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di Fabio Giuseppe Carlo Carisio
Fonte originale: le grandi inchieste di Gospa News
La strage di Ustica è “impressa nella coscienza degli italiani come una tragedia straziante, che ha strappato alla vita ottantuno persone indifese, che ha gettato in un dolore indicibile i loro familiari, che ha lasciato la Repubblica senza una verità univoca capace di ricomporre appieno il quadro delle circostanze e dei responsabili” ha dichiarato il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella in occasione dell’anniversario della tragedia, avvenuta nella sera del 27 giugno 1980 quando l’aereo DC-9 Itavia H870, in volo tra Bologna e Palermo, scomparve dai radar e si inabissò nel mar Tirreno, al largo di Ustica. Morirono 81 persone ma sulla sciagura non è mai stata fatta piena luce.
Proprio per questo ora ci accingiamo ad esporre un’ipotesi già emersa in passato ma scartata forse con troppa fretta nel corso delle indagini. Si tratta della cosiddetta “pista israeliana” in relazione al presunto conflitto a fuoco in cui sarebbe stato coinvolto il velivolo che secondo l’ipotesi giudiziaria più accreditata sarebbe stato abbattuto da un missile. Esponiamo questa teoria sulla base di varie inchieste giornalistiche che l’hanno analizzata ma associandola alle analoghe rivelazioni di un alto ufficiale dell’intelligence militare italiana diventato famoso per aver svelato tutti i segreti di Gladio e di un ex agente del Mossad, il controspionaggio di Gerusalemme.
Gladio, come si ricorderà, è il progetto anglo-americano Stay Behind avviato in Italia da un Deep State di 007 e militarie finalizzato a garantire un pronto intervento golpista nel caso in cui Roma fosse caduta in mano ai comunisti con un eventuale successivo tentativo di invasione da parte dell’Unione Sovietica. Si sospetta che i cospiratori britannici di Stay Behind (resta dietro) abbiano avuto un ruolo importante anche nel rapimento e l’uccisione dello statista Aldo Moro, intento a creare alleanze politiche tra la sua Democrazia Cristiana e il Partito Comunista.
Nel 41° anniversario della strage Mattarella ha ricordato i familiari delle vittime, “coloro che hanno perso genitori, fratelli, sorelle, parenti, amici”, ribadendo il “legame di solidarietà umana” e “sentimento di vicinanza verso” verso chi ha sofferto, assieme al “il senso di riconoscenza per l’impegno civile” per quanti hanno promosso la “ricerca della verità” anche di fronte a condotte “opache e ostruzionistiche”.
LA BOLSA RETORICA DEL CAPO DELLO STATO
“La Repubblica sente come dovere inderogabile la permanente espressione della solidarietà e l’impegno per una più completa ricostruzione dei fatti” ha concluso il Capo dello Stato con bolsa enfasi retorica. Va infatti ricordato che lo stesso Mattarella, prima di diventare Presidente della Repubblica nel 2015 in mezzo alle polemiche per il suo coinvolgimento nella Tangentopoli di Palermo, dal 21 dicembre 1998 al giugno 2001, fu prima Vicepresidente del Consiglio dei Ministri con delega ai servizi segreti (Foverno D’Alema) e poi Ministro della Difesa (Governo Amato), pertanto si trovò nelle stanze dei bottoni di due Dicasteri in cui sono rimasti sepolti per decenni inquietanti relazioni ed in cui si perpetrarono i depistaggi sulla dinamica della strage orchestrati da generali dell’Aeronautica Militare. Uno dei nodi chiave che impedì un’adeguata ricostruzione dei fatti fu infatti la sparizione delle registrazioni dei nastri radar di varie torri di controllo militari.
