domenica 26 settembre 2021

Draghi ha sempre ragione.

El povaro me dise:

son vigliaco, sì, ma ‘scolta: gò la mare vecia,

el pare vecio,

la mugier piutosto zòvene,

e i fioi da mantigner.

Saria la fame.

Giacomo Noventa

(Versi e poesie)

Milano, Edizioni di Comunità , 1956

effimera.org Gianni Giovannelli

Il Senato, nella seduta del 15 settembre, ha approvato la conversione in legge del decreto n. 105/2021, su cui il governo, per non correre rischi, aveva chiesto il voto di fiducia; conseguentemente ha trovato conferma la strategia del lasciapassare utilizzato come principale strumento di contrasto del Covid e di regolamentazione dell’emergenza, mettendo a tacere la peraltro tiepida opposizione interna alla maggioranza delle larghe intese. Il giorno successivo il presidente del consiglio ha varato un nuovo decreto legge, trasmettendo il testo al Quirinale per una firma che viene data per scontata, nonostante la delicatezza del contenuto; il nuovo provvedimento non è solo innovativo rispetto alla legislazione europea vigente, ma si caratterizza per una natura a modo suo costituente, con una interpretazione cioè dei precetti costituzionali quanto meno assai disinvolta, certamente fino ad oggi mai percorsa nei paesi dell’Unione.

Il green pass – la certificazione verde europea – assume, con questo decreto, la funzione di un vero e proprio lasciapassare, senza il quale viene inibito d’imperio l’accesso ai luoghi di lavoro, e conseguentemente al reddito. Quale che sia il giudizio storico, tecnico, politico su un simile intervento dell’esecutivo, non ci si può nascondere che si tratta di una decisione operativa senza precedenti nella storia della nostra Repubblica e senza riscontro similare negli ordinamenti europei postbellici. Come era accaduto per i decreti governativi nella fase iniziale del contagio (i famosi dpcm) pure questo ulteriore esperimento di legislazione creativa costruito nel laboratorio italiano viene osservato con estremo interesse dagli altri governi, per comprendere se meriti di essere utilizzato su larga scala, dopo la verifica sul campo. Il meccanismo tecnico dell’intervento ministeriale, per la rapidità di formulazione e adozione, è stato recepito sul modello italiano da numerosi governi occidentali; potrebbe accadere lo stesso con il green pass.

Obbligo di vaccinazione: costituzionalità e praticabilità

Gli esponenti più radicali del nuovo dispotismo democratico hanno a più riprese evocato (e invocato) l’introduzione nell’ordinamento di un espresso obbligo di sottoporsi all’inoculazione del vaccino, senza peraltro mai chiarire esattamente quale e quanto. L’astuto Draghi si è servito di questi poco meditati sproloqui per imporre, in veste di mediatore, questa nuova, subdola, forma di coazione al lavoro servile e precario, mediante una sorta di biglietto d’ingresso capace di trasformare l’accesso allo sfruttamento in un premio da conquistare. Lo stesso Landini, piuttosto ingenuamente, ha schierato il suo sindacato nel fronte dei fautori dell’obbligo per legge; e con altrettanta ingenuità segmenti radicaleggianti di destra o sinistra hanno opposto un semplice cocciuto rifiuto di qualsiasi argine al virus, prestando il fianco al successo del piano Draghi.

