Il cosiddetto “decreto del fare” del governo Letta si sta rivelando per quello che è in realtà: un miscuglio di briciole sparse qua e la e una serie di provvedimenti che non hanno alcun valore economico in termini di sviluppo o di risanamento.
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Se sono queste le misure che il governo
Napolitano/Letta/Berlusconi/Epifani ha studiato per rilanciare
l'economia, siamo certi che i risultati saranno praticamente pari a
zero.
Gli unici ad essere contenti saranno sicuramente i
possessori di barche ai quali verranno ridotte le tasse, ma sicuramente
questo provvedimento non avrà grandi riflessi sulle sorti del paese.
Il signor Letta non vuole riconoscere apertamente
che il suo spazio di manovra e quello del governo che guida sono
limitati da quanto stabilito dalla Comunità europea, dalla BCE e da
tutte quelle istituzioni pubbliche e private che si stanno mangiando le
ricchezze e le risorse dell'intero pianeta.
Bisogna essere chiari sino in fondo: o si sfondano
quei parametri dettati da accordi comunitari e tra stati che stanno
comprimendo le economie di gran parte dei paesi europei, si supera il
vincolo del debito rivendicando l'autonomia e la sovranità dei singoli
stati e si avvia una politica economica di sviluppo attraverso il ruolo
prioritario e trainante dello stato, oppure qualsiasi “decreto del fare”
si trasformerà in carta straccia.
Carta straccia e fumo per nascondere le vere manovre
economiche e finanziarie che mentre la crisi si fa sempre più feroce
per milioni di famiglie, stanno disegnando nuovamente una enorme
ridistribuzione di risorse e di ricchezza dai più poveri ai più ricchi.
Il rilancio dell'economia, su basi diverse e più
solide di quelle attuali, si costruisce soltanto attraverso un rinnovato
ruolo dello stato che dovrebbe intervenire direttamente nell'economia
reale e non salvando banche e regalando soldi alle industrie che nella
maggioranza dei casi non li investono ma li “trasformano” in rendite
finanziarie.
Un intervento massiccio e calibrato su settori che
possano realmente rilanciare l'economia attraverso politiche ambientali e
di risanamento e messa in sicurezza del territorio, di sviluppo del
turismo, dei beni culturali, della valorizzazione dei beni comuni, del
rilancio della ricerca e della scuola pubblica, della lotta
all’abusivismo e all’evasione ecc.
Un intervento che però deve comprendere anche azioni
di carattere industriale, utilizzando anche lo strumento della
nazionalizzazione per garantire il mantenimento dei livelli produttivi e
occupazionali e l'intervento economico diretto in aziende e settori
strategici.
Questi sono obiettivi concreti e realizzabili, sono
strumenti attraverso i quali si ricostruisce un sistema industriale,
turistico, alimentare, culturale forte e compatibile con il nostro
territorio e le nostre esigenze occupazionali e di lotta alle
disuguaglianza e all'enorme squilibrio esistente tra chi ha tutto e chi
non ha più nulla.
Tutto il resto sono chiacchiere e inutili
imbellettamenti di una situazione che sta portando l'intero paese allo
sfascio e milioni di donne e uomini alla povertà, in nome di un'Europa
che è guidata esclusivamente dalla BCE e dalla finanza internazionale,
in nome di un “dio mercato” che ha mutato culturalmente, prima ancora
che economicamente, la testa e le abitudini di centinaia di milioni di
abitanti di questo pianeta.
E allora è necessario che siano le
lavoratrici ed i lavoratori, i disoccupati, gli studenti e i pensionati a
cominciare a praticare la “POLITICA DEL FARE”, del fare conflitto
sociale!
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