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Intervista ad Antonello Cresti a cura di Francesco Centineo
D. Antonello
allora è uscito il tuo ultimo lavoro IL BELLO LA MUSICA E IL POTERE in
collaborazione con il coautore Michelangelo Giordi, però partirei da un
punto: c’è un filo conduttore in tutti i tuoi lavori. Tu sostieni che si
è smarrito il senso del bello. A mio avviso c’è un genere musicale che
incarna questa assenza, questo vuoto. Questo genere è a mio avviso la
Trap. Sbaglio?
R. No non
sbagli, non sbagli assolutamente. Diciamo che il filo conduttore di
questi ultimi tre saggi, è il tentativo di spostare la riflessione sulla
Musica da un piano divulgativo ad un piano sociologico, usando la
Musica – ovvero una forma d’arte – come cartina da tornasole per
indagare sui tempi che corrono, sulla società in cui viviamo e quali
sono i processi in atto nella società nell’ambito della veicolazione
valoriale, propaganda ed educazione ed il ruolo svolto dalla Musica che è
fondamentale. Rispetto alla Trap nel mio libro precedente LA MUSICA E I
SUOI NEMICI dedico appunto un capitolo alla Trap che definisco una
sorta di avanguardia del pensiero unico.
I Trapper sono dei figuri che si
prestano a fare il lavoro sporco rispetto a quella che è la volontà dei
centri di potere. La trap si spinge a proporre quei modelli a cui, in
realtà, la politica tende, ma che non può sdoganare pienamente per non
scandalizzare una fetta dell’opinione pubblica. Per fare un esempio il
mito assoluto del carrierismo e del consumismo più feroce e spietato con
elementi di pubblicità occulta o manifesta infilata nei brani musicali.
Sessualità tossica – alla faccia dei discorsi sull’inclusività – con un
uso del corpo come oggetto di mercificazione, di resa monetaria
dell’esistenza stessa, un materialismo imperante. Un avvelenamento dei
pozzi rivolto ai giovani e giovanissimi. E va denunciato, non tanto per
il suo scarsissimo valore artistico, tanto per quel che è un tentativo
di manipolare i giovani e spingerli ad imitare tal modello, a tale
ideologia violenta, perversa ed aggressiva.
D. Qua entra un
problema ed un paradosso. Tu nel tuo saggio definisci la musica dei
nostri giorni un prodotto pornografico. La Trap è proprio l’archetipo
del prodotto pornografico. Può essere fatta da chiunque da casa con un
computer, con il supporto vocale dell’autotune, senza nessuna
particolare preparazione ed abilità. Può essere un bel trampolino di
lancio – per chiunque – a mostrarsi; ed in questa società narcisista
diventa uno strumento con cui le masse – paradossalmente coloro i quali
subiscono questa omologazione totalizzante – sono spinti ad usare questo
trampolino come strumento di emancipazione, di rivalsa sociale, come
mezzo per scalare la società. Finisce che le masse si identifichino con
tale modello ed anelino ad esso.
R. Assolutamente
si. Nel dialogo dell’ultimo libro appunto, c’è un passo in cui parliamo
del travisamento della figura del self-made man (colui che si è fatto
da solo). Ma qui non siamo davanti a tal figura, mi spiego: siamo di
certo di fronte a personaggi che hanno accumulato soldi e popolarità,
successo in breve tempo scalando in fretta, però, il vero significato
della loro improvvisa “emersione” non è dovuta al sudore della fronte,
alla gavetta, al duro lavoro ma è tutt’altro. Il discorso è sottile: c’è
un processo di identificazione al ribasso tra star e supporter, tra
musicista ed ascoltatore, dove il Trapper – la persona dii successo –
dichiara a chiare lettere di non aver “alcun motivo” di eccezionalità.
