Matteo Renzi non è riuscito ad evitare il frontale con la commissione Barroso, ormai in scadenza. Anzi, in un certo senso, il premier italiano lo ha innescato. Come? Con la scelta di pubblicare sul sito del ministero dell’Economia la lettera riservata che l’Ue ci ha inviato per chiedere chiarimenti sulla correzione strutturale del deficit prevista dalla legge di stabilità.
Questo pensa Renzi degli interlocutori europei con cui ha a che fare a Bruxelles: vecchia politica in calo di consensi come dicono i dati, affannati dall’inseguimento dei movimenti anti-europei nati sull’onda della crisi economica. Ecco perché lo scontro diretto con Barroso gli dà un gusto particolare: buono. Del resto, il frontale lo ha voluto innescare lui, Renzi, scientemente. La lettera europea sulla legge di stabilità è partita come “riservata” per cinque paesi tra cui l’Italia (gli altri sono Francia, Austria, Malta, Slovenia). Impossibile non prevedere quanto meno un’irritazione da parte di Barroso per la scelta italiana di rendere pubblico il documento che chiede chiarimenti sulla manovra. In questo senso, obiettivo centrato. Il presidente uscente della commissione si infuria, insomma ‘ci casca’, Renzi contrattacca e ci sguazza.
“Penso sia venuto il momento della 'open transparency' totale. Penso che in questo palazzo sia finito il tempo delle lettere segrete, con l’Italia sarà open data totale: noi vogliamo che sia chiaro tutto ciò che viene da Bruxelles, che ci sia la chiarezza più ampia, anche perché è l'unico modo per aiutare i cittadini a capire”, dice il premier italiano al suo arrivo al Consiglio Ue. E ancora: “Sono sorpreso che Barroso si sia sorpreso perché abbiamo pubblicato la lettera. E credo che pubblicheremo non solo la lettera, ma tutti i dati economici, quanto si spende in questi palazzi: sarà molto divertente". C’è da dire che Renzi arriva in ritardo al vertice Ue e la sosta con la stampa per rispondere a Barroso davanti al Palazzo Justus Lipsius certo non lo aiuta a recuperare sui tempi. Pazienza, visto che – è la lettura italiana - le lettere Ue partite ieri sulle manovre dei paesi in difficoltà automaticamente hanno coperto, almeno per stasera e almeno a livello mediatico, il motivo reale del consiglio europeo: le questioni energetiche del continente.
Quando Renzi parla davanti al palazzo, mentre gli altri leader lo aspettano dentro, il tono resta di contrattacco anche sul merito della lettera dell’Ue. "Stiamo discutendo di una differenza di 1 o 2 miliardi di euro su una manovra da 36 miliardi, su un bilancio del Paese da 900 miliardi. Il problema dei due miliardi che in teoria potrebbero essere necessari corrisponde a un piccolissimo sforzo". Ma il punto politico è questo: "Sarà interessante approfondire chi decide cosa e come, quali sono le valutazioni politiche sulle 'circostanze eccezionali' di cui parlano i Trattati e i regolamenti" dell'Ue. Per dire che lo scontro è solo all’inizio.
Ma la speranza italiana è di riuscire a lavorare meglio con la nuova commissione europea, quella guidata da Juncker, il quale sarà comunque affiancato alla vicepresidenza dall’attuale commissario all’Economia, Jyrgi Katainen, il ‘falco’ rigorista che di fatto ha ispirato la lettera sulla manovra economica. Però la commissione Juncker è nata nell’era del governo Renzi, non è un retaggio del passato, anzi è frutto delle trattative diplomatiche tenute dal premier attuale con gli altri leader europei, soprattutto è vincolata al documento sull’Ue che, prima dell’estate, ha messo nero su bianco la necessità di usare i margini di flessibilità contenuti nei trattati esistenti. Per questo a Palazzo Chigi e al ministero dell’Economia sono convinti che con Juncker andrà meglio: il nuovo presidente ha già promesso 300 miliardi di investimenti in infrastrutture per la fine dell’anno. Con Juncker “si volta pagina", sono le parole di Renzi, confortato anche dal sostegno di Giorgio Napolitano su un cambio di rotta delle politiche europee. “il presidente Barroso la prossima settimana non sarà più il presidente della Commissione”..
Fine di un’era, con uno strascico di ‘leaks’, per dirla all’inglese (‘fuga di notizie’), che marchiano in negativo gli ultimi giorni di vita della commissione Barroso. Non è la bufera internazionale scatenata da Julian Assange e il suo Wikileaks che pubblicava documenti riservati della difesa americana. Ma a Bruxelles il piccolo ‘Renzi-leak’ ha lasciato il segno.
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