appunto.
Corrado Augias
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domenica 30 novembre 2014
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