martedì 25 novembre 2014

Astensionismo: una punizione per il Pd, cioè un successo

 Il Manifesto | Autore: Andrea Fabozzi
Regionali. L’analisi del (non) voto di politologi e ricercatori. In Emilia pesa l’aggressione al sindacato. Ma vincere, non importa in che modo, è precisamente il progetto del premier. Che se ne frega della rappresentanza e dice: le urne vuote sono un aspetto secondario
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E’ come se l’Emilia tutta fosse rima­sta a casa, e ai seggi si fosse pre­sen­tata solo la Roma­gna, pro­vin­cia di Fer­rara com­presa. Nell’ex cuore rosso d’Italia l’astensione alle regio­nali ha toc­cato ver­tici tali che è più facile con­tare gli spa­ruti testi­moni del «dovere civico», ormai una mino­ranza: il 37,7% degli aventi diritto. Da un anno e mezzo in qua, nella regione culla del civi­smo gli asten­sio­ni­sti rad­dop­piano a ogni occa­sione utile. Erano circa 500mila alle ele­zioni poli­ti­che del 2013, un milione alle euro­pee di mag­gio, due milioni dome­nica scorsa e anche qual­cosa in più: 2.155.561. Pra­ti­ca­mente come il totale degli iscritti alle liste elet­to­rali di tutte le pro­vince interne: Bolo­gna, Modena, Reg­gio, Parma e Pia­cenza. Come se fos­sero andati a votare — tutti, ma solo — gli elet­tori delle pro­vince adria­ti­che: Fer­rara, Ravenna, Forlì e Rimini.

