domenica 26 ottobre 2014

La Cgil lo sciopero non lo ama. L'importante è che lo voglia il popolo rosso che ieri ha invaso Roma



controlacrisi fabio sebastiani
Ascoltando con attenzione l’intervento di Susanna Camusso, ieri, dal palco dell’immensa piazza San Giovanni, non si poteva sfuggire alla sensazione di un analisi che sul piano sociale ed economico è molto dura. Camusso ha parlato di un’Italia alla canna del gas che sconta non solo un altissimo tasso di disoccupazione ma un quadro imprenditoriale tra i più disastrosi.
Parlando poi del Governo, Camusso ha sottolineato l’assoluta remissività nei confronti dei poteri forti del Paese, a cominciare dalla finanza. Il tutto “tenuto insieme” da un quadro europeo ormai fuori controllo. La leader della Cgil ha addirittura detto: "Bisogna avere il coraggio non di contrattare lo 0,30 ma dire alla Ue di tornare alla Carta di Nizza, all'Europa dei popoli, del sociale e dei diritti. Il premier deve dire che ci sta a tagliare i contratti e i salari".

Poi come al solito ha volato basso sullo sciopero generale, dando l’impressione di covare tanti “se” e tanti “ma”. A questo punto, però, il percorso è aperto. L’incontro a palazzo Chigi di domani non porterà a niente. Il fragile assetto unitario si romperà. E la Cgil andrà ad una mobilitazione che metterà finalmente il Governo di fronte alle sue responsabilità. Al di là di quello che ha detto Camusso dal palco, ieri ha parlato la piazza. Ha parlato la Fiom, che ha visto scorrere i suoi striscioni per un'ora e mezza lungo lo stradone che collega piazza Vittorio a piazza San Giovanni.

Un punto di rottura, però, che nel contesto attuale, e nel modo in cui è stato gestito dai vertici della Cgil, può riverlarsi, al contrario, come un vicolo chiuso. C'è il rischio che il tutto si impantani in una lunga teoria di scioperi articolati. Non è un mistero per nessuno, infatti, che una strategia fondata sulla ricerca continua di una sponda politica rappresenta ora un limite oggettivo all’azione del sindacato. Il Pd è fortemente piegato su se stesso. Strutturato come è come “partito di potere” non ha davvero alcun interesse, se non di facciata, a mettersi in qualche modo in relazione con la società reale, che in questi giorni sembra aver imboccato di nuovo la strada della mobilitazione di massa. Questa sclerotizzazione Camusso non l’hai mai voluta vedere. In questo modo ha pensato ed agito come una leader del “novecento”.

Tornando al discorso dal palco, se sul piano dell’analisi è apparso molto preciso ed articolato, sul piano della ricerca di una strategia adeguata dà molto da pensare, pieno come è di “punti di sospensione”.
L’unica certezza è stata la piazza, appunto: lavoratori, pensionati, precari, disoccupati e studenti tornati a prendersi la parola. Una piazza generosa che prova nuovamente, come ha fatto in altre occasioni da quattro anni a questa parte, ad aprire un percorso oltre e al di là delle paure e delle titubanze dei suoi dirigenti sindacali, che in molte occasioni, come nel 2002, sono stati capaci di errori grossolani. 
Forse avevamo bisogno, su questo facciamo ammenda, di una “passeggiata romana”. Se prima non si mette sui binari la “locomotiva”, infatti, poi è difficile mettere insieme il resto del convoglio. Ora che un punto di riferimento c’è, sarà più facile convocare uno sciopero generale con qualche speranza di successo. Andava fatto, prima, certo; ma, appunto, il vizio è all’origine.
Il popolo si è preso la parola ed ora dovrà mantenerla. Da questo punto di vista non c’è alcuna formula politica che può farlo al posto suo. E’ una sfida, ma anche l’unica strada praticabile. In Grecia con quasi venti scioperi generali, questo nodo l’hanno risolto da tempo. Ed ora vanno dritti dritti alla vittoria elettorale. E quindi a un rivolgimento di fronte. Noi abbiamo accumulato un ritardo abissale, che possiamo recuperare però se mostriamo di avere le idee chiare.

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