I democratici hanno accolto la nuova condanna del Cavaliere con un comunicato imbarazzato e molti silenzi. Per i veltroniani «siamo al governo insieme per il bene del paese, le sentenze non c'entrano». Per i renziani «va sconfitto nelle urne e non nei tribunali». Uniche voci critiche: il sindaco Emiliano e Pippo Civati.
l'espresso di Luca Sappino
La condanna a sette anni e all'interdizione perpetua dai pubblici
uffici è per Silvio Berlusconi. Ma quelli più interdetti sembrano,
per ora, i suoi alleati democratici.
Dal Pd, infatti, per tutta la giornata di ieri hanno tardato ad arrivare reazioni, soprattutto capaci di poter minare anche solo lontanamente la stabilità del governo Letta.
Dal Pdl, invece, le reazioni non si sono fatte attendere e hanno subito assunto toni molto duri. E se Daniela Santaché ha ripetuto più volte «non è giustizia», l'ex ministro Paolo Romani ha parlato di «colpo di Stato». Il senatore Lucio Malan ha giudicato la sentenza «allucinante» e «pericolosa per la democrazia», mentre Mariastella Gelmini ha detto che, con la sentenza, si inaugura una giustizia «da Grande Fratello». Anche il Pdl però, nonostante lo stesso vicepremier Angelino Alfano sia intervenuto con un inequivocabile «Berlusconi tenga duro», come anticipato da molti nei giorni scorsi, tiene il governo Letta fuori dai giochi. Proprio la battaglierà Santanché lo conferma ai cronisti: «Governo e ingiustizia non c'entrano». Di più: «Non si pensi» aggiunge Maurizio Lupi «di intimidire così chi sta lavorando per il rilancio dell'economia del nostro Paese».
Anche se, nello specifico, il ministro Lupi e i colleghi Alfano, De Girolamo e Lorenzin, erano tra i 314 deputati che il 5 aprile 2011, Berlusconi al governo, votarono per assicurare che, per lo Stato, e quindi anche per Berlusconi, Ruby fosse realmente la nipote di Mubarak e che quindi, la telefonata che costa oggi la condanna per concussione per costrizione al leader del Pdl, era ragione di Stato.
Ecco allora un leggero imbarazzo. Se il Pdl non si sfila e il governo andrà avanti, il Pd dovrà convivere con Silvio Berlusconi condannato, pur in primo grado, per concussione e prostituzione minorile.
La posizione non è certo di quelle comode e infatti, nel silenzio, si leva la voce ufficiale del Partito, equilibrata e formale: «Prendiamo atto della sentenza pronunciata dai giudici della quarta sezione del Tribunale penale di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi. Come sempre, il Pd esprime rispetto per le decisioni, di qualunque segno siano, che la magistratura prende nella propria autonomia».
Nonostante il comunicato ufficiale, però, c'è chi si spinge più lontano: «Berlusconi venga condannato dagli elettori nelle urne e non con i verdetti delle aule di giustizia», dicono i senatori democratici di area renziana Andrea Marcucci e Mauro Del Barba. «Ci auguriamo che la sinistra non cada nel solito tranello e tenga ben distinte le vicende personali di Berlusconi da quelle politiche», aggiungono. E poi: «I partiti sono chiamati ad una prova di maturià: andare oltre, non farsi influenzare dalla condanna del leader del Pdl». Insomma, per il governo non deve cambiare nulla.
Lo conferma anche Dario Nardella, deputato molto vicino al sindaco di Firenze, che ieri sera a Porta a Porta ha ribadito il concetto: «Dobbiamo stare attenti a separare la sfera politica da quella di giudizio dei giudici milanesi», anche perché la sentenza, «dura», «addirittura superiore alle richieste della procura, smentendo l'etichetta di severità verso Berlusconi», «è di primo grado e vi saranno tutte le garanzie per l'imputato Berlusconi».
Non la pensano così solo i renziani, però. Walter Verini, ad esempio, a lungo braccio destro di Walter Veltroni, si chiede: «Che c'entra che siamo al governo insieme?». «Siccome noi abbiamo perduto le elezioni, nessuno le ha vinte» spiega Verini «per fare dieci cose utilissime e urgenti abbiamo fatto un governo di necessità in cui noi crediamo, con un vicepresidente e un presidente». Il governo rischia? «Ma perché dovrebbe?» si chiede ancora «Se qualcuno pensa di farlo rischiare, sbaglia».
Uno spaesato Pippo Civati, sentito tutto questo, suggerisce ai cronisti il suo ultimo post con un messaggio dai toni sconsolati: «Ma solo l'unico a pensarla così?». Civati sul suo blog scrive: «Dopo la condanna di oggi, che segue quell'altra, non è sufficiente (né sano) dire che bisogna batterlo politicamente, che non si commentano le sentenze (quelli del Pdl, però, le commentano, eccome se le commentano), che il governo prosegue come se nulla fosse». E ancora: «Fare finta di niente non è da larghe intese, è semplicemente un malinteso. Grave e complice, non sul piano morale, sul piano politico. Anzi, sul piano di tutto quanto».
Non sono in tanti a pensarla come lui, o almeno non sono tanti a dirlo, ma non è il solo, non è l'unico, Civati. Anzi. Più diretto ancora è Michele Emiliano, sindaco di Bari, da sempre critico sul governo Letta: «Il Pd» dice «non può governare alleato di un partito guidato da persona condannata complessivamente a 12 anni di carcere».