A distanza di 41 anni, pertanto, un vero Capo dello Stato non dovrebbe presentarsi ai media con uno scontato “sentimento di vicinanza” ai parenti delle vittime ma con qualche verità, in quanto la sua carica lo rende presidente del Consiglio Supremo di Difesa e pertanto comandante di tutte le Forze Armate. Inoltre, Mattarella, come Ministro della Difesa, il 16 ottobre 2000 ricevette il titolo di Cavaliere Comandante dell’Ordine dell’Impero Britannico a conferma dell sua stretta collaborazione con il Regno Unito sviluppata dall’Italia, a partire dal 27 luglio 2000, con altri Paesi europei nell’accordo di Farnborough per la progressiva ristrutturazione e integrazione dell’industria europea della difesa (ratificato nel 2003), e culminata nel proficuo business della Lobby delle Armi con Libia, Turchia, Qatar e Gran Bretagna rafforzato durante la guerra civile a Tripoli.
Il disastro aereo di Ustica avvenne il 27 giugno 1980, alle 20:59. A quell’ora il volo Bologna-Palermo di Itavia perde il contatto radio con l’aeroporto di Roma Ciampino. A bordo trasportava 81 persone, tra cui 13 bambini, ma soltanto i corpi di 39 passeggeri verranno recuperati dopo il ritrovamento dei resti della fusoliera, inabissata al largo dell’isola di Ustica. Dai vari procedimenti giudiziari penali e civili non è emersa una versione univoca ma l’ipotesi più accreditata è stata quella del coinvolgimento dell’aereo in uno scontro militare che vedeva implicati Francia, Libia e Stati Uniti. Il DC-9 infatti si sarebbe trovato sulla traiettoria di un missile durante un conflitto a fuoco, venendone colpito.
La tesi del missile francese, lanciato contro un aereo libico che trasportava Gheddafi, era stata sostenuta dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, presidente del Consiglio all’epoca dei fatti ma non trovò conferme ufficiali. Una tesi analoga è alla base della sentenza civile della Corte d’Appello di Palermo che ha disposto il risarcimento di familiari delle vittime confermata in Cassazione in mezzo a una battaglia legale sulle cifre intrapresa dall’Avvocatura dello Stato a nome dei Ministeri coinvolti che ha reso ancor più vergognosa la vicenda.
SPARITI I TRACCIATI RADAR SULL’ATTACCO AEREO
A confermare la tesi del missile è giunto di recente anche il libro della storica Cora Ranci che ha svolto la tesi di laurea proprio sulla strage. Nella pubblicazione “Ustica una ricostruzione storica” la studiosa ha messo in luce alcuni aspetti cruciali riferiti di recente durante la trasmissione Omnibus su LA7. «Dobbiamo ricordare che l’iter giudiziario è fondamentale perché è soltanto grazie ad esso che abbiamo saputo le cose. Perché in quel momento nessun’altra istituzione aveva alcuna spiegazione su quello che era successo».
«Va anche ricordato che le indagini sono state molto ostiche oltreché molto lunghe e complesse. Questo perché ci furono problemi davvero grandi per l’acquisizione degli elementi probatori in cui erano fondamentali le registrazioni dei radar. L’autorità giudiziaria ha ordinato il sequestro di tutte le registrazioni radar che potevano vedere e registrare quello che avveniva nella zona di Ustica – ha dichiarato Cora Ranci – Erano 10 le stazioni radar della Difesa che registravano quello che avveniva in quel tratto di cielo ma alla fine i periti hanno potuto lavorare soltanto su un tracciato radar. Moltissime registrazioni radar non sono state consegnate, alcune sono state consegnate ma presentavano dei buchi e comunque non sotono state utili alla ricostruzione dei fatti. Quindi sono state indagini molto ostiche che si sono scontrate contro muri del silenzio».
L’autrice del libro poi aggiunge: «Vorrei ricordare che l’inchiesta è ancora aperta presso la Procura di Roma. Una verità completa manca ancora perché non sappiamo chi sono i responsabili. L’unica ipotesi che emerge con forza da tutto l’iter giudiziario come spiegazione credibile per quanto accaduto è la tesi del missile e dell’operazione militare di intercettamento. E’ l’ipotesi anche dell’ultimo collegio peritale che ha lavorato anche su dati resi disponibili dalla Nato nel 1996: informazioni radaristiche che fino a quel momento erano rimaste coperte dal segreto militare che hanno permesso di confermare questa versione dei fatti. Quindi il nostro aereo civile è finito coinvolto in un attacco aereo ma non si conosce la nazionalità di questi aerei presenti».
