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Nel film distopico del 2006 ‘I figli degli uomini’ si racconta di un futuro non troppo lontano, il 2027, in cui da ben 18 anni, sulla Terra, non nascono più bambini a causa dell’infertilità del genere umano.
La realtà talvolta può essere più persuasiva delle pellicole cinematografiche.
Nel 2021 l’Italia è all’ultimo posto in Europa per il numero di nascite. Già nel 2020 si è registrato un calo del 3,8%: quasi 16 mila nascite in meno rispetto al 2019.
In totale i nuovi nati registrati sono stati 404,104. Nel 1960 le donne italiane avevano in media 2,6 figli, mentre oggi si è scesi a 1,27.
Il nostro Paese, una volta considerato tra i più fecondi in Europa, sta subendo un lento ma inesorabile declino demografico. Neppure gli immigrati riescono ormai a garantire un ricambio generazionale nel Paese.
L’Italia, infatti, vede calare anche la popolazione complessiva: 59.641.488 a dicembre 2019. Era di 60.795.612 nel 2014.
Non va meglio sul fronte dell’età media, che in Italia si attesta a 45,7.
Insomma, un’Italia anziana, con pochi figli. Basta? No, c’è dell’altro perché il nostro Paese fa registrare un numero sempre minore anche di matrimoni, tanto quelli di rito religioso che civile. Nel 2020 si è registrato un -47,5% rispetto al 2019.
Alcuni esperti sostengono che tale processo di decrescita generale sia dovuto all’emergenza Covid19. Se la crisi sanitaria ha certamente acuito la situazione, il declino demografico italiano non è un fatto nuovo, come mostrano chiaramente le statistiche degli ultimi 5 anni.
Ma la questione è un’altra: la crescita demografica è ancora considerata una prerogativa? Un tempo l’aumento della popolazione era strettamente collegato a valori tradizionali basati sul nucleo familiare, alla necessità di forza lavoro, alla leva obbligatoria.
Oggi il lavoro è sempre più tecnologizzato, automatizzato. La spesa militare è stata ridotta; le guerre non si combattono più sul campo con i soldati, ma per altre vie.
C’è chi invoca più immigrazione, perché grazie agli immigrati si contribuirebbe a limitare il deficit demografico. Ci sono poi quelli che pensano di invertire la rotta garantendo aiuti economici alle donne (e alle famiglie) che decidono di mettere al mondo uno o più figli.
Si tratta di soluzioni parziali e, nella sostanza, destinate a fallire. Come è possibile sperare che in una nazione si facciano più figli, quando ormai da decenni la cultura dominante è improntata a valori che spingono gli individui ad evitare proprio la famiglia?
Qualcuno afferma: è un problema economico, dovuto ai pochi soldi disponibili nelle tasche degli italiani. Se così fosse come si può spiegare il fatto che in Nord Europa, uno dei posti più ricchi del pianeta, si fanno comunque pochi figli? O come spiegare il fatto che nell’Italia del primo Novecento, con una popolazione in gran parte contadina e ridotta alla fame, una famiglia aveva almeno due figli?
Il ‘riduzionismo economico’ non può certo spiegare una tendenza che andrebbe invece collegata ad una cultura, una mentalità, che si è fatta largo nel mondo occidentale e ha fondamentalmente visto un ripiegamento individualista della società.
L’atto del generare, inteso come mettere al mondo, non è più visto come un fondamento essenziale dell’uomo, ma anzi, come un ostacolo al pieno sviluppo individuale e al godimento della vita: è questo il mondo che vogliamo?
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