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Nella giornata di venerdì 28 gennaio si è tenuto lo sciopero nazionale degli infermieri, che hanno protestato contro le politiche messe in atto dal Governo Draghi per contrastare la pandemia da Covid-19. L’Indipendente ha intervistato Igor, 40 anni, infermiere presso l’ospedale Maria Vittoria di Torino e delegato sindacale USB, incontrato mentre partecipava a un presidio di protesta per sensibilizzare la popolazione sulle condizioni in cui versa la sanità durante la crisi pandemica e rivendicare migliori condizioni di lavoro.
Venerdì c’è stato lo sciopero nazionale di categoria del personale della sanità. Quali sono le vostre principali rivendicazioni?
Diciamo che sin dall’inizio della pandemia la gestione del personale sanitario è stata quantomeno improvvisata. Inizialmente ci veniva detto di non mettere le mascherine per non spaventare i pazienti e perché ne venivano date in dotazione un numero insufficiente, ragion per cui molti colleghi sono stati contagiati e sono poi morti di Covid. Per un lungo periodo non ci hanno fornito un quantitativo adeguato di DPI (Dispositivi di Protezione Individuale): mancavano le mascherine FPP2, i guanti, mancavano persino i caschi Cpap [i caschi per la ventilazione dei pazienti positivi al Covid ricoverati].
Addirittura l’azienda ci ha costretti a lavarli proprio perché non ne avevamo a sufficienza per tutti i pazienti, ma si tratta di dispositivi monouso che andrebbero utilizzati e poi gettati, costringere noi a lavarli significava esporci a un altissimo rischio di contrarre il virus. E rifiutarci di farlo avrebbe significato lasciar morire i pazienti. Si tratta di discorsi delicati. In due anni abbiamo lavorato con le buste di plastica legate ai piedi, poi con i camici da macellaio senza maniche (abbiamo dovuto provvedere noi ad attaccarle) o indossando i camici da veterinario che si utilizzano per far partorire le mucche… è stata proprio un’improvvisazione totale.Dopo due anni di pandemia si è posto rimedio a queste cose? Ora lavorate in sicurezza?
Sì, ora abbiamo i dispositivi, ma le problematiche sono altre. Intanto sai quanti DPI sono stati sequestrati tra quelli che ci hanno distribuito? È capitato che ci dessero le mascherine FPP2 e poi dopo qualche mese ci venisse detto che in realtà non erano idonee e che dovevano essere ritirate. È difficile capire il discorso della certificazione delle mascherine, perché tutto viene comprato all’estero, per esempio dalla Cina. Per questo durante il primo lockdown mancava quasi tutto. Ora invece ci troviamo nella situazione per la quale se risultiamo a contatto con persone positive non possiamo nemmeno più fare la quarantena, siamo costretti ad andare a lavoro facendo tamponi tutti i giorni per cinque giorni. Ovviamente è un rischio per i pazienti, ma nel momento in cui manca il personale e non ne viene assunto di nuovo questi sono gli escamotage che vengono adottati. Durante le prime ondate, quando il personale risultava positivo e asintomatico o comunque con sintomi lievi, era tenuto ad andare a lavoro con la motivazione che tanto comunque si lavorava già in reparti Covid. È tutto un giro per far lavorare la gente anche da ammalata perché non hai personale, non hai investito e non hai assunto. Tutto questo va a pesare sul personale.
Nelle strutture private ci sono stati gli stessi problemi?
