venerdì 28 giugno 2013

Nozze gay, il mondo decide mentre l’Italia è paralizzata

di Stefano Rodotà, da Repubblica, 28 giugno 2013
La decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti sul matrimonio tra persone dello stesso sesso non è un fulmine a ciel sereno, la rottura di un ordine ben saldo, la bizzarria che ci arriva da un paese eccentrico e lontano. Un buon liberale si rifarebbe a Rudolf von Jhering e direbbe che questo è l’effetto di una lunga “lotta per il diritto”.
Concludendo poi che così diviene concreto quel necessario passaggio dalla “politica del disgusto” alla “politica dell’umanità” auspicato da Martha Nussbaum.

Non è un avvenimento isolato, perché viene dopo che 13 Stati americani e molti altri Paesi si erano già mossi in questa direzione, ultima la Francia. E, se guardiamo all’Europa, scopriamo che qui non vi è soltanto l’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta ogni discriminazione basata sulle tendenze sessuali. Vi è, soprattutto, l’articolo 9 dove si stabilisce che «il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio». E il passo avanti rappresentato dalla Carta diventa ancor più evidente se si fa un confronto con quello che dispone l’articolo 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950, dov’è scritto che quei diritti sono rispettati solo se le unioni riguardano “uomini e donne”.

La nostra Corte costituzionale, fin dal 2010, ha riconosciuto la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, poiché siamo di fonte ad una delle “formazioni sociali” di cui parla l’articolo 2 della Costituzione. Da questa constatazione la Corte trae una conclusione importante: alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile «spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Sono parole impegnative: un “diritto fondamentale” attende il suo pieno riconoscimento. 


La Corte di Cassazione è stata più netta dei giudici costituzionali, ai quali era stata giustamente rimproverata una ingiustificata reticenza. Con la sentenza numero 4184 del 2012, riprendendo alcune conclusioni della Corte europea dei diritti dell’uomo, ha affermato che, essendo ormai venuto meno il requisito della diversità di sesso e poiché si è in presenza di un diritto fondamentale, le coppie formate da persone dello stesso sesso possono rivolgersi ai giudici «per far valere, in presenza di specifiche situazioni, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata».

Di fronte a tutto questo, il Parlamento è rimasto silenzioso e distratto, ignorando pure il recente monito del Presidente della Corte costituzionale sulla necessità di seguire indicazioni tanto impegnative. Ma la disattenzione del Parlamento continua, privando così le persone di diritti costituzionalmente garantiti. E non vi è alcun segnale che faccia sperare in una sorta di “ravvedimento operoso” sulla via del necessario riconoscimento dell’eguaglianza e del rispetto della dignità di ogni persona.

Chiusi nella loro autoreferenziale ossessione di far sopravvivere il Governo a qualsiasi costo, i partiti della maggioranza hanno cancellato dalla loro agenda qualsiasi riferimento ai diritti civili, a tutti quelli che vengono definiti “nuovi diritti”, ritenuti “divisivi”, tali da poter provocare fratture politicamente insanabili. Così la loro politica si allontana dalla società, ne ignora le dinamiche e i bisogni, chiude ogni canale di comunicazione con i cittadini proprio nel momento in cui la politica può legittimarsi nei loro confronti solo mostrandosi capace di coglierne le richieste e di costruire intorno ad esse una agenda politica non più autoreferenziale.

Si sta pagando un prezzo altissimo, perché questioni capitali del nostro tempo vengono scansate con una mossa di fastidio. O ricorrendo all’orribile argomento secondo il quale, quando premono drammaticamente i problemi dell’economia fino a coinvolgere la vita quotidiana di moltissimi, i diritti non interessano nessuno, sono un lusso che non ci si può permettere. E così scompaiono l’urgente riscrittura della legge sulla procreazione assistita, denudata nel suo carattere ideologico dai giudici italiani ed europei, il divorzio breve, una disciplina sobria del diritto di morire con dignità. Mentre si contempla da lontano il Datagate, si insiste nello smantellamento di importanti garanzie per la privacy, mantenendo ferma una linea di favore per gli interessi economici e i poteri di polizia messa a punto dagli ultimi governi. 

Si discetta in astratto sulla Rete, e intanto si cerca di far passare norme ispirate alla sola logica proprietaria, senza tener conto del fatto che il punto di partenza di ogni disciplina della conoscenza in Rete è il suo riconoscimento come bene comune. Dopo casi gravissimi, si continua a ritenere quasi irrilevante l’approvazione di una legge sulla tortura. Si potrebbe continuare, ma bastano questi esempi per mostrare che siamo di fronte a questioni che interessano direttamente milioni di persone, il loro diritto di governare liberamente la loro vita e di costruire liberamente la loro personalità. E molti di questi provvedimenti sono a costo zero, dunque pienamente compatibili con tempi di ristrettezze economiche.

La mancanza di qualsiasi orizzonte, l’assenza di una credibile prospettiva politica fanno sì che anche provvedimenti in qualche modo utili, come quelli riguardanti carceri ed esecuzione delle pene, scadano a puri fatti emergenziali, incapaci di incidere davvero sulle strutture pubbliche. È quel che accade anche nella materia del lavoro, dove si continua ad ignorare la prospettiva individuata dalle proposte sul reddito minimo di cittadinanza, che potrebbero convertirsi in una forte spinta verso una revisione complessiva degli ammortizzatori sociali.

Discorsi astratti? Gettiamo allora lo sguardo sulle cronache, che qualche tempo fa ci hanno parlato di un bambino obbligato a scendere dallo scuolabus perché i genitori non avevano più il denaro necessario per pagare il servizio. Si può immaginare una violazione più profonda della dignità di questo bambino, mortificato davanti ai suoi amici e così espropriato anche della “dignità sociale” che gli riconosce l’articolo 3 della Costituzione? E una bella inchiesta di questo giornale ha documentato la crescita dei casi in cui le persone rinunciano alle cure perché non possono pagare il ticket. Così la salute, da diritto fondamentale, viene degradata a merce da comprare sul mercato, con un aggravio in prospettiva degli stessi costi pubblici, perché cresceranno le patologie determinate dall’impossibilità di accedere alla medicina preventiva.

Non cadiamo nella trappola di chi sostiene che i diritti costano, e sono insostenibili in tempo di crisi. Consideriamo il caso dell’Ilva. Se fin dall’inizio fossero stati presi sul serio il diritto al lavoro e quella alla salute, non si sarebbe arrivati alla situazione attuale e alla necessità di gravosi investimenti. I diritti costano soprattutto quando non vengono rispettati.

Dal mondo ci vengono indicazioni importanti sul modo in cui devono essere garantiti i diritti sociali. Nel caso Myriad Genetics la Corte suprema americana ha dato un alt a forme di brevettazione dell’umano, come già aveva fatto la Corte europea di giustizia, mettendo in evidenza che il principio di dignità è un ineliminabile criterio di valutazione della legittimità delle attività economiche. E Germania, Canada, India, Sudafrica rinviano a quel principio per garantire il diritto alla salute, quello all’abitazione, l’adeguatezza delle prestazioni sociali.

Ci stiamo allontanando drammaticamente dal mondo civile dei diritti? Tornando al nostro Parlamento, e all’ormai collaudata insensibilità della maggioranza, forse l’opposizione dovrebbe sfruttare fino in fondo le opportunità offerte dai regolamenti per far discutere le sue proposte. Verranno bocciate? Ma, almeno le persone potrebbero identificare nitidamente chi sta da una parte e chi dall’altra.

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