Dall’impianto cdr di Castellacciouna nube tossica di diossine e PCB, e chissà cos’altro, ha “ossigenato” decine di chilometri quadrati di territorio, con inevitabili ricadute sul terreno, coinvolgendo qualche decina di migliaia di persone: le istituzioni rispondano in termini strutturali.
Negli
impianti di preparazione del CDR vengono trattati materiali come carta,
legno e plastiche; in particolare, è noto che le procedure di selezione
non garantiscono l’esclusione totale delle plastiche che generano
diossine e PCB nella combustione. Gli impianti di incenerimento, a loro
volta, utilizzano sistemi di abbattimento e filtrazione per evitare la
diffusione delle sostanze pericolose, dei quali conosciamo peraltro
l’insufficienza a garantire il blocco totale delle emissioni nocive. La
combustione avvenuta nell’incendio dell’impianto di Castellaccio è
suscettibile di aver prodotto un danno grave all’ambiente.
Solo
nei prossimi giorni sarà chiara, con tutti i limiti facilmente
intuibili che presentano analisi e monitoraggi complessi di un
inquinamento in area vasta quale quello in questione, l’entità del danno
alla popolazione e al territorio della Valle del Sacco a seguito
dell’ennesimo incidente legato all’impiantistica di un ciclo dei rifiuti
scorretto e insostenibile dal punto di vista economico e ambientale,
ovvero a una produzione industriale ad alto impatto ambientale: il
territorio conta decine di aziende a rischio di incidente rilevante
sottoposte alla direttiva “Seveso bis”, senza che gli abitanti siano
minimamente edotti sul rischio che corrono e sui comportamenti da
adottare in caso di incidente.
Nonostante
il pronto ed efficiente intervento delle forze dell’ordine e degli enti
di controllo, di alcuni sindaci, non si può non rilevare la totale
assenza di una macchina informativa e di intervento capillare,
indispensabile in situazioni del genere. Alcuni sindaci sono stati
piuttosto tempestivi nella comunicazione ufficiale, ma ci sono giunte
ugualmente centinaia di richieste di informazione e decine di
testimonianze da parte di cittadini allarmati e disinformati. Manca un
centro di coordinamento e non ci sembra la Protezione civile regionale
sia stata predisposta a svolgere questa funzione; di fatto, in tale
circostanza ha brillato per la sua assenza.
Seguiremo
con attenzione la procedura di determinazione del danno ambientale e
l’istruttoria di accertamento delle responsabilità del rogo, ma intanto
una cosa è certa: una nube tossica di diossine e pcb, e chissà
cos’altro, ha “ossigenato” decine di chilometri quadrati di territorio,
con invitabili ricadute sul terreno, coinvolgendo qualche decina di
migliaia di persone. Nel frattempo, a pochi chilometri di distanza, si
notava una nuvola nera, molto più contenuta ma da non sottovalutare,
fuoruscire da uno degli inceneritori di Colleferro.
Le
istituzioni non rispondano semplicemente con proclami, sull’onda
dell’emotività, ma diano soddisfazione alle esigenze del territorio in
termini di salute, ambiente e sicurezza adottando provvedimenti
strutturali. Tantomeno facciano dichiarazioni su un ritorno alla
normalità, poiché lo spegnimento dell’incendio è solo l’inizio dei
problemi per la popolazione. Se la normalità è quella già descritta del
rischio permanente per un territorio fortemente inquinato e costellato
di impianti pericolosi ed inquinanti, da questa normalità bisogna
uscire.
Adottare
provvedimenti strutturali significa, oltre alla messa a punto della
macchina di emergenza prevista dalla normativa, avere il coraggio di
rivedere la presenza dell’impiantistica del ciclo dei rifiuti sul
territorio, senza sottostare alla logica delle lobby dei “signori del
rifiuto” o della contabilità regionale del trattamento dei flussi di
RSU.
Dichiara
il presidente Alberto Valleriani: «Chiediamo l’apertura di un tavolo
istituzionale dedicato, aperto alle associazioni e alla cittadinanza,
con la presenza di Regione, Province di Frosinone e Roma, Comuni del
comprensorio, che si riunisca sul territorio interessato dalla nube
tossica. Inoltre, la massima trasparenza da parte degli enti di
controllo e la pubblicizzazione dei risultati delle analisi in
questione».
Dichiara
il coordinatore di Frosinone Francesco Bearzi: «Dopo oltre un decennio
dalla sua approvazione, è tempo che la Regione Lazio si decida a
chiudere i battenti dell’impianto di cdr di Castellaccio, che ha
arrecato enormi disagi alla popolazione del centro abitato di San
Bartolomeo, Comune di Anagni, situato a ridosso dell’impianto, dove non
sarebbe mai dovuto sorgere per ovvie ed elementari ragioni di tutela
della salute della popolazione limitrofa. Si deve ragionare linearmente
in termini di chiusura, non si provi a gettare acqua sul fuoco pensando
di proporre la trasformazione la struttura di ACEA Aria, la cui
funzionalità è sotto gli occhi di tutti, in un “luminoso” impianto di
Trattamento Meccanico Biologico».
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