Assolutamente no. Qui a Torino la Protezione civile ha messo in atto una grande campagna mediatica per avere donazioni dai cittadini, finalizzate all’acquisizione dei DPI, ma buona parte di questi è andata poi a finire alle OGR [Officine Grandi Riparazioni, ex complesso industriale di 20 mila mq sito in Torino e riqualificato dalla Fondazione CRT nel 2013, con un investimento di ben 100 milioni di euro; nel 2020 il complesso è stato adibito per poco più di tre mesi ad ospedale Covid]. Lì avevano tutto, potevano cambiare un dispositivo all’ora, mentre gli ospedali venivano abbandonati perché non godevano di altrettanta risonanza mediatica. Si trattava quindi di una struttura privata adibita a ospedale Covid temporaneo dove il personale che vi lavorava veniva da altre zone d’Italia e quindi veniva pagato decisamente di più di un infermiere normale di un ospedale, che si aggira intorno ai 1500 euro. Il loro stipendio è molto più alto e in più veniva dato loro l’alloggio, mentre alla cittadinanza non rimane nulla, né strutture né servizi. Non sono stati ristrutturati i reparti o costruiti nuovi ospedali.
E lo Stato non è intervenuto con nessun tipo di aiuti?
No, assolutamente. Sono state finanziate solamente le strutture private o comunque il settore privato in generale, dall’agenzia interinale per la somministrazione di lavoratori a centri come le OGR e per di più di tutto ciò non rimarrà nulla. A Torino abbiamo strutture come l’ospedale Maria Adelaide, che è inutilizzato da anni e non è stato riattivato per gestire l’emergenza della pandemia. All’ospedale Maria Vittoria, dove lavoro io, avevamo un reparto di ortopedia maschile che è stato dismesso ed è rimasto vuoto da anni, come tanti altri. Bene, dopo lavori durati un tempo lunghissimo e una spesa di un milione di euro, sono riusciti a creare 8 posti di terapia sub-intensiva, che hanno permesso l’abbassarsi in questo modo dell’indice Rt dell’occupazione dei posti letto in rianimazione. È stata trattata come una grande vittoria, quando si tratta evidentemente di una spesa enorme per 8 miseri posti.
È stato assunto del personale dopo l’aumento dei posti letto?
No, è questo l’altro problema, non è stato assunto personale, viene usato quello dei reparti di Medicina e Rianimazione. Essendo un reparto di sub-intensiva, inoltre, i pazienti gravi non possono esservi ricoverati perché vi sono i macchinari per la ventilazione ma non per l’intubazione.
Si può quindi dire che il problema dei posti letto negli ospedali non dipenda tanto dal numero delle ospedalizzazioni di per sé ma dal fatto che non esista un’adeguata capacità di accoglienza nelle strutture?
Assolutamente sì. L’emergenza ha un criterio legato alla durata, dopo due anni non la si può più chiamare emergenza, questa è cronicità. Uno stato di emergenza ha un inizio e una fine, ma non può durare due anni. Vi è una situazione di cronica mancanza dei posti letto e di personale, che è stata semplicemente tamponata assumendo dei privati. E un Governo del genere è lo stesso che ci ha imposto il vaccino obbligatorio come unica misura risolutiva, nonostante i contagi stiano dilagando anche tra chi ha ricevuto la terza dose, ed è lo stesso che si nasconde dietro un Green Pass per non assumersi la responsabilità di un obbligo vaccinale. Draghi è un banchiere e quello rimane, nonostante ora ricopra un altro incarico. Sta facendo l’interesse dei privati. A furia di tagliare in questo modo le persone per avere delle visite specialistiche non possono far altro che rivolgersi ai privati, perché nel pubblico non vi sono più le risorse. Se non altro del Governo Conte si può dire che si è trovato in una situazione emergenziale da un momento all’altro e ha fatto quello che ha potuto per gestire una situazione sconosciuta. Dopo due anni di pandemia Draghi non può più usare questa scusa per giustificare la mancanza di interventi strutturali e l’abbandono del settore pubblico.
Cosa ne pensa della retorica degli infermieri come eroi?
Che è tutta una lavata di faccia, una presa in giro. Ci dicono che siamo degli eroi e poi ci trattano come pezze da piedi. Siamo professionisti, quello che vogliamo è esercitare il nostro mestiere in sicurezza.
[di Valeria Casolaro]
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