Partito della nazione, partito Leopolda o semplicemente ‘Partito Democratico new look’. La confezione è questa. Il contenuto si spiega meglio con l’espressione preferita da Matteo Renzi e dai suoi: “Big tent”. Cioè ‘Grande tenda’.
In Transatlantico Parrini prende il suo ipad e apre wikipedia alla voce “Big tent”. Tradotto: “In politica, una ‘grande tenda’, o partito ‘piglia-tutti’, è un partito politico il cui obiettivo è attrarre persone con diversi punti di vista in modo da rendersi appetibile a più elettori”. Trattasi di un approccio non basato su singoli temi, non caratterizzato da “rigidità ideologica”, ma al contrario basato sull’inclusione di “diverse ideologie e punti di vista nello stesso partito”. I riferimenti storici vanno dal Partito Repubblicano americano tra fine ‘800 e inizi del ‘900, alla coalizione del ‘New Deal’ di Roosevelt, fino alle esperienze anglosassoni e agli stessi repubblicani e democratici attuali negli Usa, naturalmente. Curioso che per wikipedia gli esempi italiani di ‘Big tent’ siano la defunta Democrazia Cristiana (ovvio) e il Movimento 5 stelle (meno ovvio). E’ questo il progetto di Renzi, questo sta diventando il Pd sotto la sua segreteria.
Raccontano i suoi che ieri, dopo la direzione Dem, il premier abbia telefonato a Denis Verdini per rassicurarlo sulla legge elettorale. L’idea resta quella di approvare il nuovo sistema bipartitico sotto l’egida del Patto del Nazareno: con Berlusconi e non contro Berlusconi. Ragion per cui alla Camera i renziani del Pd non scommettono sul fatto che ai piccoli partiti verrà concessa una soglia di sbarramento al 3 per cento. Troppo bassa: l’ex Cavaliere non lo consentirebbe e magari nemmeno Renzi. Il 4,5 per cento viene considerato più realistico e “Alfano dovrà farsene una ragione”, dice un renziano doc, convinto che al Ncd comunque non convenga far saltare il banco del governo per andare al voto anticipato. “Gli conviene aspettare…”. Il punto è che anche dentro forze minori come Sel la sensazione è che non arriveranno ‘grandi concessioni’ sulla soglia di sbarramento per essere eletti: “Perché Renzi dovrebbe farlo?”. Pessimismo e fastidio.
Il pacchetto ‘Big tent’ e ‘Italicum rivisto’ potrebbe strutturarsi come un prendere o lasciare per tutti. Il tasso di violenza dell’operazione deciderà il destino della legislatura, anche se Renzi pare continui a dire ai suoi che resterà a Palazzo Chigi “fino a 47 anni”. Che, a conti fatti, vuol dire fino al 2018 e poi per un’altra legislatura. Insomma, da qui a dire che in primavera si torna al voto ce ne passa, almeno a sentire i renziani. Tra i parlamentari vicini al premier, il più incline a considerare questa ipotesi si spinge a prevedere un ritorno alle urne nel 2017: non prima. Ma anche un (ex) renziano critico come Matteo Richetti esclude che l’accelerazione sulla legge elettorale rappresenti una corsa al voto: “Non ci credo. E poi se è vero che Jobs Act e legge di stabilità serviranno a creare 800mila posti di lavoro, sarebbe meglio aspettarne gli effetti invece di sperare in un nuovo mandato”.
Eppure sui dubbi circa il ritorno alle urne pesano non solo le chiacchiere di Transatlantico e la paure concrete della minoranza Dem, ma anche le parole di Renzi che ieri in direzione non a caso ha auspicato una “discussione sul rapporto tra gruppi parlamentari e governo”, indicando “la legge di stabilità come prova di verifica…”. La conclusione la tracciano sempre i suoi: “E’ chiaro che se il Parlamento non gli permette le riforme…”. Tutto va in malora, anche la legislatura. E i maligni ti dicono che “se i dati economici dovessero essere peggiori del previsto, sarebbe facile aprire la porta delle elezioni anticipate…”. Anche se bisognerebbe approvare una clausola di salvaguardia per rendere l’Italicum valido anche per il Senato (ora non lo è), qualora il Parlamento non approvasse in via definitiva la riforma costituzionale. Percorso complicato.
Ma in periodi di “voto a tempo determinato”, quando non si può contare più sulla fedeltà ‘ora e per sempre’ dell’elettore, le incognite sono tante. Ma è proprio per questo che Renzi organizza la sua ‘Grande tenda’ per tempo: proprio per attrezzarsi nell’odierno deserto di ideologie date e definite. In questo senso, dice un parlamentare che lo conosce bene, “il Pd l’ha già ucciso o quel che rimaneva del partito già travolto dai tempi”. E così mentre la minoranza insiste sulla necessità di discutere della “forma partito”, Renzi è già diverse lunghezze avanti: oltre la forma, oltre il partito. “E’ vicino a come doveva essere il Pd l’originale”, obietta Parrini, “cioè la vocazione maggioritaria di Veltroni uccisa nella culla da Bersani e D’Alema. E faccio notare che tra tutte le forze politiche, il Pd è l’unica che ancora conserva il nome di ‘Partito’”.
Vista in questa luce, la Leopolda del weekend prossimo a Firenze assume il suo aspetto più vero. Cadono come foglie secche le critiche della minoranza sul perché i finanziamenti trovati per la kermesse renziana non finiscano invece nelle casse del Pd. Si scoloriscono le contestazioni di chi accusa Renzi di voler organizzare un “partito parallelo”. “Conosco troppo bene Renzi per pensare che voglia organizzare la corrente del capo – ammette il ‘critico’ Richetti – Il punto non è questo. La Leopolda ha sempre guardato e attratto fuori dal Pd, non risponde ad una necessità di centrosinistra, non è nata per cambiare pelle al Pd ma per costruire le ragioni per attrarre culture e poteri diversi…”. Ecco spiegata l’esigenza di una Leopolda di governo: con il Pd, oltre il Pd, ‘Grande tenda’ plasticamente adattabile al clima elettorale. Chi esce, dovrà giocarsela col deserto (delle ideologie): torrido di giorno, freddo di notte. Il nuovo Italicum potrebbe non offrire vie di mezzo.
Nessun commento:
Posta un commento