Al con­fronto la Cala­bria è un esem­pio di atti­vi­smo: affluenza comun­que bassa — 44,08%, — ma solo un punto meno delle euro­pee. E così la seconda migliore pro­vin­cia emiliano-romagnola, che è Bolo­gna, non rag­giunge le per­cen­tuali di voto della peg­giore cala­brese, Crotone.
«L’Emilia-Romagna è sem­pre stata ai primi posti in Ita­lia per par­te­ci­pa­zione, anche in ele­zioni più recenti dove l’affluenza è dimi­nuita ovun­que», scrive pro­prio da Bolo­gna l’Istituto Cat­ta­neo in una prima ana­lisi. «Da regione dove si votava di più a regione dove si vota di meno, tutto in un solo turno elet­to­rale», è que­sto il dato cla­mo­roso di dome­nica su cui mette l’accento Dario Tuorto, pro­fes­sore di socio­lo­gia all’Università di Bolo­gna e ricer­ca­tore all’istituto. E fa notare come l’astensionismo sia cre­sciuto di più nelle pro­vince dove più forte era il con­senso tra­di­zio­nale alla sini­stra e al Pd, come Reg­gio e Modena, men­tre è cre­sciuto di meno in una pro­vin­cia assai meno rossa come Pia­cenza. È il primo indi­zio di un’astensione puni­tiva per il par­tito di Renzi, che in defi­ni­tiva ha perso oltre la metà dei voti rispetto alle euro­pee di mag­gio. Ma la «puni­zione» è un ele­mento che il Cat­ta­neo mette accanto ad altri: la fuga delle urne si spie­ghe­rebbe altret­tanto con l’indignazione popo­lare per le «spese pazze» regio­nali o addi­rit­tura con la con­fi­denza per una vit­to­ria sicura di Bonac­cini. O per­sino con una rin­corsa popu­li­sta, visto che in una prima ana­lisi dei flussi, limi­tata alla pro­vin­cia di Parma, l’istituto regi­stra un pic­colo numero di elet­tori in uscita dal Pd e diretti alla Lega.
Carlo Galli, poli­to­logo, pro­fes­sore all’università di Bolo­gna non­ché depu­tato del Pd, tende a ridi­men­sio­nare il peso dello scan­dalo regio­nale: «Il risul­tato emi­liano ha un valore nazio­nale per­ché Renzi è venuto a chiu­dere la cam­pa­gna elet­to­rale e a com­pia­cersi dei can­di­dati, ma soprat­tutto per­ché le ragioni di que­sto enorme asten­sio­ni­smo sono di valore nazio­nale: stiamo assi­stendo alla seces­sione di un elet­to­rato di sini­stra da un par­tito di cen­tro». Secondo Galli non ha più senso appel­larsi alle pecu­lia­rità emi­liane, «la sini­stra era orga­niz­za­zione, e adesso ce n’è molta meno; sistema di inte­ressi che adesso si sono spap­po­lati; ege­mo­nia ormai crol­lata. Si era natu­ral­mente di sini­stra per­ché era capace di con­ci­liare l’insieme degli inte­ressi sociali, adesso il popolo emi­liano si è accorto che a Bolo­gna e a Roma il par­tito di rife­ri­mento non copre più gli inte­ressi della sini­stra, è in rotta di col­li­sione con il mondo del lavoro e con la pub­blica amministrazione».
«Nei luo­ghi di tra­di­zio­nale par­te­ci­pa­zione poli­tica, dove sono ancora inse­diati i par­titi di sini­stra, dove sono forti le asso­cia­zioni e tra que­ste il sin­da­cato, cen­ti­naia di migliaia di per­sone deci­dono con­sa­pe­vol­mente di non andare a votare: è un feno­meno inquie­tante che retro­cede il Pd al livello degli altri. Gli elet­tori uti­liz­zano l’unica arma di cui dispon­gono per dire: “siete tutti uguali”», com­menta Gian­franco Pasquino, anche lui pro­fes­sore a Bolo­gna e poli­to­logo illu­stre. Secondo Pasquino «essere andati a votare avendo 42 con­si­glieri su 50 inda­gati e il pre­si­dente della regione con­dan­nato in primo grado ha avuto cer­ta­mente un peso», ma di più ha pesato «l’aggressione del pre­si­dente del Con­si­glio ai sin­da­cati». Pena­liz­zato anche Bonac­cini, «auto pre­sen­ta­tosi come ren­ziano della prima ora, anche è della seconda: l’eccessiva iden­ti­fi­ca­zione con il pre­mier non gli ha fatto bene».
Renzi però non fa una piega, addi­rit­tura festeg­gia i risul­tati regio­nali e liquida l’astensione record come «un fatto secon­da­rio». Un trucco comu­ni­ca­tivo? Per Galli è molto di più: «Punta a vin­cere, non a rap­pre­sen­tare. Il Pd ha ormai mutato gene­ti­ca­mente la sua base sociale e si fonda su un rap­porto tra poli­tica e società che vede la rap­pre­sen­tanza come qual­cosa di acces­so­rio, appunto “secon­da­rio”. Non vuole più mediare inte­ressi ma emo­zioni, non sen­ti­menti col­let­tivi ma indi­vi­duali. Il suo è un popu­li­smo diverso da quello nove­cen­te­sco che pun­tava sulle masse, pre­fe­ri­sce molti indi­vi­dui iso­lati. Se vanno a votare bene, altri­menti bene lo stesso. Basta avere una legge elet­to­rale che con qual­che mar­chin­ge­gno assi­curi la vittoria».
Viste così, le urne vuote emi­liane somi­gliano più a un pro­getto che si rea­lizza che a una luna di miele che si esau­ri­sce. E allora viene da pen­sare a tutte le volte che Renzi ha attac­cato la rap­pre­sen­tanza in gene­rale e quella regio­nale in par­ti­co­lare (salvo voler sce­gliere lì den­tro i sena­tori, ma que­sta è un’altra sto­ria). Va a finire che nei numeri dell’astensione sono pre­ci­pi­tati anche i soste­ni­tori del pre­si­dente del Con­si­glio, i tanti che gli si affi­dano per­ché gli orga­ni­smi elet­tivi sono un intral­cio ed è meglio che fac­cia tutto lui. Pos­si­bile? «Den­tro un’astensione così alta, da pato­lo­gia della demo­cra­zia, può esserci anche que­sto — risponde Galli — e allora pos­siamo dire che ha perso la poli­tica ma anche l’antipolitica. Siamo cioè in piena post-politica dove si afferma il disin­te­resse verso un’attività con­si­de­rata inin­fluente sulla pro­pria con­di­zione di vita. Io natu­ral­mente non credo affatto che sia così, ma so bene quanto sia diven­tato dif­fi­cile con­vin­cere le per­sone ad andare a votare per le regio­nali. D’altra parte il Pd ha fatto dav­vero poco sforzo, volu­ta­mente viene da pensare».
E poi in gior­nate come que­sta c’è sem­pre chi fa il rea­li­sta, chi dice che nelle demo­cra­zia mature si va a votare in pochi e guar­date gli Stati uniti… Pasquino prima cor­regge: «In tutta Europa si vota attorno al set­tanta, non al qua­ranta per­cento». Poi aggiunge che «biso­gne­rebbe ricor­dare a Renzi e a tutti noi che all’origine della demo­cra­zia c’è la capa­cità delle per­sone di asso­ciarsi. La demo­cra­zia non è un luogo dove ci sono elet­tori indi­stinti che guar­dano il lea­der alla tele­vi­sione e poi ogni tanto vanno a votare per lui. È il luogo dove le per­sone discu­tono tra loro, si scam­biano indi­ca­zioni e con­si­gli, cam­biano idea. Se can­cel­liamo tutto que­sto non diven­tiamo più moderni, solo meno democratici».

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