sabato 1 gennaio 2022

Tra Stato e mercato, la Cina e l’Occidente neoliberista

Uno degli elementi più negativi nel pensiero comunista europeo degli ultimi 30 anni è sicuramente rappresentato da una concezione astratta del “socialismo”. Ridotto a una serie di princìpi totalmente indipendenti dalla realtà storica, validi in modo identico per qualsiasi formazione sociale (europea, asiatica, africana o americana), pressoché impossibili da rispettare concretamente. Una sorta di paradiso originario collocato nel lontano futuro anziché nel passato remoto.

 

 

Una volta identificato il “socialismo” con questo mondo ideale (variabile a seconda delle preferenze individuali, per di più) è inevitabile che il confronto con le esperienze concrete sia sempre negativo.

Ricordiamo che la definizione di Marx era molto più laica: da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo il suo lavoro. Che è certamente una formulazione astratta, ma che descrive un criterio invece che una serie di “istituti” teoricamente caratterizzanti una formazione sociale “socialista” (inevitabilmente varianti a seconda del livello di sviluppo di un certo paese, le tradizioni locali, le culture, ecc). L’”eguaglianza” – per esempio – in condizioni di povertà o di relativo benessere generale, in pace o in guerra, ecc, può significare cose molto diverse.

Parlando di Cina – come abbiamo visto anche nel convegno dedicatole lo scorso anno – questo scarto tra socialismo ideale e concreta costruzione di una società viene fuori continuamente. Condanne e beatificazioni si alternano continuamente, senza cogliere alcun elemento essenziale, come se nutrire, vestire, far vivere in modo soddisfacente una popolazione nel frattempo cresciuta fino a 1,4 miliardi di persone, non fosse un problema. E pure gigantesco.

L’elemento essenziale distintivo tra regime capitalistico e “socialismo in costruzione” – andiamo ripetendo da tempo, con gradi di approssimazione, speriamo, sempre più precisi – è secondo noi la relazione tra Stato e mercato, tra pianificazione e “anarchia” della “libera impresa”.

Specie in ciò che resta de movimento italiano “il mercato” viene identificato tout court con “il capitalismo”, come se non fosse un luogo e una dinamica esistente da sempre, in qualsiasi modo di produzione e formazione sociale. Le popolazioni che vivevano sulla costa scambiavano parte dei loro prodotti con quelle che vivevano nell’entroterra, e lo stesso avveniva tra montagna e pianura, ecc.

Il mercato” è insomma insopprimibile perché forma stabile e concreta delle relazioni tra gli esseri umani, che il capitalismo ha “sussunto e trasformato” secondo la sua logica e imponendogli la sua logica.

Le esperienze socialiste che hanno provato a farne a meno si sono ritrovate con molti problemi irrisolvibili e che anche la migliore pianificazione non poteva prevedere, normare, sciogliere.

Non ci sorprende che questa relazione essenziale tra Stato e mercato venga invece colta, con grandissima precisione, da analisti abituati a farci i conti quotidianamente, su giornali economici altamente specializzati. Da gente, insomma, che vede molto concretamente dove “il mercato capitalistico” domin

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