«L’Agnesi
va a morire», si potrebbe dire parafrasando il film di Giuliano
Montaldo, tratto dal romanzo di Renata Viganò. E non per amore degli
ideali, ma per esigenze di mercato.
Il Manifesto Geraldina Colotti
«L’Agnesi deve chiudere», ha
annunciato il proprietario dello storico pastificio, Angelo
Colussi. Ma gli operai non ci stanno, e sono in sciopero, fino a
sabato 25, per il mantenimento del posto di lavoro. Sono rimasti in
110, 8 dei quali già in Cassa integrazione, più un’altra quarantina
legata all’indotto.
Ieri, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, si è recata davanti all’Agnesi per parlare con gli operai: «Il governo deve capire che bisogna tornare a investire su questa azienda – ha detto mangiando un piatto di pasta cucinata davanti alla fabbrica — Gli investimenti promessi anche a giugno non sono mai arrivati. Siamo vicini ai lavoratori in lotta nel settore alimentare, fondamentale per l’economia. Bisogna sostenere e mantenere il marchio, trovando un imprenditore che rilanci questa attività».
Una soluzione che in molti auspicano, di fronte al disinteresse degli attuali vertici aziendali: «La pasta Agnesi non si vende non per mancanza di rendimento, ma perché l’azienda non investe e non innova – dice Lina, che lavora da 27 anni nel reparto confezioni – Dopo il famoso slogan pubblicitario del “Silenzio, parla Agnesi”, tutto è andato in decadimento. Alcuni reparti sono stati chiusi, la gente mandata a casa. Eppure siamo tutt’altro che in perdita, produciamo molto per il Giappone». Proprio ieri, è infatti venuta in visita alla fabbrica una delegazione da Tokyo e le pressioni sugli operai perché levassero i picchetti non sono state poche.
Ma loro hanno tenuto duro, anche perché — dice Gigi — «da mesi veniamo tenuti sulla corda dalle promesse dell’azienda e sempre per un nulla di fatto. E siamo stanchi».
Il piano industriale promesso da Colussi ha lasciato intendere il mantenimento del marchio sul comune di Imperia ma in termini ultraridotti, resterebbe in piedi solo un reparto per la produzione di pasta artigianale e sughi. «Un progetto per pochissimi posti di lavoro – dice Alessandro – e comunque anche su questo non ci sono certezze».
La senatrice Pd Donatella Albano, che sta seguendo il tavolo di trattative a livello nazionale, ha espresso solidarietà agli operai: «Dal tavolo di crisi presso il Ministero dello Sviluppo Economico — ha detto — era uscito l’impegno del Gruppo Colussi per garantire gli attuali livelli occupazionali del pastificio, anche tramite una riconversione industriale per la produzione di sughi e succedanei. Dalla riunione tenutasi a Perugia il 17 ottobre risulta però che questa prospettiva non è più tenuta in considerazione. Il governo sta facendo il possibile per rilanciare l’industria agroalimentare italiana, sono questi i “capitani d’industria” che abbiamo?»
Domani vi sarà un nuovo incontro con i vertici aziendali e oggi alle 18 gli operai hanno organizzato una fiaccolata. La città di Imperia li sostiene, finora hanno già raccolto oltre 6.000 firme. L’Agnesi è la più antica fabbrica di pasta, attiva dal 1824. E le sue ciminiere, che si stagliano sul porto di Oneglia, da allora sono il simbolo di Imperia, cittadina del Ponente Ligure che conta 220.000 abitanti. Un patrimonio industriale in continua dismissione.
Un processo iniziato prima che nelle altre parti d’Italia, nei primissimi anni ’80. «Tutte le nostre fabbriche sono state immolate sull’altare della speculazione edilizia – dice al manifesto Carla Nattero, segretaria regionale di Sel Liguria -. Una leva di imprenditori legati all’impero del mattone ha preferito dismettere le fabbriche e guadagnare sulla rendita fondiaria. E questo è l’ultimo atto. La cosa che più imputo a Claudio Scajola è di aver aiutato i suoi amici ad avere un cambio di destinazione d’uso dei loro stabilimenti e indici di piano regolatore molto alti in modo che avessero grossi vantaggi dalla rendita fondiaria nel momento della speculazione edilizia. E così, quando il settore è entrato in crisi, l’insieme di questi imprenditori, con Scajola, ha prodotto questo deserto industriale».
Per mettere un freno alle speculazioni, la lista Imperia bene comune, che racchiude tutte le anime della sinistra alternativa, compresa Rifondazione e il centro sociale La Talpa e L’Orologio, ha presentato una mozione in consiglio comunale, che però non è passata. «Anche dietro la dismissione dell’Agnesi – dice il consigliere Mauro Servalli – si profila la possibilità di costruire in una vasta area nel cuore della città, di fronte al mare». Un’operazione approvata e cantierabile detta La Porta del mare — precisa Enrico Revello, responsabile Cgil, che si dice deciso ad accompagnare gli operai «anche fino all’occupazione della fabbrica e all’autogestione».
Nel porto di Oneglia, su un’enorme gru campeggia uno striscione: “Nuova dieta mediterranea? Palazzine e posti barca”. Dice al manifesto Valerio Romano, console della Compagnia portuale: «Lo striscione lo abbiamo fatto per il Forum della dieta meditterranea, un evento internazionale che torna qui a novembre. A forza di chiudere le fabbriche dell’olio e ora quella della pasta, stiamo perdendo tutti i componenti della dieta mediterranea. Il 28 febbraio Colussi ha chiuso il mulino dell’Agnesi. Il grano duro, che si macinava con poca spesa perché arrivava via mare e la fabbrica si trova a 150 metri, ha smesso di arrivare. Risultato, 28 posti di lavoro tagliati, meno controllo sulla qualità perché ora si usa la semola proveniente da fuori e ancor meno lavoro per noi portuali, spinti sempre di più verso la privatizzazione del porto».