La questione di costituzionalità, sollevata da più parti non sempre fra loro omogene poggia interamente su una lettura rigida dell’art. 32: ma il divieto, espresso, di obbligare al trattamento sanitario  vale, in verità, con il limite se non per disposizione di legge. E qui si alza l’ulteriore barriera : in nessun caso si possono violare i limiti imposti dal rispetto delle persona umane. Ma quando questo necessario rispetto viene meno? Quale è il confine invalicabile? Con la recente decisione 5/2018 la Corte Costituzionale – presieduta allora da Marta Cartabia – aveva salvato la legge Lorenzin, censurata dalla regione veneta, come era accaduto in passato per le norme del 1963, 1966, 1991 (quelle su vaiolo, poliomelite ecc. ecc.); si trattava pur sempre di vaccini destinati ai minori, intesi come soggetti da tutelare, e mai di maggiorenni. Lo stesso obbligo più recente già a virus dispiegato, e diretto al personale sanitario, inibisce la prestazione lavorativa, non è un TSO con inoculazione forzata. Del resto la Consulta, in parte motiva della sentenza 5/2018, ha ben chiarito che la vaccinazione (del minore) non può mai accompagnarsi a un rischio sanitario effettivo, e deve altresì prevedere, ove ci sia danno, un risarcimento adeguato. Il governo ha invece scelto di escludere la responsabilità medica, laddove il protocollo sia rispettato; e questa scelta appare incompatibile con l’inoculazione forzata. La strada dell’obbligo vaccinale si presenta dunque difficile, perfino impervia, in conclusione poco consigliabile. Per aggiunta non è davvero praticabile, e una simile bizzarria poteva venire in mente solo a chi non ha la minima esperienza di concreta attuazione delle norme. In diritto un obbligo sfornito di sanzione viene chiamato norma imperfetta. Anche riducendo il numero dei refrattari ad una nicchia del 10% (siamo sotto la soglia delle più ottimistiche previsioni programmatiche del generale Figliolo) si tratterebbe di 5 milioni di soggetti da sottoporre con la forza al vaccino, da processare, da punire in via penale o amministrativa, con un dispiegamento di risorse, finanziarie e umane, allo stato inesistente. Un programma vasto, irragionevole, impossibile da attuare. Come le multe inflitte dai comuni leghisti ai mendicanti senza un soldo!

Il lasciapassare

Il problema dei moderni capitalisti (o imprenditori se piace di più) è quello di far funzionare la macchina che produce ricchezza; di conseguenza questo è anche il compito del governo Draghi e delle forze politiche (di maggioranza e di opposizione: su questo punto l’accordo è pieno). Non si tratta di tutelare davvero la salute dei singoli soggetti e tanto meno di evitare l’esposizione dei lavoratori al virus; bisogna piuttosto garantire la maggiore fluidità possibile al ciclo complessivo, evitando intralci alla piena ripresa o rivendicazioni sindacali che possano costituire ostacolo all’accumulazione di profitto. Nel settore della logistica, ove lo scontro è più duro e dove ogni fermata viene parificata al sabotaggio, la regolamentazione dell’accesso al lavoro viene ad assumere oggettivamente funzione di controllo politico, per la variegata composizione della manodopera addetta a carico, scarico, trasporto, confezione, in un mosaico di artigiani, padroncini, cooperative, appalti, subappalti, caporali, guardie e chi più ne ha più ne metta.

I destinatari del green pass: e gli irregolari dove li mettiamo?

L’Ufficio Studi mestrino della CGIA (la Confederazione dell’Artigianato) ha calcolato che la legione dei lavoratori irregolari (totalmente irregolari) sia di 3.200.000 addetti (12,9% in media), con punta massima in Calabria (22,1%) e minima in nord est (9%). Ma durante la sindemia, nel corso del 2021, i settori colpiti dalla crisi hanno determinato il trasferimento, in via provvisoria e precaria, di molti addetti verso attività diverse, sottopagate in nero, per consentire loro di resistere alla riduzione di reddito. Il numero è andato aumentando, si calcola fino a 3.700.000. Il dato trova sostanziale riscontro nelle stime del CENSIS (rapporto del 29 maggio 2021).

Questa gigantesca platea non prevede controllori o controllati, sfugge al lasciapassare perché costituita da fantasmi. Sono coloro che il rapporto Censis del 4 dicembre 2020 n. 54 definiva scomparsi e inabissati, quantificando la sparizione improvvisa in circa 5 milioni di persone. Costoro sono certamente vivi, ma nessuno è in grado di sapere esattamente come sbarcano il lunario giorno per giorno; riteniamo improbabile che possa trovare applicazione il green pass in questo mondo sommerso.