Come conferma la Nuova Sardegna «nell’ottobre del 1997, l’allora segretario generale della Nato, Javier Solana, aveva consegnato al nostro governo una documentazione nella quale si parlava di dodici caccia americani e britannici in volo quella tragica notte. Ma Solana omise di riferire di altri quattro aerei da combattimento. Si parlò anche allora della possibilità che si trattasse di aerei francesi, perché una registrazione radar di Poggio Ballone (Grosseto), stranamente non inghiottita dal gorgo oscuro nel quale sono svanite prove e testimonianze, indicava in Solenzara, in Corsica, la base di partenza dei quattro jet. Solo tre, poi, tornarono alla base».
L’EX GENERALE DI GLADIO ACCUSO’ ISRAELE
“Secondo fonte solita dopodomani 25 giugno previsto cargo partirà per Bologna diretto Tripoli con scalo Fiumicino. Natura (principale) carico: sensori IR. Esportati come componenti antincendio per impianti petroliferi. Cargo è Dc 8 e seguirà aerovia prevista per rotta Fiumicino-Tripoli. Partenza prevista da Fiumicino ore 20,35 (un’ora dopo volo passeggeri AZ 061 per Tripoli). Fine”.
Il messaggio, trasmesso dall’ ambasciata di Israele al Mossad, gli 007 di Tel Aviv, sarebbe stato captato e decodificato dal nostro centro di ascolto di Ladispoli nel 1980. Conteneva l’avvertimento per far scattare l’ operazione di intercettazione da parte di un F4-E della stella di David che per un errore dovuto alla delicatezza della missione e allo stretto margine di tempo operativo, lanciò un missile aria-aria non contro il cargo che trasportava i componenti di un missile ordinato da Gheddafi ma contro il Dc 9 Itavia che la sera del 27 giugno del 1980 con forte ritardo volava sui cieli del basso Tirreno.
«C’ è un altro libro che batte la “pista israeliana” nell’ abbattimento del Dc 9 di Ustica. Un libro, Il Consiglio delle ombre, ancora in bozze che dovrebbe uscire il 15 marzo per le edizioni Tullio Pironti. Lo ha scritto un uomo che ha trascorso la sua vita tra i militari e i servizi segreti. Un alto ufficiale dell’esercito. L’ ex capo di Gladio, il generale Gerardo Serravalle» riferirono i giornalisti Daniele Mastrogiacomo e Franco Scottoni sul quotidiano Repubblica del 14 febbraio 1994.
«Pensato e scritto di getto quasi parallelamente a quello del giornalista dell’ Europeo Claudio Gatti, il libro, scorrendo i grandi misteri che hanno scandito gli ultimi trent’ anni del nostro paese, nel capitolo dedicato a Ustica propone una tesi incredibilmente simile a quella descritta nel Quinto scenario. Con una sola differenza: il paese che minacciava la sicurezza e l’integrità territoriale di Israele non era l’Iraq di Saddam Hussein, ma la Libia di Muhammar Gheddafi. Per il resto, tutto il resto, la storia è identica – aggiunsero i due reporter – C’ è un progetto per la costruzione di un missile a lunga gittata per conto di Gheddafi, il Griffin cioè il Grifone, capace di colpire in un raggio di 1000-1200 chilometri. C’ è un consorzio di industrie che si fa carico del programma; ci sono tecnici, fisici, chimici ed esperti missilistici che vengono segretamente arruolati; c’ è una banca svizzera che copre il finanziamento; c’ è il coinvolgimento di due governi europei: quello inglese e quello italiano. Il silenzio sulla tragedia viene garantito da un ricatto del Mossad, il quale impone il segreto dietro la minaccia di rivelare al mondo che apparati dello Stato italiano erano coinvolti nel progetto del missile».
