Draghi domani al Consiglio Ue. In Parlamento ammette: "Tema divisivo". Per l'Africa si attende l'autunno, ma i migranti non sono nell'agenda dei leader da qui a gennaio.
Al dibattito in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo a Bruxelles, Mario Draghi lo ammette: “Al momento, la presa in carico dei migranti” che arrivano in Italia “è divisiva per gli altri Stati membri. Serve un’alternativa affinché nessun paese sia lasciato solo, ma questo negoziato richiede ancora molto lavoro da fare”. E infatti, a quanto si apprende a Bruxelles, il summit dei 27 leader domani e dopodomani licenzierà il rinnovo dell’accordo con la Turchia per fermare l’immigrazione dai Balcani, “quasi altri 6 miliardi di euro che verranno formalizzati dalla Commissione nelle prossime settimane”, segnalano fonti Ue, mentre per un accordo di questo genere con i paesi africani bisognerà attendere l’autunno e per ora su questo capitolo resterebbero solo 2 miliardi di euro, ma si potrebbe trattare di una cifra di partenza. La redistribuzione degli arrivi non è materia di discussione del vertice. Il punto è che, riferiscono alte fonti Ue, per ora l’agenda dei leader da qui all’inizio dell’anno prossimo non contiene alcun dibattito sull’immigrazione.
In sostanza il Consiglio europeo chiederà alla Commissione si formalizzare una proposta per rafforzare i partneriati con la Libia e gli altri paesi di provenienza dei migranti in Africa per “settembre, ottobre”. Mentre per il rinnovo dell’intesa con Erdogan, voluta da Angela Merkel 6 anni fa per fermare i flussi dai Balcani diretti prevalentemente in Germania, si procederà più spediti. Anzi, per usare il termine esatto contenuto nella bozza di conclusioni del vertice, la questione sarà affrontata con urgenza (“urgently”, nel testo) e velocemente (“swiftly”). Del resto, il testo dedica una quarantina di righe alla questione turca, mentre la Libia è condensata in una riga e mezzo.
Draghi potrebbe chiedere di cambiare i termini delle conclusioni finali, nella discussione di domani pomeriggio, quando è in agenda il dossier immigrazione, dopo la questione covid. Ma da parte italiana c’è la consapevolezza che l’accordo con la Turchia è cosa già fatta, basta rinnovarla e staccare un altro assegno europeo con i contributi di tutti gli Stati membri. E il premier ha già comunicato il suo sostegno a Merkel nel bilaterale a Berlino lunedì scorso: sì all’accordo con Erdogan, che pure aveva definito “dittatore di cui si ha bisogno” lo scorso aprile.
Al contrario, intese di questo genere con i paesi africani sono tutte da fare o rifare, è il ragionamento da parte italiana, vista la situazione di massima instabilità in molti degli Stati interessati, a partire dalla Libia, oggetto della conferenza internazionale oggi a Berlino, dove il segretario di Stato Usa Anthony Blinken ha chiesto alle truppe straniere, a cominciare dai mercenari russi e turchi, di lasciare il paese. La speranza è di una stabilizzazione della Libia con le elezioni di dicembre, appuntamento che l’Ue sta tentando di mettere in sicurezza approfittando del nuovo impegno dell’amministrazione Biden nel paese nord africano. Ma fino ad allora, sostengono fonti diplomatiche, è difficile pretendere accordi sul modello turco. Tanto più che, continuano le stesse fonti, nei Balcani il confine è di terra. Quello con l’Africa è un confine di mare, difficile da controllare, con morti, tanti morti, sul campo.
Che la situazione dell’Italia, come paese di frontiera del Mediterraneo, sia più complicata non è una novità. Resta il fatto che, pur trovando accordo sul riconoscimento dell’importanza della dimensione esterna dell’immigrazione, cioè i paesi di provenienza a est e al sud, al summit di giugno, l'ultimo prima dell'estate, i 27 leader non sigleranno un’intesa dettagliata sul nodo delle rotte da Libia, Tunisia, Mali, Sahel, Etiopia e affini. Non è nemmeno chiaro quanti soldi verranno destinati all’Africa per fermare i flussi illegali e costruire corridori umanitari, mentre è chiara la cifra sulla Turchia, quasi altri 6 miliardi appunto, tanti quanto il primo accordo firmato in seguito all’emergenza immigrazione del 2015.
A settembre-ottobre la Commissione europea presenterà un piano per dettagliare le cifre. Per ora a Palazzo Berlaymont sono fermi sullo schema di sostituzione del Trust Fund per l’Africa, già prorogato di un anno nel 2020 e in scadenza a fine 2021, con il ‘Neighbourhood, Development and International Cooperation (NDICI)’. Il nuovo fondo avrà un budget complessivo di 79,5 mld, di cui il 10 per cento per l’immigrazione, dunque quasi 8 miliardi ma per tutte le rotte, sia da oriente attraverso la Turchia, che quelle dall’Africa attraverso i paesi di frontiera affacciati sul Mediterraneo. Se 6 miliardi vanno ad Ankara, per l’Africa ne resterebbero solo 2. Questo è lo schema di partenza, confermato da alte fonti Ue. È possibile che cambi nei prossimi mesi.
Ma il problema è che, ad oggi, l’agenda dei leader da qui a gennaio 2022 non comprende alcuna discussione sull’immigrazione. Si può sempre richiederla, come ha fatto Draghi al vertice di maggio, ottenendo un dibattito nel summit di questa settimana: i 27 non affrontavano il dossier niente meno che dal 2018. Ma al momento, nei prossimi sei mesi l’Ue non intende tornare sulla questione, magari anche perché a partire da luglio la presidenza di turno sarà della Slovenia, guidata dal nazionalista Janez Jansa. E perchè a settembre ci sono le elezioni in Germania, nella primavera del 2022 ci sono le presidenziali in Francia: appuntamenti che contribuiscono a bloccare un'intesa sui migranti (finanche il dossier sull'unione bancaria è finito in stand by per questo)
In attesa della nuova proposta della Commissione Europea che riorganizzerà i fondi per la dimensione esterna dell’immigrazione, resta ‘dimenticato’ il nuovo Patto per l’immigrazione proposto dalla stessa Commissione a settembre scorso. Il documento si fondava su un meccanismo obbligatorio di solidarietà, ma per gli Stati non disponibili offriva l’alternativa di occupersi dei rimpatri. Finora il Consiglio europeo non ne ha mai discusso e non lo farà nemmeno stavolta: per ora non c’è alcun riferimento al Patto nelle conclusioni finali.
Non è detto che Draghi chieda che venga inserito. Il timore è di cristallizzare troppo la divisione e dunque fare un errore tattico che non aiuterebbe la convergenza di tutti. Ma, alla luce di come sta andando, Roma sta ritirando un po’ della disponibilità manifestata nelle scorse settimane sulla discussione per la riforma dell’Easo, l’agenzia europea per l’asilo che dovrebbe essere trasformata in ente in grado di inviare personale di assistenza agli Stati che lo richiedano. Diventerebbe una sorta di ufficio di controllo Ue sulle domande di asilo, che in Germania, sostiene Merkel, sono il triplo dell’Italia. Ebbene, nelle scorse settimane l’Italia aveva inaugurato un nuovo approccio con Malta, Spagna, Cipro e Grecia (i Med 5), abbandonando la posizione intransigente che pretendeva un accordo su tutto il resto del pacchetto prima di discutere di asilo. Adesso, la disponibilità a trattare non viene del tutto ritirata, ma, ecco, “si accetta tutto quando tutto è accettabile”, dice un’alta fonte diplomatica. Sembra l’unica arma rimasta.
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