Si aggiungano poi circa 800.000 extracomunitari (per la gran parte irregolari, per un quarto richiedenti in attesa). Sono i c.d. STP (straniero temporaneamente presente), privi di tessera sanitaria come altri 45.000 senza fissa dimora. In teoria anche costoro avrebbero diritto al vaccino, e, forse, anche al lasciapassare. In pratica le cose stanno diversamente, un po’ per la burocrazia che rende ogni cosa difficile, un po’ per la scarsa chiarezza. Di fatto il volontariato ha svolto, come sempre, una funzione di supporto (o di stampella suggerisce qualcuno), limitando i danni; ma l’incertezza regna sovrana e chi si ritrova senza assistenza sanitaria deve attraversare il purgatorio per vaccinarsi, senza poi alcuna certezza di ottenere una certificazione valida. In Lombardia, come segnala NAGA, tutti costoro non hanno accesso al vaccino nei luoghi organizzati dalla Regione; tessera sanitaria, codice fiscale, documento d’identificazione, timore di conseguenze amministrative sono ostacoli non facili da superare.

La fascia di povertà

Il CENSIS ha calcolato che 3 famiglie su 10 abbiano subito una significativa contrazione di reddito nel corso degli ultimi 12 mesi; circa 3 milioni di occupati percepiscono meno di 9 euro orari, sono sotto la soglia del c.d. lavoro povero. L’allargamento vistoso della fascia di povertà ha prodotto un fenomeno definito silver welfare, in buona sostanza l’aiuto informale ai congiunti in difficoltà da parte dei pensionati. Il rapporto ministeriale n. XI del 26.7.2021 ci fornisce tre dati di notevole interesse che ci possono far meglio intendere la sostanza del decreto Draghi: a) la popolazione italiana diminuisce; b) anche la presenza straniera è in contrazione; c) la fascia di povertà assoluta sale a 5,6 milioni, pari al 9,4% (e al nord sale dal 6,8 al 9,2%). La fase attuale si caratterizza dunque per un costante calo di reddito e di residenti, con aumento della forbice ricchi/poveri. Attualmente solo 40.949 contribuenti superano la soglia di 300.000 euro annui e il 3% possiede il 34% della ricchezza. In questo quadro viene a calare la scure dell’aumento vertiginoso delle bollette energetiche, voluto e promosso dal governo di larghe intese insieme alle disposizioni emergenziali in tema di lasciapassare. Viene inoltre annunciata una riforma del catasto, per aumentare l’imposizione sulle case. La riforma Draghi mira a  saccheggiare il risparmio dei ceti popolari (un tesoro che il governo vede come bottino); e al tempo stesso costruisce dei varchi controllati per accedere al lavoro (al reddito).

Il conflitto dentro i ceti popolari

Esiste una grande sfiducia dei ceti popolari verso tutte le istituzioni, siano esse sindacali, rappresentative, politiche, elettive, istituzionali. Ma questa profonda sfiducia si accompagna più alla rassegnazione che non alla ribellione. Non mi piace, ma è così. E per modificare la situazione bisogna innanzitutto prenderne atto e disegnare un progetto alternativo di contrasto. La rassegnazione produce, come sempre, individualismo, inteso nel suo significato negativo e deteriore. E qui l’antitesi è più chiara, si chiama solidarietà. Ma certamente oggi il 77,1% della popolazione chiede sanzioni severe per chi non rispetta i divieti anti covid (mascherine e lasciapassare); il 56% vorrebbe perfino il carcere (CENSIS, rapporto n. 54 del 4.12.2020). Il pericolo, che bisogna avere ben presente, è quello di un conflitto interno ai segmenti deboli dei lavoratori e dei precari; un conflitto generato dalla paura, dall’ansia, dall’incertezza di fronte al prossimo futuro. La comunicazione organizzata dal potere si prefigge di potenziare l’ansia e di inoculare (non il vaccino ma) il rancore. Simula di sostenere la pacificazione e diffonde invece, deliberatamente, astio. L’odio e il sospetto dividono i poveri, sono una colonna portante del potere e del dispotismo. Per questo viene quotidianamente pubblicizzato nei media, quasi fosse una guerra civile, lo scontro si vax/no vax o si green pass/no green pass. Si mette in scena, come sempre hanno fatto i regimi, una maggioranza contro una minoranza, con il preciso scopo di procedere per segmenti e asservire tutti quanti. L’importante è che ogni segmento di maggioranza sostenga il governo e si assuma il compito di colpire ogni segmento di minoranza.