I giornalisti andarono a trovare il generale Serravalle, ormai in pensione nel suo eremo di Perugia perché pur inventando volutamente nomi e località, disegnò uno scenario credibile. «Le cose che ho scritto sono frutto della mia lunga esperienza nel Servizio e nel mondo che lo circonda. Io non piazzo i tasselli secondo una tesi precostituita. Ho degli elementi sparpagliati. Il mio intuito e la mia conoscenza delle logiche, della storia, dei comportamenti, mi consente di unirli con un filo che li riordina. Chi lavora per tanti anni in quell’ ambiente acquista una sensibilità direi normale, appunto professionale. Un fiuto che consente di dare una conseguenza logica a singoli episodi che messi insieme possono fornire non la verità ma una possibile spiegazione» dichiarò l’alto ufficiale di Gladio.
Ma perché coinvolse Israele? «Per esclusione. Io non ho mai creduto al coinvolgimento degli Usa. Un segreto di tali proporzioni, in un paese come quello, prima o poi sarebbe saltato fuori. Stessa cosa per i francesi. Figuriamoci la nostra Aeronautica. No, nessuno ha mai saputo niente. Solo pochissimi, a livelli altissimi, sono stati a conoscenza e il segreto ha tenuto. Parlo a livello governativo e di Stati maggiori. Chi ignorava ha intuito. E chi ha depistato, successivamente, lo ha fatto senza sapere cosa dovesse nascondere. Depistava e basta, perché così gli veniva ordinato. Molti dei protagonisti, poi, sono morti, altri scomparsi. Ragionando per esclusione, non restava che Israele».
«Israele era l’unico stato che aveva l’ esigenza, di vita o di morte, di distruggere ogni arma che poteva minacciarlo. Quelli erano anni in cui si assisteva ad una frenetica corsa all’ esportazione di armi sofisticate. Una parte del nostro governo e uno quota consistenze dei Servizi avevano stretti rapporti con la Libia. Erano anni nei quali si lavorava molto con le banche svizzere. E poi c’ era il ‘Dispositivo’» riferì Serravalle evocando lo spettro di quello che oggi viene chiamato Deep State.
«Un insieme di formazioni, composto da persone che avevano capacità operativa peculiare. Con una caratteristica: era guidato da un comando unitario. Il Dispositivo era favorevole al progetto Griffin, aveva bisogno di campi di addestramento ma per averli bisognava pagare. Così, aiutando Gheddafi…».
Perché la presenza del Mig 23 libico? «Era stato incaricato dal ‘ Dispositivo’ di abbattere il caccia israeliano. Venne ospitato in una base segreta di Alghero. Poi il ritardo accumulato dal cargo per motivi di controllo doganale, il ritardo successivo del jet di linea, hanno fatto precipitare le cose. L’errore del caccia israeliano, il Mig libico non ha trovato più il suo obiettivo, il pilota sembra si sia effettivamente sentito male o ha perso il controllo…».
IL QUINTO SCENARIO E LA RIVELAZIONE DELLO 007 MOSSAD
«Ottantuno vite sacrificate sull’altare di interessi mondiali che nessuno è riuscito ad identificare. A cristallizzare in una verità giudiziaria che desse respiro e fiato ai superstiti. Un muro di gomma, ebbe modo di ribattezzarlo Marco Risi nel film che celebrava la battaglia di un giornalista per scoprire la verità di Ustica. Era il 1991. E il film alimentò il clima da segreto di Stato che su quella tragedia si è costruito per trentuno lunghi anni. Irrisolto. Non sciolto. Segreto, appunto» ha scritto Elena Di Dio nel suo articolo pubblicato nell’agosto 2011 sul sito Stragi80.
«Ricostruzioni che nel corso di questi lunghissimi anni hanno trovato spazio anche su libri, inchieste giornalistiche, oltre che giudiziarie. Claudio Gatti, ad esempio, giornalista de Il Sole 24 Ore, che scrive e soprattutto opera con stile americano, da New York, avvezzo all’inchiesta con un approccio tutt’altro che italiano – cercando una verità sostenibile e non ad effetto, facendo con ciò autocritica professionale – nel 1994 firma con la collega Gail Hammer, il libro edito da Rizzoli, “Il Quinto Scenario”. Qui ipotizza una inedita – per il periodo – pista che spiegasse l’abbattimento “casuale” dell’aereo di linea italiano» si legge ancora sul sito. (continua a leggere).
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