Ieri, la segretaria generale della Cgil, Susanna Camusso, si è recata davanti all’Agnesi per parlare con gli operai: «Il governo deve capire che bisogna tornare a investire su questa azienda – ha detto mangiando un piatto di pasta cucinata davanti alla fabbrica — Gli investimenti promessi anche a giugno non sono mai arrivati. Siamo vicini ai lavoratori in lotta nel settore alimentare, fondamentale per l’economia. Bisogna sostenere e mantenere il marchio, trovando un imprenditore che rilanci questa attività».
Una soluzione che in molti auspicano, di fronte al disinteresse degli attuali vertici aziendali: «La pasta Agnesi non si vende non per mancanza di rendimento, ma perché l’azienda non investe e non innova – dice Lina, che lavora da 27 anni nel reparto confezioni – Dopo il famoso slogan pubblicitario del “Silenzio, parla Agnesi”, tutto è andato in decadimento. Alcuni reparti sono stati chiusi, la gente mandata a casa. Eppure siamo tutt’altro che in perdita, produciamo molto per il Giappone». Proprio ieri, è infatti venuta in visita alla fabbrica una delegazione da Tokyo e le pressioni sugli operai perché levassero i picchetti non sono state poche.
Ma loro hanno tenuto duro, anche perché — dice Gigi — «da mesi veniamo tenuti sulla corda dalle promesse dell’azienda e sempre per un nulla di fatto. E siamo stanchi».
Il piano industriale promesso da Colussi ha lasciato intendere il mantenimento del marchio sul comune di Imperia ma in termini ultraridotti, resterebbe in piedi solo un reparto per la produzione di pasta artigianale e sughi. «Un progetto per pochissimi posti di lavoro – dice Alessandro – e comunque anche su questo non ci sono certezze».
La senatrice Pd Donatella Albano, che sta seguendo il tavolo di trattative a livello nazionale, ha espresso solidarietà agli operai: «Dal tavolo di crisi presso il Ministero dello Sviluppo Economico — ha detto — era uscito l’impegno del Gruppo Colussi per garantire gli attuali livelli occupazionali del pastificio, anche tramite una riconversione industriale per la produzione di sughi e succedanei. Dalla riunione tenutasi a Perugia il 17 ottobre risulta però che questa prospettiva non è più tenuta in considerazione. Il governo sta facendo il possibile per rilanciare l’industria agroalimentare italiana, sono questi i “capitani d’industria” che abbiamo?»
Domani vi sarà un nuovo incontro con i vertici aziendali e oggi alle 18 gli operai hanno organizzato una fiaccolata. La città di Imperia li sostiene, finora hanno già raccolto oltre 6.000 firme. L’Agnesi è la più antica fabbrica di pasta, attiva dal 1824. E le sue ciminiere, che si stagliano sul porto di Oneglia, da allora sono il simbolo di Imperia, cittadina del Ponente Ligure che conta 220.000 abitanti. Un patrimonio industriale in continua dismissione.
Un processo iniziato prima che nelle altre parti d’Italia, nei primissimi anni ’80. «Tutte le nostre fabbriche sono state immolate sull’altare della speculazione edilizia – dice al manifesto Carla Nattero, segretaria regionale di Sel Liguria -. Una leva di imprenditori legati all’impero del mattone ha preferito dismettere le fabbriche e guadagnare sulla rendita fondiaria. E questo è l’ultimo atto. La cosa che più imputo a Claudio Scajola è di aver aiutato i suoi amici ad avere un cambio di destinazione d’uso dei loro stabilimenti e indici di piano regolatore molto alti in modo che avessero grossi vantaggi dalla rendita fondiaria nel momento della speculazione edilizia. E così, quando il settore è entrato in crisi, l’insieme di questi imprenditori, con Scajola, ha prodotto questo deserto industriale».
Per mettere un freno alle speculazioni, la lista Imperia bene comune, che racchiude tutte le anime della sinistra alternativa, compresa Rifondazione e il centro sociale La Talpa e L’Orologio, ha presentato una mozione in consiglio comunale, che però non è passata. «Anche dietro la dismissione dell’Agnesi – dice il consigliere Mauro Servalli – si profila la possibilità di costruire in una vasta area nel cuore della città, di fronte al mare». Un’operazione approvata e cantierabile detta La Porta del mare — precisa Enrico Revello, responsabile Cgil, che si dice deciso ad accompagnare gli operai «anche fino all’occupazione della fabbrica e all’autogestione».
Nel porto di Oneglia, su un’enorme gru campeggia uno striscione: “Nuova dieta mediterranea? Palazzine e posti barca”. Dice al manifesto Valerio Romano, console della Compagnia portuale: «Lo striscione lo abbiamo fatto per il Forum della dieta meditterranea, un evento internazionale che torna qui a novembre. A forza di chiudere le fabbriche dell’olio e ora quella della pasta, stiamo perdendo tutti i componenti della dieta mediterranea. Il 28 febbraio Colussi ha chiuso il mulino dell’Agnesi. Il grano duro, che si macinava con poca spesa perché arrivava via mare e la fabbrica si trova a 150 metri, ha smesso di arrivare. Risultato, 28 posti di lavoro tagliati, meno controllo sulla qualità perché ora si usa la semola proveniente da fuori e ancor meno lavoro per noi portuali, spinti sempre di più verso la privatizzazione del porto».
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