Così accade. Una minoranza discriminata invoca il proprio diritto a vivere e lavorare, senza piegarsi al vaccino; una maggioranza spaventata teme di essere contagiata, nonostante l’accettazione diligente del vaccino. Il green pass non garantisce dalla trasmissione del virus, è un dato di fatto. Nella stessa stanza, convivono al lavoro vaccinati e non vaccinati, guardandosi in cagnesco, mentre cresce il rancore, con grande soddisfazione del ceto dominante. Di recente ho ascoltato lo sfogo di un compagno siciliano, vecchio sindacalista di base, con grande esperienza di lotte anche durissime. Nella stessa giornata, a seguito di un contagio in azienda e della conseguente sospensione dell’attività per quarantena, si è trovato di fronte ad una doppia richiesta d’intervento: i non vaccinati volevano affermare il loro diritto alla mensa e al lavoro senza discriminazioni, i vaccinati chiedevano la separazione per evitare rischi. Nessuno di loro voleva sentir ragioni, ciascuno teneva il punto, la divisione era (e rimane) pesantissima, con toni sempre più accesi e violenti. Che fare? Una risposta convincente è impossibile. In realtà l’intera operazione mediatica costruita intorno al lasciapassare è la classica mise en scène, una recita, una frode elaborata a fini di profitto nella cabina di regia del potere. Le due fazioni in lotta non hanno la possibilità di decidere nulla e perderanno entrambe la partita, ove non riescano a comprendere che l’unica soluzione davvero realistica è quella di rifiutare la parte assegnata, di non accettare il gioco.

La trappola

Il decreto legge è uno strumento legato per sua natura all’urgenza, all’immediatezza, all’improrogabilità; prevede la conversione in legge nel breve termine di 60 giorni. Un decreto legge che entra in vigore 30 giorni dopo (ovvero dal 15 ottobre) si presenta già solo per questo come una bizzarria, sicuramente è un po’ anomalo. Evidentemente si vuole saggiare il terreno, misurare le reazioni per eventualmente aggiustare il tiro. Comportamento tipico di tutti i truffatori. Nella sostanza contiene colpi di scure contro l’assetto tradizionale del diritto in uno stato liberale, è funzionale alla transizione in atto, sfruttando l’emergenza sanitaria e piegandola ad uno scopo di più ampia portata rispetto al dichiarato.

Il potere esecutivo (quello legislativo dovrebbe successivamente confermare) invade la sfera riservata al potere giudiziario e all’autonomia della magistratura, inquirente e giudicante, negando l’esercizio delle funzioni in assenza di un documento rilasciato dall’autorità amministrativa ministeriale solo a fronte del vaccino inoculato in doppia dose o al tampone continuo. Con un trattamento diversificato la pubblica accusa deve avere il lasciapassare, la difesa e l’imputato invece no. In concreto il problema potrebbe essere marginale, di modesto rilievo; ma lo smantellamento delle regole si presenta generalmente piuttosto pericoloso per il destino futuro di una complessa istituzione statale, già ferita e sofferente. Ogni colpo potrebbe essere mortale. Il decreto è un tassello di una complessa operazione strategica volta a garantire all’esecutivo il controllo della magistratura; un percorso che il governo Draghi intende percorrere.

