I lavoratori che si ritrovano senza più un lavoro si sono riuniti insieme ai familiari davanti allo stabilimento marchigiano della multinazionale statunitense. Il futuro appare nebuloso, la prospettiva più concreta è quella di un periodo di cassa integrazione straordinaria. Ma gli operai, molti qualificati, non si perdono d'animo e sono ottimisti sulla possibilità di trovare un nuovo impiego nel territorio.
ilfattoquotidiano.it Pierfrancesco Curzi
La fabbrica di via Roncaglia era essa stessa una grande famiglia. Sudore e fatica versati da operai e impiegati, un patrimonio vanificato da un semplice calcolo economico dei piani alti della multinazionale americana. Nessun rimorso, nessuna speranza e questo non va giù ai lavoratori e neppure ai loro familiari più stretti che stamani hanno riempito il piazzale antistante l’ingresso della fabbrica: “Perdere il posto in questo modo è pura cattiveria e io sono qui davanti ai cancelli della fabbrica per difendere il lavoro di mio padre. Saperlo senza lavoro è una brutta sensazione. Un giorno è venuto a casa e ce lo ha comunicato, è stata dura. Il Natale ne ha risentito. Io e mia sorella stiamo cercando di allontanare il pensiero dalla sua testa, per farlo stare più sereno. Sono determinato a cambiare le cose nel mondo perché queste maniere di fare non sono accettabili”. Mattia Marchetti ha 15 anni, frequenta il II° anno dell’Itis di Jesi e ha la testa e il cuore di un adulto. Suo padre Massimiliano è uno dei 270 dipendenti licenziati con una Pec meno di un mese fa: “A Natale di solito papà mi dava dei soldi come regalo, ma quest’anno ho cercato di limitarmi molto – spiega il ragazzo. Lui mi ha sempre accontentato in tutto e io gliene sono davvero grato”.
Mattia e sua sorella parte di quei soldi li hanno investiti invertendo il cliché: “Di solito sono i genitori a fare i regali ai figli – aggiunge Giada Marchetti, 20 anni, al secondo anno della facoltà di lingue all’Università di Macerata – stavolta io e Mattia, dopo un giro per negozi, gli abbiamo comprato un bel maglione caldo per l’inverno. Ricevere un regalo, spronarlo a frequentare il presidio qui in fabbrica, stare con lui: ora ne ha tanto bisogno. Il lavoro di papà alla Caterpillar l’ho sempre visto come una certezza, un pilastro importante della nostra vita. Quando quel giorno ha chiamato per informarmi della chiusura mi è caduto il mondo addosso”.
Lui, Massimiliano Marchetti, ha 49 anni e di recente è stato colpito dal lutto della perdita di un fratello. Alle spalle una lunga esperienza in Cat: “Ho dato 23 anni della mia vita, periodi duri fatti anche di cassa integrazione ce ne sono stati, ma stavolta ci ha preso alla sprovvista. I miei figli? Ne sono orgoglioso, ma non mi faccia commuovere la prego”.
Gli orizzonti temporali della vertenza Caterpillar sono ancora nebulosi. Il 23 febbraio 2022 saranno trascorsi 75 giorni dall’invio della Pec e dal giorno successivo la dirigenza avrà 120 giorni per mettere in pratica la procedura aperta e partire coi licenziamenti dei lavoratori, individuali o per reparto. Visto l’atteggiamento tenuto sin qui è facile immaginare che l’azienda cercherà di passare subito ai fatti.
La discussione resta aperta, anche se il tavolo regionale non ha portato ad alcun risultato: “Nel primo e finora unico incontro avuto a livello regionale, assieme al presidente della regione Marche Francesco Acquaroli abbiamo chiesto il ritiro della procedura, Caterpillar ha rifiutato e tutto si è arenato. Ora la palla passa al Ministero sviluppo economico, in attesa di una sua attivazione , spiega Tiziano Beldomenico, segretario Fiom Ancona. Rispetto ad altre vertenze questa è peggiore perché l’imprenditore non c’è, non sappiamo con chi parlare. Speranze di un dietrofront ne vedo poche, il paracadute sarà uno o al massimo due anni di cassa integrazione straordinaria in attesa di una manifestazione d’interesse per rilevare la proprietà”. La lotta è adesso. Una fase caotica tra riunioni, pratiche e procedure per i membri dell’Rsu. Nonostante il futuro incerto c’è però un punto inalienabile e lo ricorda Diego Capomagi (Fiom), 42 anni: “Ci hanno comunicato la chiusura della fabbrica, non che ci tagliano le braccia per impedirci di lavorare”.