E' una constatazione banale, per Emiliano. Che però si chiede: «Quando se ne accorgono Letta ed Epifani?».
Dal Pd, infatti, per tutta la giornata di ieri hanno tardato ad arrivare reazioni, soprattutto capaci di poter minare anche solo lontanamente la stabilità del governo Letta.
Dal Pdl, invece, le reazioni non si sono fatte attendere e hanno subito assunto toni molto duri. E se Daniela Santaché ha ripetuto più volte «non è giustizia», l'ex ministro Paolo Romani ha parlato di «colpo di Stato». Il senatore Lucio Malan ha giudicato la sentenza «allucinante» e «pericolosa per la democrazia», mentre Mariastella Gelmini ha detto che, con la sentenza, si inaugura una giustizia «da Grande Fratello». Anche il Pdl però, nonostante lo stesso vicepremier Angelino Alfano sia intervenuto con un inequivocabile «Berlusconi tenga duro», come anticipato da molti nei giorni scorsi, tiene il governo Letta fuori dai giochi. Proprio la battaglierà Santanché lo conferma ai cronisti: «Governo e ingiustizia non c'entrano». Di più: «Non si pensi» aggiunge Maurizio Lupi «di intimidire così chi sta lavorando per il rilancio dell'economia del nostro Paese».
Anche se, nello specifico, il ministro Lupi e i colleghi Alfano, De Girolamo e Lorenzin, erano tra i 314 deputati che il 5 aprile 2011, Berlusconi al governo, votarono per assicurare che, per lo Stato, e quindi anche per Berlusconi, Ruby fosse realmente la nipote di Mubarak e che quindi, la telefonata che costa oggi la condanna per concussione per costrizione al leader del Pdl, era ragione di Stato.
Ecco allora un leggero imbarazzo. Se il Pdl non si sfila e il governo andrà avanti, il Pd dovrà convivere con Silvio Berlusconi condannato, pur in primo grado, per concussione e prostituzione minorile.
La posizione non è certo di quelle comode e infatti, nel silenzio, si leva la voce ufficiale del Partito, equilibrata e formale: «Prendiamo atto della sentenza pronunciata dai giudici della quarta sezione del Tribunale penale di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi. Come sempre, il Pd esprime rispetto per le decisioni, di qualunque segno siano, che la magistratura prende nella propria autonomia».
Nonostante il comunicato ufficiale, però, c'è chi si spinge più lontano: «Berlusconi venga condannato dagli elettori nelle urne e non con i verdetti delle aule di giustizia», dicono i senatori democratici di area renziana Andrea Marcucci e Mauro Del Barba. «Ci auguriamo che la sinistra non cada nel solito tranello e tenga ben distinte le vicende personali di Berlusconi da quelle politiche», aggiungono. E poi: «I partiti sono chiamati ad una prova di maturià: andare oltre, non farsi influenzare dalla condanna del leader del Pdl». Insomma, per il governo non deve cambiare nulla.
Lo conferma anche Dario Nardella, deputato molto vicino al sindaco di Firenze, che ieri sera a Porta a Porta ha ribadito il concetto: «Dobbiamo stare attenti a separare la sfera politica da quella di giudizio dei giudici milanesi», anche perché la sentenza, «dura», «addirittura superiore alle richieste della procura, smentendo l'etichetta di severità verso Berlusconi», «è di primo grado e vi saranno tutte le garanzie per l'imputato Berlusconi».
Non la pensano così solo i renziani, però. Walter Verini, ad esempio, a lungo braccio destro di Walter Veltroni, si chiede: «Che c'entra che siamo al governo insieme?». «Siccome noi abbiamo perduto le elezioni, nessuno le ha vinte» spiega Verini «per fare dieci cose utilissime e urgenti abbiamo fatto un governo di necessità in cui noi crediamo, con un vicepresidente e un presidente». Il governo rischia? «Ma perché dovrebbe?» si chiede ancora «Se qualcuno pensa di farlo rischiare, sbaglia».
Uno spaesato Pippo Civati, sentito tutto questo, suggerisce ai cronisti il suo ultimo post con un messaggio dai toni sconsolati: «Ma solo l'unico a pensarla così?». Civati sul suo blog scrive: «Dopo la condanna di oggi, che segue quell'altra, non è sufficiente (né sano) dire che bisogna batterlo politicamente, che non si commentano le sentenze (quelli del Pdl, però, le commentano, eccome se le commentano), che il governo prosegue come se nulla fosse». E ancora: «Fare finta di niente non è da larghe intese, è semplicemente un malinteso. Grave e complice, non sul piano morale, sul piano politico. Anzi, sul piano di tutto quanto».
Non sono in tanti a pensarla come lui, o almeno non sono tanti a dirlo, ma non è il solo, non è l'unico, Civati. Anzi. Più diretto ancora è Michele Emiliano, sindaco di Bari, da sempre critico sul governo Letta: «Il Pd» dice «non può governare alleato di un partito guidato da persona condannata complessivamente a 12 anni di carcere».
E' una constatazione banale, per Emiliano. Che però si chiede: «Quando se ne accorgono Letta ed Epifani?».
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