Il braccio di ferro con Prigozhin servirà allo Zar per smascherare falsi amici, traditori e fiancheggiatori dei ribelli.
(DOMENICO QUIRICO – lastampa.it)
Lo zar è sospettoso, di più. È una iperbolica macchina del sospetto, montata ogni giorno con mani infallibili, il morbo sacro del dubbio lo tenta perennemente con i suoi fulgori e baratri neri. Il sospetto è incastrato biograficamente nel buio del suo antico dressage di spia, è biografico come un grembo matriarcale a cui ogni giorno torna da Ulisse. Sospettare. Investigare. Scoprire il tradimento. Non è forse l’erede di una storia, bolscevica staliniana brezneviana, popolata di spie tedesche, agenti capitalisti, diabolici troztchisti e aspiranti termidoriani? Putin non è un militare anche se pavoneggia tutte le uniformi possibili, non è un economista perché l’unica economia che gli interessa è quella di sfruttare il sottosuolo, non è in fondo nemmeno un politico poiché non ne ha bisogno, il suo consenso è prepolitico, basato su intimidazione, violenza, corruzione e luoghi comuni. Lo zar, da ventitrè anni, sospetta: tutto e tutti, i russi e gli occidentali, i cinesi e gli ucraini, gli oligarchi e i morti di fame, chi lo critica e soprattutto chi lo loda.
Già gli adulatori, i fedelissimi. Sono i più pericolosi, abbassi la guardia, li copri di rubli e medaglie, li abbracci e quelli: giù… una pugnalata ovviamente alla schiena, un golpetto, una congiura. Non si resta al potere per ventitre anni (e in Russia!) senza intravedere e smontare traditori dappertutto. E che anni poi! L’eredità di un disastro – anzi, di una catastrofe – eserciti di pezzenti e mendicanti, ceceni e oligarchi insopportabili, giornaliste e intellettuali impiccioni. E guerre. Anzi la Guerra, quella in Ucraina con la congiura universale, planetaria contro la Russia, ultima Thule dei puri.
Putin sa. La guerra non va benissimo, i figli dei derelitti di mezzo secolo fa rivestiti da una potenza di cartapesta resistono di malavoglia ad altri figli di derelitti ma rivestiti e armati come signori. Non basta tutta la propaganda del mondo per non fa nascere dubbi, per non alimentare progetti insurrezionali e chissà, perfino omicidi. A Putin manca un passato governo, un passato regime cui attribuire omissioni e nefandezze. Da un ventennio succede a se stesso, i russi conoscono e si affidano solo a lui.
Putin sa: che negli alti comandi si mormora contro la blitzkrieg sciagurata, contro le diaboliche volpi dell’Fsb che non si sono accorte che gli ucraini in otto anni erano stati vestiti da prussiani, che ceceni e ex galeotti della Wagner sono odiati più del nemico, che si mugugna perché da mesi si subiscono le provocazioni di Kiev senza reagire. E un po’ più in basso, nelle trincee, dove le greche sulle maniche sono rade si criticano i generali, i loro conti in banca, la vita da signori. E i burocrati, i milionari a contratto? Scivolano via da tutte le parti con soldi, figli e amanti. Alberghi e ville in Georgia ormai sono succursali dei quartieri bene di Mosca. E i tre milioni di renitenti alla leva? Altro che gioventù pronta a morire per il sacro suolo… tutti traditori.
Allora si ricorre al vecchio metodo: indurli allo scoperto, metterli di fronte a una golosa possibilità di prenotare il mondo nuovo, ovvero quello senza di lui. I tiranni lo hanno sempre usato: Tiberio si fingeva morto, Mao annunciava i cento fiori che sbocciano, gli intellettuali ci credevano e si ritrovavano nelle risaie. E poi Ivan il Terribile, che piaceva a Stalin. Un maestro! Per mettere allo scoperto i boiardi traditori si ritirò in campagna (ma portando con sé il tesoro) e fece leggere nelle piazze di Mosca dai suoi sgherri con le teste di cane due proclami opposti, in uno annunciava la abdicazione e nell’altro la smentiva. Vediamo chi fa lo spavaldo. Osservare e riferire.
Si convoca dunque l’uomo adatto, Prigozhin l’appaltatore della Wagner, cortigiano consumato. Per mesi gli si fanno scandire boccate di furibondi vituperi contro tutti, politici e generali, il circo del Cremlino e dintorni: prostitute, traditori, profittatori, ladri, incapaci… si autorizzano accuse che un po’ cripticamente si agganciano anche senza usar troppa fantasia perfino a lui, il capo supremo. Non succede nulla. Non lo si punisce. Un mistero.
Si osserva se qualcuno ingolosito da quella passività, che sembra alludere e preludere al declino, si fa avanti, scopre le carte. Nella rete restano pesci piccolissimi. I russi, da generazioni, sanno che davanti al Potere, rivoluzionario o reazionario, l’unico atteggiamento giudizioso è quello di tacere, chiudersi in se stessi.
Allora bisogna montare una trappola più sofisticata, un golpe. Addirittura. Finto naturalmente, un’esercitazione di golpe. I subdoli dovranno venire allo scoperto, schierarsi, scegliere, fare dichiarazioni compromettenti. Li si falcerà come il grano. Fa scuola l’amico Erdogan e il suo memorabile golpe di due ore. Con cui ha riempito per gli anni a venire gli stadi e le galere di oppositori, veri e presunti.
Allora Prigozhin insorge. Nelle retrovie ovviamente. Nelle terre occupate c’è il nemico che scruta dalla trincea di fronte, potrebbe approfittarne. Il cuoco-generale, con un cappellino in testa, va a far quattro chiacchiere con gli amici nel quartier generale sul placido Don. Nessuno spara un colpo, i golpisti dirigono il traffico a Rostov per evitare ingorghi. La gente filma con cura. L’ammutinato lancia paroloni: la guerra civile è iniziata, voglio davanti a me i traditori, marcio su Mosca e dintorni. Putin, composto, certifica in tv la pugnalata alla schiena. Il mondo, quello sì, è in subbuglio. Ma chi deve essere informato, per evitare reazioni sbagliate, è informato. Gli americani, che infatti sanno sempre tutto. Curiose queste telefonate transoceaniche tra generali, si chiama da Washington Shoigu (ma non era quello che doveva esser fucilato dal golpe?). E lui: non vi allarmate, abbiamo messo i posti di blocco stradali…
Prigozhin va quasi a Mosca, fa il golpe dell’autostrada e torna. Si prende una vacanza dall’amico bielorusso. I ceffi della Wagner si fanno soldati. Gli ucraini, che già esultavano sperando di trovare trincee vuote, avanzano di altri duecento metri. Putin è sempre lì. I russi, quelli che non contano, al fronte e nelle retrovie, hanno capito tutto e sono rimasti immobili. Le cancellerie son state cautissime, salvo qualche debuttante ingenuo. Se qualcuno è caduto nella trappola lo scopriremo a poco a poco, o forse non lo scopriremo affatto. Non si sa mai quando la Storia cessa di essere un romanzo.
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