Prima mossa: disabilitare la banca centrale, impedendole di continuare ad essere il “bancomat” del governo, a costo zero. Seconda mossa: togliere al governo la facoltà di emettere moneta, obbligandolo ad “acquistare” dalle banche private la valuta un tempo sovrana, cioè gratuita. Terza e ultima mossa: abolire anche l’ultima quota residua di sovranità politica, imponendo al governo una camicia di forza per limitare la spesa pubblica, vitale per i cittadini: sanità, scuola, assistenza. Risultato ovvio: tracollo dell’economia e catastrofe sociale. E’ l’Europa dell’euro, dove tutto sta precipitando. Tunnel senza uscita. Un sistema feudale di sovrani invisibili e nuovi sudditi, governato da un potere occulto e micidiale, nascosto dietro un nome straniero: spread. Il trucco: “privatizzare” il debito statale un tempo pubblico, mettendo all’asta la vita di milioni di cittadini. Gli Stati sotto ricatto: il prezzo della sopravvivenza decretato da un pugno di oligarchi. Più gli Stati s’indebitano, più gli strozzini si arricchiscono. La crisi è il loro affare d’oro, e ha un nome familiare: debito pubblico. Film dell’orrore, made in Italy: ideato da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi.
Lo sostiene Glauco Benigni, che su “Globalist” svela l’origine del più opaco meccanismo di potere con il quale la tecno-finanza tiene in pugno i popoli dell’Eurozona, a cui nessuno spiega mai perché “le cose vanno male”. Congiunture internazionali e flessioni fisiologiche dell’economia? A monte, l’origine finanziaria della recessione è determinata da una potentissima cabina di regia che, a tavolino, decreta la rovina di intere nazioni manovrando sul valore del “debito sovrano”, l’ex debito pubblico ora in mano ai “mercati”: più un paese affonda, più i “grandi compratori” lucrano sui titoli di Stato. E senza che nessuno intervenga: non la politica al guinzaglio degli usurai, né i loro media sordomuti. «L’argomento appare ammantato da fitte nebbie», protetto da un linguaggio inaccessibile e da «decisioni politiche spesso inspiegabili», premette Benigni. «Una questione da iniziati, veramente “esoterica”, nella quale pochissimi hanno messo e mettono le mani». Nessuno ne parla, ma gli esiti di questa piccola storia ignobile «generano pesanti ricadute sugli Stati (ex sovrani) e sulle famiglie che abitano in Europa», cioè su milioni di individui che sono diventati, inconsapevolmente, «i “prestatori di ultima istanza” del debito sovrano e quindi i garanti di quei “cambialoni”, detti Bot e Cct, che gli Stati danno alle banche in cambio di denaro».
Questa, rivela l’analisi del blogger, è la vera storia di “sua maestà” lo spread e del luogo virtuale dove i suoi valori oscillano incessantemente. Tutto nasce 25 anni fa. Protagonisti occulti, “i mercati”, grossolanamente evocati con una definizione che «assicura un’impermeabile anonimità». A pesare, in particolare, è uno di quei mercati, «il famigerato “secondario” di Londra, anche noto nei pub della City come Jack lo Squartatore». In un’intervista rilasciata a “Specchio Economico” nel 2007, il finanziere Gianluca Garbi, già consigliere del ministero del Tesoro, esperto finanziario con incarichi alla Bnp Paribas e alla Jp Morgan, nonché collaboratore di Mario Draghi, afferma: «Nel 1988, per assicurare una corretta gestione dei titoli del debito pubblico e per indicare anche in modo trasparente i prezzi, il ministero del Tesoro istituì un mercato all’ingrosso dei titoli di Stato basato su un circuito telematico». Testuale: mercato all’ingrosso dei titoli di Stato. Ora amministratore di Banca Sistema, Garbi conosce bene la questione: fu proprio Draghi, dieci anni dopo l’esordio di quello strano mercato, a nominarlo nel 1998 presidente del consiglio di gestione dell’Mts, la “Borsa del debito pubblico”, in cui ogni giorno venivano scambiati 110 miliardi di euro.
