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di Leo Essen
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Nel 1851 Joseph Weydemeyer chiede a Marx di scrivere alcuni articoli su Filippo Bonaparte per un settimanale newyorkese. Marx scrive e invia settimanalmente, fino al febbraio del 1852, una serie di articoli che saranno raccolti nel libro Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte.
Giorgio Giorgetti, nell’introduzione all’edizione Editori riuniti, dice, giustamente, che gli articoli del 18 brumaio andrebbero letti insieme a quelli raccolti in Lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850, scritti da Marx da gennaio e novembre del 1850, i quali trattano gli stessi temi ma con maggiore ricchezza di considerazioni e di dettagli.
La verità è che Il 18 brumaio è strepitoso. È un catalogo di personaggi, soprattutto sottoproletari – la Bohème.
Siamo nel 1850 in Francia. Ma potremmo essere in Italia nel 1994, al tempo del Presidente Ciampi. Oppure nel 2014, al tempo della troika in Grecia. Oppure in Argentina, o in Russia al tempo di Boris Eltsin.
Non finisce di sorprendere questo libricino che raccoglie articoli destinati a un settimanale americano mai pubblicato. Ci sono tutte le figure del sottoproletariato. Il sottoproletariato armato, e il sottoproletariato al governo, il sottoproletariato della finanza e dell’alta finanza, il sottoproletariato dell’impiego pubblico e delle associazioni di volontariato.
Accanto a roués in dissento, dalle risorse e dalle origini equivoche; accanto ad avventurieri corrotti, feccia della borghesia, vi si trovavano vagabondi, soldati in congedo, forzati usciti dal bagno, galeotti evasi, birbe, furfanti, lazzaroni, tagliaborse, ciurmatori, bari, ruffiani tenitori di postriboli, facchini, letterati, sonatori ambulanti, straccivendoli, arrotini, stagnini, accattoni, in una parola, tutta la massa confusa, decomposta, fluttuante, che i francesi chiamano la bohème. Con questi elementi a lui affini, Bonaparte aveva costituito il nucleo della Società del 10 dicembre. “Società di beneficenza”, – in quanto i suoi membri, al pari di Bonaparte, sentivano il bisogno di farsi della beneficenza alle spalle della nazione lavoratrice. Questo Bonaparte, che si erige a capo del sottoproletariato; che soltanto in questo ambiente ritrova in forma di massa gli interessi da lui personalmente perseguiti, che in questo rifiuto, in questa feccia, in questa schiuma di tutte le classi riconosce la sola classe su cui egli può appoggiare senza riserve, è il vero Bonaparte, il Bonaparte sans phrase. Vecchio e consumato roué, egli concepisce la vita storica dei popoli, le loro azioni capitali e di Stato, come una commedia, nel senso più ordinario della parola, come una mascherata in cui i grandi costumi, le grandi parole e i grandi gesti non servono ad altro che a coprire le furfanterie più meschine.
Imperatore roué, crea una popolazione in soprannumero, senza lavoro, che non trova posto né in campagna né in città, che ricerca quindi gli impieghi dello Stato come una specie di elemosina onorevole e ne provoca la creazione.
I dignitari feudali – soprannumerari – trasformati in funzionari stipendiati.
Ogni interesse COMUNE, staccato dalla società, è contrapposto a essa come interesse GENERALE, più alto, strappato all’iniziativa individuale dei membri della società e trasformato in oggetto dell’attività di governo, a partire dai ponti, dagli edifici scolastici e dai beni comunali del più piccolo villaggio, sino alle ferrovie, al patrimonio nazionale della scuola francese, in ogni grado. Ma non ci sono sono soldi per avviare le opere. Dunque si finanziano a debito, e rentiers ringraziano.
Tutti gli affari finanziari moderni, tutta l’economia bancaria è connessa nel modo più intimo col credito pubblico.
Poi per pagare questi rentiers – questi amici sottoproletari; perché l’aristocrazia finanziaria, nelle sue forme di guadagno come nei suoi piaceri, non è altro che la riproduzione del sottoproletariato alla sommità della società borghese – per pagarli si aumentano le imposte. Si tartassano i contadini, già vittime della finanza. Il debito ipotecario che grava in Francia sulla terra impone ai contadini francesi il pagamento di un interesse eguale all’interesse annuale di tutto il debito pubblico dell’Inghilterra.
Sedici milioni di contadini (comprese le donne e i bambini) vivono in caverne, di cui una grande parte ha una sola apertura. 16 milioni di contadini torchiati e spremuti per mantenere la plebaglia sottoproletaria di un milione e mezzo di pance, giacché tale è il numero di coloro che sono legati ai 500.000 impiegati e agli ufficiali di tutti i gradi.
I nemici contro cui il contadino francese deve difendere oggi la sua proprietà non sono più i cosacchi; sono gli huissiers, gli ufficiali giudiziari, e gli agenti delle imposte.
Il piccolo appezzamento di terreno non si trova più nella cosiddetta patria, ma nel registro delle ipoteche.
Bonaparte, proprio come bohèmien e come principe sottoproletario, aveva sul mascalzone borghese il vantaggio di poter condurre la lotta con ogni mezzo, lotta senza quartiere, da sottoproletario, senza regole, lotta infame, lotta ruè.
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