Alle 18 di domenica 26 settembre si sono chiusi i seggi per le elezioni del parlamento tedesco. Più di 60 milioni di tedeschi sono stati chiamati alle urne per eleggere il Bundestag.
I risultati definitivi chiariranno con precisione il consenso delle varie formazioni politiche, nell’incertezza generale che ha caratterizzato sondaggi di voto pre-elettorali, determinando quella che sarà la composizione della coalizione che governerà la Germania del dopo-Merkel.
L’uscita di scena dopo 16 anni della Cancelliera dal suo annuncio in poi non è stato un processo di transizione indolore per la sua formazione, che ha stentato – e stenta – a trovare un leader all’altezza.
Difficoltà dovute anche gli aspri scontri interni ed i difficili rapporti con la sua “sorella bavarese”, la CSU. Un passaggio difficile anche per la coalizione politica che ha guidato il Paese, fino ad adesso composta dalla SPD e dalla CDU.
Una Coalizione che ha dovuto confrontarsi tra l’altro, nell’ultimo periodo di cancellierato, con una fallimentare gestione della Seconda Ondata di Covid-19, i disastri ecologici di questa estate, e la disastrosa conclusione dell’avventura afghana, in cui il ruolo militare tedesco è stato tutto meno che secondario.
Ma è una crisi che parte da prima del diffondersi della pandemia, in cui la Grande Coalizione già scricchiolava per ragioni strutturali .
Un dato è certo: La CDU esce con le ossa rotte da questa tornata elettorale, con il peggior risultato storico dal 1949 e otto punti percentuali in meno rispetto alle precedenti elezioni per il Bundestag, ben sotto la soglia psicologica dei 200 deputati.
Un dato che conferma ciò che era già emerso nelle elezioni di due importanti Land occidentali del marzo scorso.
Laschet, leader dei Cristiano Democratici, ha affermato laconicamente la sera delle elezioni che “non possiamo essere contenti”, ma anche se arrivasse secondo – come sembra – ha ribadito che tratterà per guidare il governo, guardando di fatto ai “Verdi” ed ai liberali e liberisti della “FDP” come uniche ancore di salvezza per non passare all’opposizione e concretizzare la cosiddetta “coalizione Giamaica”.
Nulla impedisce ad un partito che giunge secondo di guidare il governo: sono le alchimie politiche della creazione di una coalizione ed i deputati di cui dispongono i partiti a determinare o meno questa scelta.
Il politico originario di Aquisgrana, entrato nel 1979 nella CDU, succeduto alla dimissionaria Annegret Kramp Karrenbauer non sembra essere per ora l’uomo della rinascita dei Conservatori del dopo-Merkel.
Era già molto incerto che, dopo la sua elezione alla testa della CDU a gennaio, fosse lui il candidato alla Cancelleria per i conservatori, segno di una partenza con il piede sbagliato.
E, per come vengono aggiudicati i seggi, potrebbe anche non entrare neanche in Parlamento, come riporta il Berliner Zeitung.
I partiti che hanno dominato fino a qui la scena politica tedesca della Germania Unificata – la CDU, con ora a capo appunto Armin Lashet, e la SPD alla testa del quale vi è Olaf Scholz – rimangono comunque le principali formazioni, ma si è sempre più esteso il consenso dei Verdi di Annalena Baerbock, spinti da un lato da una comprovata affidabilità per l’establishment tedesco e dall’altro dalle mobilitazioni ambientaliste che con i Fridays For Future hanno caratterizzato anche il venerdì precedente alle elezioni.
Un voto, quello per i Grünen, che ha trovato in questi anni nei giovani istruiti delle città dell’Ovest il proprio zoccolo duro in espansione; fasce giovanili che prediligono sempre di più l’offerta di questa formazione filo-europeista, ma anche attenta alle tematiche anti-razziste e dei “diritti umani”.
Queste elezioni sono state caratterizzate da due fattori: da un lato un’incertezza di fondo sull’orientamento di una grossa fetta degli elettori, indecisi fino all’ultimo momento, e l’uso massiccio – circa il 40% – del voto per corrispondenza<.
Il primo dato fa emergere la natura “liquida” della preferenza elettorale, in un contesto in cui le opzioni politiche di fondo delle tre maggiori formazioni sono di fatto quasi sovrapponibili, considerato tra l’altro che all’interno dei Verdi da tempo ha vinto la corrente “realos”, che declina l’ecologia coniugandola innanzitutto con gli interessi dell’impresa, com’è empiricamente riscontrabile dalle esperienze di governo locale di cui sono parte.
Di fatto, la gamma di combinazioni possibili per una coalizione – esclusa la Grosse Koalition, che sembra un’opzione ormai morta e sepolta anche numericamente – ha come attori indispensabili uno dei due partiti che hanno co-governato la Germania fino ad ora (SPD o CDU/CSU); e dove comunque i Verdi – che non governano dal 2005 a livello federale – saranno il “perno” di qualsiasi coalizione, a maggior ragione guardando i risultati che li premiano.