Mts: dunque Jack lo Squartatore ha un nome. Ma se si interroga Google, oggi si può solo rintracciare «una definizione diversa, ancorché sovrapponibile», ovvero: Mts Group. Dove il vecchio Mercato dei Titoli di Stato è diventato “Market of Treasury Security”, società con uffici a Londra, New York, Milano e Roma che, «grazie ad un elegante sito, ci racconta una storia aggrovigliata ma molto interessante: nonostante sia iniziata in Italia, la storia è narrata solo in inglese». È vero, conferma la brochure, «tutto comincia nel 1988» nel nostro paese, grazie a due uomini decisivi: l’allora ministro del Tesoro, Giuliano Amato, e il futuro presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca governatore di Bankitalia. La loro “intuizione folgorante”: cominciamo a offrire titoli a reddito fisso emessi dallo Stato non più e non solo secondo le tradizioni, ma con le modalità offerte dalla contrattazione su reti digitali. In pratica un mercato che, probabilmente ispirato dal successo di Nasdaq, si collocava nel solco della “rivoluzione digitale” in corso. «Un modo di comprare e vendere che, da quel momento in poi, avrebbe travolto ogni precedente rituale di scambio dei titoli di Stato», osserva Benigni.
Bot, Cct e simili, i titoli dei nonni e delle zie, quelli che poi sarebbero stati definiti bond, diventavano “securities” trattabili e scambiabili a grandissime velocità in ambiente “digitale ubiquo”. Una parte degli scambi si continuava (e si continua) a farli “a voce”, ma la tendenza da accreditare era (ed è) quella di usare al massimo i sistemi online. «Fin qui tutto bene: l’Mts era stato “inventato” dagli italiani e restava di proprietà e sotto il controllo degli italiani». Per quattro anni si procede, per fasi progressive, alla sperimentazione-evoluzione del sistema. Nel 1992 l’Mts consolida l’uso di una sua piattaforma proprietaria che diventa il suo vero pezzo forte. Nel 1994 vengono introdotti sistemi di controllo ulteriori. Nel 1997 il sistema lancia il mercato elettronico delle “repo transactions”, i “pronti contro termine”. Il 1997 è anche l’anno della prima svolta, aggiunge Benigni, perché poi nel 1998 l’Mts viene privatizzato: ovvero trasformato in soggetto giuridico di diritto privato. Per l’esattezza una Spa, di proprietà di 52 istituti bancari, operante comunque sotto la supervisione della Banca d’Italia, del ministero del Tesoro e della Consob.
«È a questo punto che entra in scena Gianluca Garbi», spiega Benigni. «Sotto la sua guida l’Mts continua a svilupparsi e comincia a rappresentare un modello in diversi paesi d’Europae nel mondo. Addirittura sostiene l’attivazione e assume partecipazioni in alcuni mercati locali simili, interfacciando 250 istituzioni finanziarie». Strano ma vero: «Alcuni italiani assumono la leadership in uno dei settori più strategici della contemporaneità, e tutto nell’assordante silenzio dei media». Intanto, il valore della società passa da 6 a 245 milioni di euro. «A partire dal 1999 – continua Garbi nella sua intervista – il modello Mts è stato esportato in tutti i paesi dell’area euro in seguito alla creazione di una piattaforma paneuropea, l’EuroMts». Nel 2001 l’Mts SpA si fonde con l’EuroMts. Nel 2003 viene lanciato l’indice EuroMts, «primo indice di titoli statali per l’area dell’euro – continua Garbi – calcolato in tempo reale e totalmente indipendente e trasparente». Vengono anche avviati il New EuroMts e l’EuroGlobal Mts, il primo per lo scambio di bond denominati in euro ed emessi dai governi entrati a far parte dell’Ue, e l’altro per lo scambio dei bond emessi da governi non Ue.
«Un’insalatona ricca, veramente appetitosa: tant’è che comincia a suscitare gli appetiti dei Moloch», rileva Glauco Benigni. Nel novembre 2005 – ricorda Garbi – Euronext N.V., che raggruppa le Borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, il Liffe e la Borsa Italiana, acquisisce la maggioranza della Mts SpA. «Sul tavolo sono arrivate ben 17 offerte d’acquisto e oggi l’azionista di maggioranza, attraverso la holding Mbe, è il gruppo formatosi tra la Borsa di New York e l’Euronext». E qui l’Mts smette di parlare e tenere conti in italiano. Comincia a sciogliersi nel grande mare della finanza globalizzata. Perché? «La fusione con Wall Street – dice Garbi – potrebbe portare ulteriori opportunità di crescita per tutto il gruppo». In effetti il 2006 è un anno record: i volumi di compravendita aumentano del 13,5%. La società registra un Ebit (guadagno prima delle tasse) di oltre 16,7 milioni di euro, mantiene la leadership nel mercato Interdealer e nel settore reddito fisso europeo, attira addirittura gli interessi della Borsa cinese e lancia Mts Israel, che in poche settimane raggiunge volumi di scambio superiori al miliardo di euro. «L’alchimia funziona – dicono i boss – vediamo come tramutare in oro i sogni e i bisogni della gente».