“I dipendenti di questa fabbrica sono qualificati, qualsiasi cosa succeda sono certo che la maggior parte di loro riuscirà a ricollocarsi. Per ora non ho tempo di preoccuparmi di cosa accadrà in futuro, sono immerso nella lotta, ci sono tante cose da seguire, sperando di poter posticipare la data del 23 febbraio. Non dobbiamo spaventarci, qualsiasi cosa accada, il territorio offre diverse opportunità, ci sono imprenditori e artigiani della zona che hanno già dimostrato interesse. Cosa farà Caterpillar? Faccio parte del Comitato sindacale europeo della multinazionale, li conosco bene, andranno fino in fondo senza farsi troppi pensieri”. Capomagi stamattina era accompagnato dalla moglie, Laura Crucianelli, commercialista, e dai due figli di 3 e 5 anni: “Per noi è stato naturale venire al brindisi di fine anno in fabbrica , aggiungono Capomagi e sua moglie, portando i bambini, anche se loro preferivano andare dai nonni. Le famiglie sono importanti. Sono ancora piccoli, non hanno capito cosa è successo, sta di fatto che dal 10 dicembre dormiamo tutti e quattro insieme nel lettone. Avevamo fatto i salti mortali per trovare qualche giorno da trascorrere sulla neve coi bambini, incastrando turni e lavoro. La notizia del 10 dicembre ha fatto saltare tutti i piani, sicché stasera festeggeremo Capodanno a casa, cercando di non pensare alla vertenza”.
Tra i 270 dipendenti della Caterpillar ci sono anche 14 donne occupate nella palazzina direzionale. Il dramma ha colpito anche chi per anni ha prestato servizio negli uffici amministrativi, dove passa la contabilità: “Non c’era alcun segnale industriale che facesse ipotizzare un rischio per il lavoro, raccontano Sara e Federica, i nomi, su loro specifica richiesta, sono di fantasia. Le carte noi le vedevamo. La nostra responsabile ce l’ha detto due minuti prima che arrivasse la notizia ufficiale, indicandoci di uscire sul piazzale antistante. Non era filtrato nulla, forse l’idea che potesse succedere qualcosa magari, ma non la chiusura così, di botto. Quando siamo uscite fuori quella mattina pensavamo fosse successo un incidente, un furto, poi abbiamo visto il ‘blindato’ di Chatain. Poco da aggiungere, sono stati bravi e freddi nel mascherare così bene un simile terremoto”.
C’è un dettaglio in particolare, al di là del trauma della perdita del lavoro, che le due lavoratrici non riescono a mandare giù: “L’assurda pantomima Chatain se la poteva risparmiare. Poteva dire ‘no’ e restare nella sua Grenoble invece di farsi nominare direttore per poche settimane (meno di tre, ndr), scendere nelle Marche, lasciarsi andare a sperticate lodi verso i lavoratori per la loro efficienza e poi piantarci il coltello nella schiena, a tradimento. E pensare che di lui avevamo avuto una prima impressione molto positiva; il dg a interim, Bolognini, ce lo aveva descritto come uno dei migliori dirigenti del gruppo. E che dire del responsabile della nostra divisione, Kyle Price, venuto a Jesi dall’Illinois a fine ottobre per farci i complimenti, rassicurandoci che dopo Lorenzoni (l’ex direttore dello stabilimento, ndr.), presto sarebbe arrivato un leader stabile. Ci aveva parlato dei valori aziendali, della persona messa al primo posto, di etica e poi ecco il trattamento a noi riservato”. Uno dei leader sindacali della protesta, coordinatore Fim dell’Rsu, è Donato Acampora. Ironia della sorte sua moglie, Lorena Mancini, lavora in un Caf della Cgil: “Quel giorno Donato mi ha chiamato mentre ero al lavoro. Lui ha risposto a un mio messaggio dicendo ‘Ci chiudono’ e poi ci siamo sentiti al telefono. Avevo delle persone davanti a me, ma purtroppo non sono riuscita a non emozionarmi. Avevo gli occhi lucidi, le mie colleghe pensavano fosse successo qualcosa in famiglia, poi ho spiegato loro la realtà. Mi è cascato il mondo addosso, nessuno, compresa me, era preparato a una simile notizia. L’atmosfera a casa è cambiata, cerchiamo di vivere la cosa il più serenamente possibile, anche se dentro di noi il pensiero va sempre al 23 febbraio, alla speranza di poter spostare in avanti il licenziamento”. Proprio Acampora stamattina, durante gli interventi dei vertici e dei rappresentanti sindacali, ha dedicato una bella e calzante metafora leopardiana ai famigliari dei lavoratori Caterpillar: “La ginestra è un simbolo di resilienza e resistenza. La lava del vulcano passa sopra e la distrugge, ma sotto resta la radice, salda e pronta a rinascere. Voi siete la nostra radice, finché resterete al nostro fianco il lavoro non morirà mai e la nostra lotta arriverà fino alla meta”.
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