Per esemplificare le tre ipotesi che si davano prima del voto, seguendo la dizione tedesca che caratterizza la coalizione a seconda dei colori della formazione, è possibile un governo “semaforo” (SPD, Verdi ed i liberal-liberisti della FDP), “Giamaica” (CDU/CSU, Verdi e FDP), oppure “Rosso-Rosso-Verde” (SPD, Verdi e Die Linke, se superasse –. ma non è detto – lo sbarramento del 5% e rinunciasse ad alcune storiche parole d’ordine. come l’uscita dalla NATO, come preteso dai possibili alleati di coalizione).
Finora vi è stata, a livello Federale e di singoli Land – con alcuni notevoli inciampi da parte della destra dei Conservatori -, una convetio ad escludendum nei confronti della AFD, la formazione di estrema-destra particolarmente radicata nella Germania dell’est, che i sondaggi davano in crisi ed in notevole calo, ma che rimane il quinto partito con ben più del 10% dei voti.
In sintesi, in queste elezioni, sebbene si sia fermata la sua corsa, mantiene una buona base di consenso confermandosi per la seconda volta al Bundestag e continuando ad esprimere la disaffezione di una parte consistente della popolazione della Germania orientale, molto più che la Die Linke.
Il secondo dato – quello del voto postale – certifica invece come sia ancora alta la percezione del rischio-contagio, che ha spinto gli elettori a non adottare il tradizionale voto fisico alle urne.
I contagi sono di nuovo in aumento costante.
Il sistema proporzionale tedesco dà due voti ad ogni elettore. Il primo per un candidato in uno delle 299 circoscrizioni che garantiscono ad ogni distretto una rappresentanza elettorale; il secondo voto va ad un partito e determina la composizione del Bundestag con lo sbarramento al 5%.
La taglia del futuro parlamento sarà determinata solo quando tutti i voti saranno contati, e potrà variare – secondo le previsioni – da 709 (finora un record) fino a 900!
Venendo ai risultati, che saranno definitivi entro la mattinata di oggi, ma che non possono che modificarsi molto marginalmente..
I socialdemocratici sono in testa di poco rispetto ai conservatori, meno di un punto percentuale (circa 25% dei voti per l’SPD). I primi guadagnano qualcosa, i secondi sono in notevole calo, ma entrambi insieme hanno totalizzato la metà circa delle preferenze degli elettori.
La somma dei voti in percentuale li penalizza rispetto alle elezioni parlamentari precedenti, segno che la disaffezione per la “Grande Coalizione” ha ormai logorato la formula.
Olaf Scholz, dalla Casa Willy Brandt a Berlino, afferma che è chiara l’indicazione di cambiamento data dagli elettori, affermando che i cittadini “vogliono il prossimo cancelliere sia il candidato della SPD”, di fatto la formazione che ha ottenuto più voti.
Un sondaggio di domenica sera reso pubblico dalla ZDE afferma che la maggioranza di tedeschi, il 55%, gradirebbe un governo guidato dalla SPD, contro un 36% che lo vorrebbe guidato dalla CDU/CSU, cioè più o meno l’esatto opposto del risultato della risposta posta precedentemente dopo le elezioni del 2017.
Non è peregrino pensare che la doppia mossa vincente dei socialdemocratici sia stata prima lo smarcarsi dalla CDU e di scartare a priori il ripetersi della Grande Coalizione, e la poi una sterzata “a sinistra” dell’ultimo momento, promettendo la fine dell’austerity, una patrimoniale che faccia pagare le tasse ai più ricchi e l’aumento del salario minimo a 12 euro. Solo promesse? Lo vedremo presto.
I Verdi si affermano come terzo partito con circa il 14%, seguiti di misura dalla FDP, che registra circa 3 punti percentuali in meno. A Berlino la Baerbock ha detto che è il miglior risultato della loro storia, circa 4 punti in più rispetto al 10,7% del 2009, anche se non nasconde gli errori fatti e ribadisce la necessità di “un governo per il clima”.
Dal loro vero e proprio primo exploit, alle elezioni europee del 2019, i verdi sono diventati uno dei perni per gli scenari di governance della futura coalizione.
Christian Linder, leader del FDP – che si è aggiudicato il travaso di una parte del voto conservatore – ha suggerito che, per formare una coalizione, il suo partito ed i verdi (inseme circa un quarto dei consensi totali) dovrebbero parlarsi per primi e poi scegliere il terzo partner, di fatto bypassando le due maggiori formazioni e stravolgendo la dinamica decisionale “tradizionale”.
Anche l’influente editorialista della Deutsche Welle, Manuela Kasper, sembra essere sulla stessa lunghezza d’onda quando afferma che le maggiori sfide per il 21simo secolo – la crisi climatica, la rivoluzione digitale e la modernizzazione della Germania – possono “essere risolte solo in cooperazione con i partiti più piccoli, e in ogni coalizione concepibile i Verdi e l’FDP avranno l’ultima parola. Nulla può funzionare senza di loro ed è una buona cosa”.
Anche Die Linke è in caduta libera, ed è sulla soglia dello sbarramento.
Potrebbero volerci settimane, probabilmente mesi, per veder prendere forma la coalizione che guiderà la Germania. I leader dei vari partiti auspicano di raggiungere un accordo prima di Natale. Nel frattempo la Merkel resterà Cancelliera.
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