Piegare poi il contratto di lavoro, in assenza di un formale inquadramento schiavistico che travolga almeno uno dei soggetti contraenti, al rilascio di un lasciapassare, si pone in urto stridente con l’intera tradizione storica in cui è nata la prestazione nella moderna manifattura. E’ una svolta. E’ un esperimento, assai ardito; difficile indovinare quali e quanti segni potrà lasciare una volta diventato pienamente operativo. Certamente subordinare l’accesso al reddito mediante prestazione lavorativa ad un permesso del governo, quale che sia la ragione di questo filtro, travolge l’edificio tradizionale dei diritti e dei doveri per come sedimentato negli ultimi due secoli. Il grimaldello sfascia le difese, dopo l’effrazione la porta rimane sempre aperta in assenza di un fabbro riparatore.

Certo. Il licenziamento come sanzione tocca, al momento, solo il personale sanitario, e a determinate condizioni. Ma la sospensione, a partire dal sesto giorno, lascia senza risorse il non vaccinato, salvo che, a sue spese, non provveda al tampone continuo con conseguenze economiche non dissimili rispetto alla sospensione. Il prezzo calmierato non rimuove l’ostacolo, il costo rimane comunque troppo alto per chi vive con la paga contrattuale collettiva media di 1200/1400 euro mensili. Nel settore pubblico e nel privato. Il mancato licenziamento priva il soggetto anche dell’ammortizzatore sociale, riservato solo a chi perde il posto, ma non per sua volontà. Come noto il dimesso non percepisce la NASPI, e in generale solo ai licenziati tocca qualche aiuto di stato. L’esclusione colpisce non solo il dipendente; multe e divieti si estendono all’intera popolazione attiva, stabile e precaria. Considerando l’attuale tasso di disoccupazione (totale o parziale) e il massiccio utilizzo dei contratti a scadenza riteniamo assai probabile che i prossimi ingaggi precari porranno come condizione preventiva il possesso di un green pass di lunga durata; infatti il decreto si fonda sull’estensione a 12 mesi del lasciapassare, benché sia un dato acquisito che la protezione vaccinale operi per un periodo minore. Nel caso dei futuri contratti a termine (anche di quelli che andrebbero solo rinnovati) il tampone continuo non elimina affatto il concreto pericolo di esclusione dal lavoro. Ancora una volta il precariato paga il prezzo più alto, ma anche questo rientra nel piano di governo della transizione.

La minoranza non vaccinata viene contrapposta alla maggioranza vaccinata, con il consapevole disegno di dividere il fronte. Una trappola. Solo rifiutando il gioco la si potrà rompere.

La tutela della salute

Ricomporre le divisioni non è certamente agevole, ma è necessario. A partire dai luoghi di aggregazione nel territorio, e non solo dai locali in cui si svolge attività lavorativa.

Il decreto legge introduce una sbarra d’ingresso, consentito solo ai vaccinati (o ai tamponati). Tuttavia il green pass temporaneo basato sul tampone continuo (gratuito o meno) rende problematica l’assunzione dei non stabili, siano essi somministrati, padroncini, artigiani, cococo. Inoltre cinque milioni di fantasmi sfuggono alla regola, che a loro non può applicarsi perché agli irregolari non si applicano regole. Chi verifica il lavoratore in nero? Che succede, poi, laddove il luogo non esiste, come accade per gli addetti al recapito di colli, o a tutti coloro che lavorano in forma itinerante?

Ancora. I lavoratori domestici sono spesso extracomunitari non regolarizzati, che svolgono una funzione sociale e assistenziale decisiva. Negando accesso in casa alla prestazione di un/una colf il familiare dovrà rinunciare al suo lavoro e sostituirlo perdendo il reddito; una catena di rapporti economici salterebbe con conseguenze sociali a cascata. Realisticamente questo non è possibile. In agricoltura la situazione non è dissimile. Il governo ne è perfettamente consapevole, ma non ha nessuna intenzione di intervenire. Il principio autoritario, accettato da tutte le forze politiche, è questo: anche contro l’evidenza Draghi ha sempre ragione. E chi non accetta l’assioma è un sabotatore da emarginare.

Le contraddizioni non fermano il progetto del governo. Anzi. Qui si vuole far scoppiare la bolla per meglio controllare i sudditi. A questo serve la destra in piazza, calamita per gli esasperati e detonatore di razzismo stupido.