«Da quel momento – scrive Benigni – si crea infatti una specie di bacino virtuale, un lago digitale di bond, alimentato dalla esigenza degli Stati di ottenere denaro in una stagione in cui non possono più stampare moneta». Ecco la chiave: gli Stati dell’Eurozona, tagliati i rubinetti della moneta sovrana, devono ricorrere ai signori della finanza speculativa, che attraverso l’Mts li attendono al varco dettando le loro condizioni-capestro. «È qui, al mercato secondario Mts, che si rivolgono gli Stati che hanno adottato l’euro, più ogni Stato che sta per adottarlo (era il tempo della Slovenia), più Israele. È qui che si trattano le emissioni a reddito fisso. È qui che le banche manifestano il loro interesse ad acquistare». Per noi, è l’inizio della fine: il ricatto del debito incuberà il massacro socialedell’austerity. E i signori dello spread si portano avanti col lavoro: già nel 2007, nonostante l’orgoglio e le aspettative di successo italiano sbandierate da Garbi, Borsa Italiana, che possedeva il 60,37% di Mts SpA, si fonde con il London Stock Exchange, Lse, e si crea il London Stock Exchange Group.
L’unico a lanciare l’allarme è un deputato napoletano di Forza Italia, Aldo Perrotta: «Dopo la privatizzazione del 1997 la Mts ha conquistato la leadership mondiale tra i listini dedicati ai bond governativi; attualmente però il 54% delle azioni sono in mano ad una società estera; il controllo in mano straniera potrebbe portare a crisi come quella della Citigroup; l’Italia non deve abbandonare più “pezzi di competenza” di finanza». Dai media, silenzio assoluto. Anche quando i boss del London Stock Exchange Group strappano il timone dalle mani italiane e lo affidano a Jack Jeffery, già manager della Citigroup, grande esperto di digital brokerage e reduce dall’incarico di direttore generale di una società dal nome eloquente, SuperDerivatives. Dal settembre del 2009, Jeffery si siede al tavolo di comando della ex Mts, ora Market of Treasury Securities, il cui volume di scambi è arrivato a 2 trilioni di euro l’anno.
La nomina di Jeffery è voluta da Xavier Rolet, potente chief executive del London Stock Exchange. Missione: «Placare le grandi banche d’investimento che nel 2008 hanno protestato perché il mercato dei bond è stato aperto ad altri soggetti finanziari, tra cui i temuti hedge funds», scrive il “Financial News”. Ci siamo: Jeffery si frega le mani e dice che c’è tanto da lavorare «grazie al livello record di indebitamento dei governi in tutta l’Eurozona». Cioè: più si va verso il tracollo, più loro diventiamo ricchi. Dal 2010 al 2012, aggiunge Benigni, la nuova Mts elabora procedure sempre più complesse per la gestione online delle compravendite e acquisisce nuovi “clienti” come l’Ungheria e la Repubblica Ceca, portando così a 17 il numero totale degli Stati europei che chiedono denaro allebanche attraverso l’Mts. Ormai comanda la City, attraverso il London Stock Exchange, in sintonia col Nasdaq. Di chi è, oggi, l’Mts inventato da Amato e Ciampi? Alla voce “corporate”, il sito sciorina i maggiori azionisti, il gotha bancario dell’Occidente: Jp Morgan, Barclays, Deutsche Bank, Crédit Agricole, Royal Bank of Scotland, Bnp Paribas, Hsbc, Abn Amro, Citigroup, Natixis, Goldman Sachs, Societé Générale, Citibank, Ubs, Merrill Lynch, Commerzbank, Credit Suisse.
«E gli italiani? Dove sono finiti gli “inventori”, i nipotini di Amato, Ciampi, Draghi?». Eccoli: «In testa c’è Borsa Italiana SpA, seguita da Intesa San Paolo, Sella, Mediolanum, Cassa di Risparmio di Rimini, Banca Popolare di Sondrio, Banca Popolare di Bari, Unibanca, Corner Sim e Bcc di Roma». Al momento, aggiunge Benigni, non è nota la composizione azionaria, ma come mai trova posto un numero così grande di piccole banche italiane, a ridosso dei giganti mondiali? Qual è il loro ruolo nelle decisioni prese dal board e quali i vantaggi all’Italia che dovrebbero derivare dalla loro presenza? E chi opera, davvero, nel “lago digitale” dove ogni giorno si ammassano 90 miliardi di eurotonni-bonds? «Questo più o meno si sa. A grandi linee, un drappello di 6 maggiori istituti di credito – Barclays, Deutsche Bank, Rbs, Crédit Agricole, Jp Morgan e Societé Generale – siede al tavolo delle prime contrattazioni e valuta le offerte di bond dei 17 Stati». Ovvio che sono le super-banche a “fare il prezzo”, mettendo in fibrillazione lo Stato che mette all’asta i suoi titoli. Richieste, esitazioni, dubbi: «Ogni 5 minuti, ogni verifica richiesta dai compratori abbassa il prezzo e/o alza il tasso di interesse». Così, «i compratori hanno un’influenza indebita e spropositata sui governi e sui popoli che i governi rappresentano».
