Un club planetario a vocazione totalitaria sta distruggendo l’Europa dei popoli, la nostra vita, la nostra democrazia, la nostra libertà. Il nostro futuro è in grave pericolo. Gradualmente, senza che ce ne rendessimo conto, siamo stati consegnati nelle mani di un’oligarchia senza patria e senz’anima, il cui unico collante è il delirio di onnipotenza derivante dal possesso del denaro infinito che essa crea. Coloro che ci hanno condotto a questo guado sono i maggiordomi dei “proprietari universali”: i proprietari finali delle azioni di banche, fondi e corporations internazionali, persone che nessuno di noi conosce, che nessuno ha mai eletto ma che determinano le nostre vite. Essi, sostenuti da parlamenti formalmente eletti, ma in realtà nominati dall’alto, hanno consegnato il potere politico ed economico – un tempo prerogativa degli Stati – a strutture prive di ogni legittimazione democratica. Queste strutture sono le impalcature di un nuovo ordine mondiale in via di costruzione.
Si tratta di un’ipotesi eversiva e autoritaria che i pochissimi, e già smisuratamente ricchi, vogliono imporre a moltitudini già impoverite. E’ un disegno aberrante che si fonda sull’illusione della crescita infinita e che è destinato a produrre caos e guerre, poiché rifiuta di constatare la fine dell’era dell’abbondanza. Costoro, consapevoli del crescere della protesta e della ribellione popolare, si preparano a reprimerla. Sanno della precarietà dell’inganno con cui hanno usurpato il potere; sanno che le loro presunte leggi economiche e monetarie sono una truffa globale; sanno che il denaro virtuale mediante il quale ci dominano è destinato e finire in cenere. Per questo destabilizzano le residuali istituzioni democratiche, introducono nuove leggi usurpatrici, mentre si apprestano ad allungare le mani sulle ricchezze materiali ancora disponibili: territori, acqua, cibo, fabbriche, risparmi, storia, monumenti, “risorse umane”. Se non li fermiamo le compreranno, a prezzi stracciati, privatizzandole con l’immensa massa di denaro virtuale, trasformato in debito, che stanno creando dal nulla a ritmi vertiginosi.
Alla fine resteranno intere popolazioni – cioè tutti noi – ridotte in miseria, ignoranza e schiavitù, cioè senza beni e senzadiritti e quindi senza futuro. La Grecia è l’esempio pratico di una strategia già in atto. Questo è il ritratto di ciò che resta del progetto di pace e benessere europeo. Quel progetto è stato prima fermato e poi distorto fino a renderlo irriconoscibile. Era l’idea della costruzione di una nuova entità statale sovranazionale senza il ricorso alla conquista, alla violenza e alla guerra, ma con la partecipazione con eguali diritti di tutti i partner, grandi e piccoli. Era la nascita di un nuovo protagonista mondiale di pace, in grado di svolgere un ruolo autonomo e non subalterno alla politica e agl’interessi degli altri giganti. Un tale obiettivo poteva essere raggiunto solo ponendo l’Europa sulla stessa dimensione di scala dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti. Non in competizione con essi ma in un rapporto paritario geopolitico.
Questo disegno è stato cancellato. In una sorda lotta per il dominio, l’Europa è stata piegata dall’egemonia politica, militare, economica degli Stati Uniti. Il dominio del dollaro come moneta-potenza ha prima loro permesso di assoggettare letteralmente l’Europa e di vincolarla al disegno militare della Nato. Poi, con la sconfitta definitiva dell’Unione Sovietica e il suo crollo, di imporre al resto del mondo il “servizio monetario” di Wall Street e della City of London. Gli strumenti messi in atto dal 1990 in poi in Europa non sono stati effetti collaterali di scelte “sbagliate” che produssero lacrisi sociale ed economica dei popoli europei. Essi furono coerenti con quel progetto, che è quello dell’apartheid globale della Troika. All’Europa è stata imposta (e i leader europei l’hanno accettata e fatta propria), la globalizzazione americana. Le regole americane sono state esportate insieme alla deregulation, alle privatizzazioni, all’attacco allo Stato, alla deificazione dei mercati, alla trasformazione delle relazioni umane, e perfino della politica, in merce. Il potere politico è passato nelle mani dell’alta finanza internazionalizzata.
