giovedì 20 giugno 2013

Libro. Onfray: La macro-politica è morta, viva la micro-politica

Basta con la “sinistra del risentimento”, quella che persegue la logica infantile dell'essere «contro tutto ciò che è per, e per tutto ciò che è contro».
Basta con il rancore, l'odio, l'abitudine a «incolpare gli altri di tutti i mali del mondo, a trovare un capro espiatorio per evitare di pensare» (Berlusconi o Sarkozy, il Mercato o lo Stato, quelli di destra o quelli che dovrebbero essere di sinistra).

micromega di Fabrizio Tassi Basta con l'idealismo, il messianismo comunista e/o cristiano, la “morale del principio” platonica e/o kantiana. Ma anche con l'ortodossia anarchica, la citazione dei testi ottocenteschi come fossero libri sacri (autori che non hanno vissuto le guerre mondiali, la resistenza, i campi di concentramento nazisti e comunisti, la secolarizzazione, l'Europa, la rivoluzione informatica), la predicazione dei soliti dogmi: lo Stato è il male assoluto anche quando redistribuisce la ricchezza? Il capitalismo va abolito o «rimanda alla insopprimibile verità dello scambio»? 





Michel Onfray non le manda a dire. E in questo libro, in cui non c'è spazio per analisi o approfondimenti, le sue conclusioni sono ancora più perentorie del solito e quindi più discutibili (o particolarmente efficaci, a seconda dei punti di vista). Il filosofo-scrittore francese, ateo libertario edonista individualista vitalista, va preso così com'è (un egocentrico e abile divulgatore), soprattutto nelle 90 pagine di questo «autoritratto con bandiera nera», il cui approdo finale è l'esposizione del «principio di Gulliver», una «logica nuova, più modesta, più umile, meno ostentata» di lotta contro il potere-autorità, che seppellisce per sempre la macro-politica messianica per abbracciare l'era della micro-politica.

Il post-anarchismo spiegato a mia nonna  è un libretto edito nel 2012 dalle Editions Galilée e ripubblicato ora da elèuthera in Italia. La premessa è nicciana: «Conquistarsi il diritto a creare nuovi valori – questa è la conquista più terribile per uno spirito paziente e ossequioso» (dallo Zarathustra). Secondo Onfray non si diventa anarchici leggendo o studiando, ma grazie a «una ribellione istintiva nei confronti dell'autorità, in ogni sua forma». Niente di più facile per chi è stato educato a cinghiate in famiglia, ha conosciuto la paura e i soprusi di un terribile istituto di salesiani («alcuni dei quali pedofili»), ha assaporato le angherie e le gerarchie vigenti in fabbrica. «Ho odiato il potere, qualsiasi potere, molto prima di sapere quello che ne raccontavano i libri». L'iniziazione intellettuale arrivò grazie all'incontro con un barbiere, il quale gli fece scoprire «una sinistra diversa, non comunista e non liberale», che «rifiuta il socialismo del filo spinato» e al contempo «vuole la fine dello sfruttamento capitalista, la felicità per gli umili e i diseredati, una società più giusta o (se si preferisce) meno ingiusta».

Nel mare sterminato del pensiero anarchico, che contiene tutto il contrario di tutto (violenza rivoluzionaria e pacifismo, illegalismo e pragmatismo, egotismo alla Stirner o solidarismo alla Kropotkin), Onfray sceglie Proudhon (soprattutto le parole contro “l'albinaggio capitalista”), respinge gli “hegeliani”, esalta Etienne de la Boétie («Siate decisi a mai più servire e sarete liberi»). Al di là dell'anarchia del risentimento, quella infantile che dice sempre “no”, e l'anarchia dell'utopia, che vorrebbe realizzare un impossibile paradiso in terra, ecco la proposta di una post-anarchia positiva, una «pratica da vivere». Da qui le scelte personali esistenziali, i libri (Trattato di ateologia, La politica del ribelle, Controstoria di filosofia...), la creazione dell'Università popolare di Caen, uno di quei «luoghi libertari in cui la cultura funge da strumento di emancipazione etica e politica». Soprattutto ecco “il principio di Gulliver”, che fa appello al pragmatismo libertario, al mutuo appoggio, all'istruzione popolare, alla costruzione di laboratori e micro-comunità, alla disobbedienza civile, all'edonismo e al “diritto al piacere”, all'individuo come «misura dell'ideale anarchico».

Il socialismo libertario aspira a mettere l'economia al servizio degli uomini, rifiuta il liberalismo di destra e di sinistra («che si alternano al governo secondo una logica di condivisione del territorio»), ma anche il comunismo, il marxismo e qualsiasi “teocrazia laica”, e si oppone al «primato dell'Idea, del Concetto, rispetto al reale». La macro-politica ha miseramente fallito, quindi il post-anarchismo sceglie le micro-pratiche, meno spettacolari ma molto più efficaci. «Se ci sarà la rivoluzione non arriverà dall'alto, ma dal basso, in modo immanente, contrattuale, capillare, rizomatico esemplare». Lo sapevamo già. Ma ripeterlo non fa male.

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