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L’esito delle elezioni turche con la riaffermazione di Erdogan non era certo tra gli auspici statunitensi.
Il
conflitto che si sta riaccendendo nella regione Serba del Kossovo pare
giungere al momento giusto per poter affrontare e forse eliminare
l’unica via sopravvissuta al gas doganale di provenienza russa verso
l’Europa alimentante anche Serbia ed Ungheria (oltre a Bulgaria,
Macedonia del nord, Romania, Grecia e Bosnia Erzegovina che ne
usufruiscono).
La sezione serba del gasdotto Balkan Stream
era stata inaugurata nel 2021 da Aleksandar Vučić. «E’ un giorno
importante per la Serbia», aveva dichiarato il presidente pensando alla
sicurezza energetica con prezzi del gas significativamente più bassi e
alle entrate derivanti dai diritti di transito degli idrocarburi.
Il ramo del gasdotto Turkish Stream
consente, infatti, il trasporto di gas naturale russo proveniente da
Turchia e Bulgaria attraverso la Serbia fino all’Ungheria raggiungendo
l’Europa attraverso l’Austria. Ovviamente il trasporto di gas russo
attraversante il Mar Nero risulta alternativo alle tradizionali
infrastrutture energetiche del gas russo diretto verso l’Europa
Occidentale attraverso l’Ucraina.
Europa sempre più eterodiretta
A pensar male,
dopo il sabotaggio del North Stream, un vero e proprio atto di guerra a
danno dell’Europa, ed in particolare della Germania e dell’Italia,
diventa legittimo il sospetto che fomentare il conflitto che cova
nell’area possa risultare funzionale al blocco traumatico di
quest’ultima via per il gas doganale di provenienza russa. Si
prenderebbero ben tre piccioni con una fava; si lascerebbero a secco
Serbia ed Ungheria, recalcitranti verso i diktat USA|NATO|UE, nel mentre
si completerebbe l’opera iniziata con sanzioni e sabotaggi, verso la
completa messa fuori gioco della via di approviggionamento dal nord, e la riduzione a zero delle forniture dalla Federazione russa verso l’Europa,
così da lasciare pieno campo al gas naturale liquefatto di provenienza
statunitense. Sappiamo che tutta la filiera del gas liquefatto non
potrebbe affermarsi in presenza della disponibilità di gas doganale di
provenienza russa. Avendo, infatti, costi di produzione e distribuzione
assai più alti, esso sarebbe svantaggiato sul mercato perché non
competitivo (1).
Di fatto, la rete di distribuzione nell’area non piace agli USA: il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha definito il Balkan Stream «uno strumento del Cremlino» per aumentare la dipendenza energetica europea da Mosca.
Ricordiamo qui brevemente che il Kossovo fu strappato alla Serbia approfittando della maggioranza degli immigrati albanesi e del riconoscimento statunitense che sostenne la dichiarazione d’indipendenza dalla Serbia nella logica dell’allora incipiente espansione ad Est della NATO.
I recentissimi scontri sono seguiti
all’imposizione di quattro sindaci kosovaro-albanesi eletti dal 3,4%
della popolazione (2) poiché il resto degli abitanti tutti serbi hanno
protestato disertando le urne.
I soldati della Kfor hanno piuttosto protetto i “sindaci” albanesi invisi al 96.7% della popolazione serba…
Kurti,
il premier kosovaro, auspica vistosamente il coinvolgimento della Nato.
L’escalation possibile con il coinvolgimento da una parte della polizia
kosovara e dall’altra dell’esercito serbo potrebbe degenerare con
l’intervento degli USA da una parte e della Russia dall’altra o forse
l’unico obiettivo potrebbe consistere nell’approfittare del disordine
generale del conflitto per far accidentalmente saltare in aria anche il Balkan Stream?
(1) qui i miei articoli sul tema del GNL – https://www.francescocappello.com/energia-gas-liquefatto/
(2)ANSA Kosovo: sindaci di etnia albanese eletti in Comuni serbi
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