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Una delle più grandi vergogne del sistema gastronomico italiano riguarda lo sfruttamento dei lavoratori migranti nei campi in cui si coltivano i nostri pomodori. Da qui l’idea di Tomato Revolution, un progetto etico nato dalla passione per un’agricoltura che coltiva diritti e futuro, consolidando una filiera biologica, sostenibile, legale e trasparente del pomodoro.
L’obiettivo è quello di valorizzare i prodotti nati in Italia, su terreni liberi dalle mafie o a rischio di spopolamento e sfruttamento, realizzati grazie al lavoro di realtà impegnate nella lotta quotidiana al caporalato, nell’integrazione e responsabilità sociale. Sono tre le varietà di pomodoro coltivate con metodo biologico da tre cooperative – Rinascita (PA), Prima Bio (FG) e da Pietra di Scarto (FO) – e 60 piccoli produttori attivi in territori ad alto rischio di sfruttamento della manodopera. Insieme nel 2019 hanno prodotto circa 76mila vasetti di specialità enogastronomiche biologiche tra pelati, passate, salse e sughi poi vendute tramite Altromercato.
Vale la pena di ricordare che il Parlamento italiano ha varato una legge con l’intento di contrastare il caporalato. La legge 199 del 29 ottobre 2016 contiene norme e disposizioni “in materia di contrasto ai fenomeni del lavoro nero, dello sfruttamento del lavoro in agricoltura e di riallineamento retributivo nel settore agricolo”. Un impianto normativo decisamente avanzato, ma che tuttavia non sembra aver ancora cambiato lo stato delle cose.
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