Lo stesso allargamento dell’Unione Europea a 27 paesi, con l’inclusione di quasi tutti gli ex satelliti del Patto di Varsavia e perfino delle tre repubbliche ex sovietiche baltiche, è stato preceduto di fatto dalla loro subitanea inclusione nella Nato. In tal modo garantendo agli Stati Uniti il controllo diretto e indiretto dei successivi processi d’integrazione europea. Si è cercato e si cerca, spasmodicamente, di introdurre nel tessuto socio-economico europeo, e nella sua stessa cultura, valori e stereotipi dell’american way of life. Il progressivo controllo e concentrazione dell’industria della comunicazione e dell’informazione di massa, fino alla mostruosa espansione dei social network, ha prodotto una vera e propria modificazione antropologica dei popoli europei, anche se le correnti profonde della storia europea hanno manifestato insperate capacità di difesa nei confronti dell’aggressione tecnologico-ideologica.
L’esplosione della crisi, che si è verificata proprio nel centro del potere imperiale (dunque espressione di una gravissima malattia interna ad esso, che si è coniugata con la progressiva rarefazione delle risorse disponibili e con l’apparire sulla scena di altri giganti non più riconducibili al disegno dei “proprietari universali”) ha rivelato la fragilità del loro progetto. Si pone concretamente, urgentemente, la necessità di fermarli. In primo luogo perché essi sono i produttori della povertà e della guerra. Milioni di europei, praticamente ormai di ogni classe sociale, ad eccezione dei pochi assoldati per svolgere il ruolo di servi privilegiati (e, tra questi, vi sono i principali controllori dell’informazione-comunicazione) sono in cerca di un’alternativa alla crescente insostenibilità della loro condizione sociale. Cresce l’inquietudine e l’incertezza, la sensazione di un pericolo incombente. E’ acquisizione comune che la prossima generazione sarà la prima – dalla seconda guerra mondiale a oggi – che ha una prospettiva di esistenza peggiore di quella dei padri.
E tuttavia ancora lungo è il percorso da fare, per i “molti”, per arrivare a comprendere che non è in gioco soltanto il loro tenore di vita. In gioco è infatti la loro stessa vita e quella dei loro figli. Sono in gioco le sorti stesse del genere umano, poiché la “cupola” del potere dovrà, a sua volta, estendere la sua rapina agli altri sei miliardi di individui che popolano il pianeta. E non potrà più farlo impunemente, come ha fatto negli ultimi tre secoli, perché là stanno sorgendo – anzi sono già sorti – protagonisti in grado di difendersi e contrattaccare. Per milioni di europei si pone dunque il compito di respingere un cosiddetto nuovo ordine mondiale che si presenta in realtà come un nuovo feudalesimo, in cui una infinitesima parte del genere umano avrà diritto di vita e di morte su tutti e in cui ai popoli resta come unica via d’uscita la sottomissione.
La democrazia liberale è già stata irrimediabilmente lesionata ed era, insieme ai diritti umani, l’unico valore diverso dal potere del denaro rimasto a baluardo della cosiddetta “civiltà occidentale”. E’ giunto il momento di fermare la “scimmia al comando”. E di togliere dalle sue mani in primo luogo i pulsanti della guerra. Nessun soldato europeo dovrà più partecipare ad alcun conflitto fuori dai confini dell’Unione, tanto meno se mascherato da missione umanitaria e di pace. Occorre cominciare a definire principi e valori che siano adatti alla transizione da una organizzazione economica e sociale insostenibile – e destinata a morire tra le convulsioni – a una società sostenibile, in pace con la Natura, con l’ecosistema. Una civiltà della convivenza, che progredisca “con il passo dell’Uomo”, quindi democratica. Queste sono le condizioni per la sopravvivenza.
(Introduzione del “Manifesto per l’Europa”, pubblicato da “Megachip” e redatto dal laboratorio politico “Alternativa”, guidato da Giulietto Chiesa. Al documento, presentato il 17 giugno a Bruxelles presso il Parlamento Europeo alla presenza di svariati gruppi politici europei, hanno lavorato intellettuali di diversa provenienza, come l’economista Bruno Amoroso, il diplomatico Agostino Chiesa Alciator nonché Piero Pagliani e Pierluigi Fagan).
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