Il Trapper non ha nessun talento, non è bello, non sa cantare, non sa
stare sul palco. Dichiara di essere una nullità e proprio nell’essere
nullità stimola, innesca una sorta di meccanismo di immedesimazione nel
pubblico. Tutti pensano: se ce l’ha fatta lui, possiamo farcela anche
noi. Il messaggio che viene veicolato è questo ed è un messaggio
pericolosissimo sia nel mondo dell’arte e dello spettacolo, sia nel
mondo della politica. Il messaggio dell’uno vale uno portato avanti dal
Movimento Cinque Stelle. Le due cose viaggiano in parallelo. Questo è un
messaggio pericoloso, perché la Natura prevede anche dei fenomeni di
discernimento, di discriminazione, per cui non tutti possiamo essere
bravi in tutto, ognuno avrà il suo ambito ed è bene ricordarlo, ognuno
ha i suoi talenti e non possiamo metterci in testa che tutti possiamo
fare tutto. Questo ci viene raccontato solo per distruggere competenze e
qualità, una forza di sovversione per livellarci verso il basso. Che si
manifesta mettendo in discussione le competenze specifiche, per cui
magari parla un fisico di fisica e arriva un giardiniere a contestarlo o
viceversa, mettendo in dubbio dal proprio punto di vista. Come se non
vi fosse più nulla di oggettivo. Come se le competenze non contassero
più nulla e chiunque potesse dire qualsiasi cosa con lo stesso peso
specifico.
D. Antonello hai
perfettamente ragione e questo fenomeno dilaga, a mio avviso, anche nel
nostro universo. Se da un lato è giustissimo che si rifiutino forme di
autorità imposte dal Potere, dall’altro non bisogna cadere nel tranello
di rifiutare l’autorevolezza che è tutt’altro.
R. Sono
assolutamente d’accordo. E aggiungo, quando un persona si impone di non
seguire una visione sistemica – cucita e calata dall’alto – ma si
prefigge di sviluppare il pensiero critico, tanto più deve andare alla
ricerca di figure a cui riconoscere un’autorevolezza. Ciascuno valuterà
secondo la propria responsabilità ed idea, ma sicuramente, certamente
l’autorevolezza va tenuta in considerazione e ricercata. Non basta
sparare slogan anti-sistema dissonanti dalla narrazione dominante per
avere autorevolezza, questo mi sembra evidente. Invece purtroppo
semplificano. Io dico No Vax, tu dici Si Vax e stiamo apposto, ma non
funziona così!
D. Senti siccome
in questi anni ti sei opposto a questo “appiattimento” musicale con un
sacco di progetti e proprio nel 2020 in pieno lock-down sei uscito con
la compilation O Sarai Ribelle O Non Sarai, hai fatto un lavoro in cui
hai dato spazio a tutti, proprio tutti i generi. Come mai un progetto
così eterogeneo?
R. Allora
l’Assembramento Sonoro – così l’avevamo definito appunto – nasceva per
dare una scossa, un segnale in un momento come quello della follia del
distanziamento sociale, dei lock-down, degli spazi di cultura chiusi.
Era un modo da parte di tutti noi, del mondo della musica, per dire noi
non ci stiamo a questa follia, ed al vostro “distanziamento” rispondiamo
con il nostro “assembramento”. Mettemmo a raccolta 115 artisti per
dare quest’idea di “onda” che esisteva nella società e che doveva essere
un’assembramento anche da un punto di vista stilistico. Non voleva
essere una raccolta musicale tematica ma voleva essere un’opportunità
per declinare lo stesso tema in più generi musicali possibili. Questo
approccio lo abbiamo mantenuto nel secondo capitolo dell’assembramento
sonoro che è uscito lo scorso 2 Giugno e che può essere scaricato dal
sito
www.assembramentosonoro.it –
questa volta con tema dedicato alla “resistenza” da contrapporre, in
contrasto alla tanto quotata “resilienza” – termine assai amato dal
Potere. Abbiamo affinato la ricerca, abbiamo ristretto la cerchia a 30
artisti e questi gruppi musicali hanno dovuto affrontare questo tema
nello specifico, ovviamente con tutta la libertà artistica senza nessuna
imposizione stilistica o nei contenuti.
D. Praticamente stesso tema per tutti e poi ognuno si esprime a suo piacimento?
R. Esattamente,
come con la rivista mensile di Visione: scegliamo un tema e poi ognuno
degli autori si esprime a piacimento tramite le sue competenze e
conoscenze sul tema assegnato.
D. È importante rimanere a tema in questa società?
R. Già…
altrimenti ci ritroviamo in mezzo ad una banda, ad un’orchestra di
solisti che sparano slogan a caso a seconda di come si destano la
mattina!