Lo scopo vero del green pass non è la tutela della salute. È quello di dividere il fronte popolare. Questo è il primo punto di un programma di opposizione, la base da cui partire.

Ricordate quando hanno rinchiuso i vecchi malati nelle RSA trasformandole in focolaio d’infezione? Apparentemente si trattava di una scelta logica e ragionevole. Invece si rivelò insensata e provocò una strage; gli anziani fuggivano dalle case di cura per salvare la pelle. Ma nessuno ha pagato per questo. Eppure, lo si è visto dopo quando il danno era fatto, tutto ciò era evitabile, applicando protocolli sanitari, vigilando sulle strutture private e su quelle pubbliche, fornendo mezzi e farmaci adeguati. Ma al potere interessava solo rimuovere intoppi alla produzione delle grandi aree industriali, facendo circolare la manodopera attiva e limitando la circolazione degli inattivi. La morte dei vecchi è rimasta un danno collaterale di cui nessuno osa più parlare.

Oggi vogliono ad ogni costo la ripresa piena della produzione. Senza costi per le imprese. Senza nessuna protezione e nessuna sanificazione. Niente di niente. Governo e imprese sono perfettamente consapevoli che il lasciapassare ha un effetto pratico assai modesto anche laddove può trovare applicazione mediante controllo; sanno che comunque vaccino e tampone non possono garantire assenza di contagio. L’area in cui il lasciapassare non è applicabile è molto vasta, ma anche questo non blocca il piano sperimentale in fase di attuazione italiana con il beneplacito degli altri paesi europei. Vaccinati e ammassati, in guerra con gli esclusi non vaccinati, soprattutto senza diritti e con paghe ridotte. Questo è il programma del governo Draghi, per realizzare la transizione a spese dei miserabili.

Infatti il decreto non contiene alcun provvedimento emergenziale volto ad imporre (non il lasciapassare ma) la sanificazione costante dei locali, la protezione, l’assistenza sanitaria effettiva. La corsa a produrre non ha ridotto il numero dei morti rispetto alla media europea, nonostante la copertura vaccinale davvero assai ampia; in Germania con meno limiti e meno vaccini la morte è in percentuale minore rispetto all’Italia. Il caso di Israele, primo paese a sperimentare il vaccino su larga scala, dovrebbe indurre alla riflessione posto che il virus non sembra mollare la presa ancora oggi. Dunque non esistono, allo stato, certezze.

L’inesistenza di certezze è un secondo punto di programma. Una volta assodato, sul campo, che la vaccinazione comunque non basta diventa centrale il varo di una riforma sanitaria profonda, che ponga quale elemento decisivo la salute di ogni singolo soggetto. Le statistiche non lasciano dubbi: il virus ha maggior diffusione laddove la popolazione è più povera, non dove la produttività è più bassa. I ricchi muoiono meno, anche in quota percentuale. E se non esistono certezze che senso ha colpire una minoranza di non vaccinati, inutilmente discriminandoli nell’accesso al lavoro? Estromessa dal reddito questa minoranza fatalmente impoverisce e quindi si espone maggiormente al contagio; come nel caso delle RSA creando delle riserve indiane si costruiscono focolai pericolosi.

Esiste invece un piano del potere, che è quello di dividere. Va elaborato quello dei precari, ma in fretta, senza perdere tempo a piagnucolare. È il tempo di ricucire le divisioni, della solidarietà. Il nodo della protezione sanitaria, dentro una catena di solidarietà, va posto subito all’ordine del giorno, esigendo lo stanziamento di risorse; anche il tampone gratuito (di costo alla fin fine modesto specie se nazionalizzato come il vaccino) in questo quadro potrebbe risultare in linea con il programma generale di riforma sanitaria. Dobbiamo dimostrare che, a differenza di quanto ci propinano, non è vero che Draghi ha sempre ragione.

 

Immagine in apertura: disegno murale di Alien Attack, Milano

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