«Alla memoria di mio padre Arnaldo Marcelli partigiano combattente e magistrato giusto». Si annuncia così, con questa epigrafe, l’ultimo lavoro del giurista Fabio Marcelli, Diritto internazionale. Appunti critici, (Editoriale scientifica).
Una rivendicazione di identità per uno studioso militante che, in quarant’anni di attività, ha cercato di coniugare il rigore scientifico e la coerenza dell’impegno.
Anche questa volta, la sua è un’analisi profonda e alfabetizzante, che consente uno sguardo d’insieme su tematiche spesso trattate in modo specialistico, avulse dal contesto nazionale e internazionale che le produce e determina. Un lavoro corposo, diviso in quattro capitoli, che analizzano i nodi del diritto in chiave materialistica, dall’Europa al Sud globale. Esiste il diritto internazionale?
Chiede infatti nelle prime battute del libro, esponendo le tre principali linee di ragionamento che sottendono l’approccio al tema. Per iniziare questa intervista, gli abbiamo girato la domanda.
Di fronte alla crisi delle istituzioni che dovrebbero garantire la convivenza comune, esiste il diritto internazionale?
Esiste come programma politico su cui devono convergere gli Stati contrari all’egemonismo delle potenze imperialiste, e i movimenti progressisti esistenti. Occorre chiedere la realizzazione di taluni principi fondamentali contenuti anche nella Carta delle Nazioni Unite, nella consapevolezza che è l’attuale struttura materiale dei rapporti internazionali che risulta da secoli di storia di dominazione coloniale e poi paracoloniale, comunque di stampo imperialistico, a costituire il principale ostacolo alla loro effettiva realizzazione.
Quali sono stati, per te, i punti di caduta che si sono determinati con la fine dell’Unione sovietica e la “balcanizzazione” del mondo che il socialismo teneva insieme?
Quel modello si è esaurito perché aveva in sé le premesse della propria fine. In parole povere, non ha retto di fronte alla spinta devastante della globalizzazione neoliberista che si è prodotta dall’inizio degli Anni Ottanta coll’ascesa al potere di Reagan e della Thatcher.
La stessa ascesa del nazionalismo che si è registrata nei Balcani e in Russia costituisce una conseguenza di quella crisi. E occorre oggi ragionare su come superare tale nazionalismo che rappresenta un fenomeno estremamente deleterio.
La struttura giuridica serve a tutelare gli interessi del modello economico prevalente, quello capitalista e imperialista. È possibile parlare di giustizia e diritto per tutti e tutte senza superare quel modello?
Ovviamente quel modello non va solo superato, ma totalmente rovesciato. Il diritto internazionale può essere concepito come uno strumento funzionale a questo rovesciamento.
Tra lawfare, sanzioni e prevaricazioni, come si declina oggi la sovranità degli stati?
La sovranità degli Stati e il principio di eguaglianza sovrana fra di essi vengono violati costantemente dalle politiche basate sul doppio standard, ma la loro affermazione risponde a una fondamentale esigenza democratica e quindi va perseguita contro tali politiche basate sugli interessi imperialistici.
Nel secolo scorso sono state approvate normative promettenti per una diversa soluzione dei conflitti, com’è quella dell’Artico, che tu prendi in esame nel libro. Può ancora costituire una garanzia nel quadro geopolitico che si va configurando, nel quale l’Artico è nel mirino di poderosi appetiti?
La normativa internazionale che impone la salvaguardia del bene comune costituisce l’unica garanzia possibile della sopravvivenza dell’umanità, come dimostrano le crisi attuali, dalla guerra in Ucraina, al cambiamento climatico, alle pandemie, e all’approfondimento delle disuguaglianze economiche e sociali.
Crisi della politica e crisi del diritto, dici nel libro, costituiscono due facce della stessa medaglia. Quali risposte, o quali indirizzi, intravvedi in Europa e nei paesi del Sud globale?
L’Europa è in preda a una crisi devastante che è prodotta dalla totale subalternità della sua élite politica, peraltro di pessima qualità ideale, culturale e morale, ai poteri forti esistenti sul piano internazionale.
Nel mondo abbiamo però fortunatamente esempi positivi di gruppi dirigenti che prendono in considerazione la necessità di realizzare il bene comune e quindi il diritto internazionale.
Pensiamo alla Cina e all’America Latina, che vede una ripresa molto significativa del discorso relativo alla sua integrazione politica ed economica, ma anche evoluzioni interessanti in Africa o nel Medio Oriente dove il confederalismo democratico ripreso ed elaborato da Abdullah Ocalan rappresenta un modello di grande interesse e suscettibile di sviluppi importanti anche al di là di tale area specifica.
Occorre ripartire da queste esperienze, positive ognuna nel suo ambito e coi suoi limiti, per mettere a punto una teoria rivoluzionaria globale che deve vedere nel diritto internazionale uno dei suoi strumenti e momenti di realizzazione.
* da Le Monde Diplomatique
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