D. È la logica
dei nostri tempi, quella dell’iper-individualismo. Tu hai tracciato una
pennellata dell’uomo dei nostri tempi attraverso la figura del Trapper,
più in generale dell’Uomo egoista ed atomizzato. A proposito mi viene in
mente di citarti iil filosofo Eric Sadin che nel suo saggio IO TIRANNO
parla di un fenomeno e lo definisce Autarchia del Sè, una
pseudo-autarchia, intesa come una trappola architettata sottilmente dal
capitalismo di stampo neo-liberista che ci ha fornito di strumenti
permeati dell’etica individualista e liberista come lo smartphone. Uno
strumento che sembra – per come è strutturato (possibilità di farsi
video, foto da soli, muoversi autonomamente grazie al navigatore, essere
connessi sempre e ovunque) – rendere liberi, indipendenti,
autosufficienti quando in realtà non siamo mai stati così schiavi,
dipendenti dal potere e soli. Tu cosa per pensi di questa riflessione?
R. Sono
d’accordo. Io non voglio definirmi un anti-modernista ideologico.
Tuttavia devo rilevare che l’utilizzo massivo che viene fatto della
tecnologia negli ultimi anni è un utilizzo a discapito dell’uomo, a
sostituzione dell’essere umano, a suo discapito. Questo perché si è
intesa la tecnologia – soprattutto negli ultimi 20 anni – per
“titillare” e “stuzzicare” delle debolezze intrinseche, connaturate
nell’essere umano. Si è voluta spegnere la volontà di cimento,
d’impegno, di forza di volontà.
D. Antonello –
scusa se t’interrompo bruscamente – Può essere che essendo un nostro
prodotto – la tecnologia – rifletta il nostro modo di essere e forse è
anche un pò – come sostengono sia Lippmann in L’Opinione Pubblica ed
Ellul in Propaganda – che anche le élite sono vittime dei loro
stereotipi, della loro “visione” del mondo. Potrebbe essere che viviamo
in una sorta di allucinazione collettiva condivisa sia dalle masse che
dalle élite. Potrebbe essere che questi siano vittime essi stessi della
loro propaganda?
R. Ma guarda, mi
sembra una riflessione intelligente. Sicuramente porta e sposta la
discussione su un altro ambito, e certo che mi sembra, anzi, sono
convinto che i manipolatori siano vittime e carnefici della propria
narrazione folle e spingano in certe direzioni più delle masse stesse.
Quest’idea transumanista di sfidare la finitezza stessa dell’uomo
rasenta la pazzia , si può parlare come dicevi appunto tu di una vera e
propria “allucinazione collettiva”. Non si chi sia più scollato dalla
realtà tra i potenti e le masse che quest’ultimi vorrebbero manipolare.
D. Nel tuo
ultimo saggio fai una riflessione intelligentissima. Cito testualmente
“Da tempo sentiamo parlare dell’intelligenza artificiale che sarebbe
capace, in pochi secondi, di comporre una sinfonia o di riprodurre un
dipinto complesso. Questo è il punto di arrivo più devastante: qui il
nemico non è tanto la tecnologia in sé quanto l’ideologia transumanista
che tende a sacralizzare la tecnica.” Ed io aggiungo che è soprattutto
colpa nostra siamo noi stessi che tendiamo accedere a tutto quel che ci
propongano. Noi non siamo riducibili, loro non possono sostituirci, tu
cosa pensi?
R. C’è un
paradosso: da un lato questa volontà di sfidare il divino, i limiti, la
Natura, chiamiamola un pò come vogliamo. dall’altra c’è appunto un
ridimensionamento della condizione umana, un regresso potremo definirlo.
Un demansionamento delle nostre
potenzialità. L’affidarsi sempre al potere della tecnologia sottende la
confessione, l’accettazione di una propria inferiorità alla macchina.
Anche una certa debolezza, un pigro accomodamento, pericoloso che deriva
verso la sostituzione dell’essere umano. Mi sembra un suicidio
collettivo, figlio di un’umanità che sembra ormai veramente non essere
più padrona della propria vita.
D. Antonello grazie del tuo tempo e ci vediamo a Torino per la presentazione del tuo libro giusto?
R. Sarò Torino il 7 luglio per presentare il mio ultimo saggio: IL BELLO LA MUSICA E IL POTERE.
D. Perfetto ci vediamo il 7 e grazie del tuo tempo.
R. Ma grazie a te a presto ci vediamo il 7 con piacere.
Intervista a cura di Francesco Centineo
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