La contrattazione è complessa, con le economie locali in balia dei giochi della finanza globale, tra pressioni politiche e a volte anche militari. «Al dunque tutto si fonda su un concetto molto astratto: l’affidabilità di un governo. Un concetto che però diventa concreto quando “affidabilità” si traduce in “capacità di un governo di far pagare ai cittadini i debiti che hanno contratto i governi che lo hanno preceduto”». I grandi compratori, aggiunge Benigni, mettono a disposizione di un gruppo di altre 30 banche i titoli che si stanno trattando. A loro volta, le 30 banche mettono a disposizione di circa 1000 istituti di credito, disseminati sui territori, i bond che sono stati acquistati. «In quei lunghi momenti, il batticuore dei ministri delle Finanze e del Tesoro (teoricamente) aumenta a dismisura». E, grazie a velocissime contrattazioni online, alle quali hanno accesso solo gli istituti bancari, «si succedono sequenze di prezzi tali che, alla fine del processo, il titolo è disponibile agli sportelli delle banche medesime per essere offerto (in gran parte) a quegli stessi cittadini-risparmiatori, che sono in definitiva sia i produttori del Pil che i garanti del debito del loro Stato».
In quei momenti decisivi, i grandi compratori dirigono il traffico di flussi strategici e vitali per gli Stati, con piena facoltà di sostenere o mettere in difficoltà i governi. «E lo fanno inevitabilmente privilegiando i propri interessi, spesso chiedendo ricadute e privilegi su quei territori che hanno bisogno di accedere al credito: “Privatizza questa azienda, fammi comprare quest’altra, ostacola la produzione in questo settore, rallenta quella legge, accelera quest’altra”». Inutile girarci attorno. «Si chiama: perdita di sovranità e globalizzazione passiva. Ci siamo dentro fino al collo», tutti noi dell’Eurozona. Ed è proprio dal sistema Mts, tra l’altro, che si innesca la miccia dello spread: «Al variare del comportamento dei grandi compratori, questo valore-parametro oscilla su e giù». Lo spread si ottiene dal rapporto tra il tasso di interesse applicato ai bond di una nazione di Eurolandia e quello equivalente applicato alla Germania, che ha ottenuto lo status di “paese di riferimento” perché altrimenti non sarebbe entrata nell’euro. «La miccia dello spread è tremenda: quando il suo valore cresce, brucia velocemente, si avvicina pericolosamente alla bomba-bancarotta e giustifica rimozioni di primi ministri e membri dei governi, emergenze “tecniche”, perverse e frettolose manovre finanziarie, licenziamenti di massa, suicidi, proteste di piazza e conseguenti scontri con morti e feriti».
La scena è decisamente paradossale, conclude Glauco Benigni. Come si è giunti a tutto ciò? Ovvero: «Come si può pensare di sostituire la giusta esigenza di un popolo di sopravvivere dignitosamente, magari andando a deficit come fanno tutti quelli che ancora possono, con il gioco usuraio sul bisogno indotto?». E poi, «come si può pensare che un debito pubblicopalesemente iniquo e gonfiato, accumulato in modo cinico, incauto e avido dai governi che si avvicendano, debba e possa essere ripagato con privazioni, lacrime e sangue dai cittadini?». Ancora: «Come si può giustificare che tale debito pubblicosia raddoppiato nella sola Italia, dal 1994 ad oggi, passando da 1000 a 2000 miliardi di euro? Come si può sopportare che le sorti dei popoli, sottratte ai Parlamenti, siano finite nelle mani di mercanti anonimi, diabolici alchimisti che tramutano le nostre vite in oro per le loro casse?». E’ utile srotolare la pellicola del film. Prima la disabilitazione di Bankitalia come “prestatore di ultima istanza”, con lo Stato costretto a rivolgersi ai mercati finanziari privati. Pietra tombale: l’adesione all’euro e la rinuncia, senza contropartite, alla sovranità monetaria. Che oggi si traduce in fine della sovranità nazionale,politica, economica, sociale. E’ il Fiscal Compact a stabilire quanto Roma può spendere per gli italiani, il governo si limita a ratificare. Intanto il paese crolla. E gli avvoltoi dell’Mts fanno miliardi sulla nostra pelle.
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