lunedì 29 marzo 2021

UNA BOMBA DI PROFONDITA’ di Filippo Dellepiane

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Se ho ammirato un’arma, quella è sempre stata la bomba di profondità: onesta, leale nello scontro con un nemico che non si vuole fare vedere.

Che cos’è una bomba di profondità? E’ un’arma di attacco ai sommergibili da parte delle navi di superficie, capace di scovare soprattutto gli U-boat tedeschi durante la seconda guerra mondiale, di far vibrare i fondali marini per ore e giorni. Come d’altronde venne già criticato nell’Orlando Furioso l’archibugio ( “Non volle nulla di tutto il bottino di guerra, se non quell’arma che abbiamo detto essere simile in tutto al fulmine -l’archibugio -. Non lo prese certo perché avesse intenzione di usarlo per difendersi, infatti giudicò sempre di animo vile affrontare un’impresa con un vantaggio. […] O maledetto e orribile ordigno, che fosti fabbricato nel fondo dell’inferno per mano del maligno Belzebù, che pensò di rovinare il mondo per te: ti ricaccio all’inferno da dove sei uscito” ), così ora faccio io con i sottomarini, mezzi temibili e striscianti che mi ricordano i nostri nemici. Per questo motivo, mi sento una bomba di profondità pronta a sconvolgere, sia politicamente che culturalmente, il sistema attuale. E con il nostro sonar dovremo sapere individuare le debolezze del nemico.

Capire, anzitutto, quali sono le nostre forze. Chiamerei noi giovani come la generazione di quelli che «non hanno fatto la maturità». Certo, mi riferisco principalmente alla leva 2001, ma questo evento è soltanto una manifestazione sensibile dell’abisso, tanto per rimanere sempre in ambiente marino, raggiunto negli ultimi anni. La nostra generazione se messa a confronto con quella dei ragazzi del ’99, che morì sul Piave, e che tanto ipocritamente è decantata, ha in comune solo una cosa: l’ignoranza. Quindi nessuna retorica su come quei ragazzi, macellati sull’altare della corona e dell’imperialismo spiccio dei Savoia, fossero stati coraggiosi o valorosi. L’ignoranza ci accomuna.

E perché allora concentrarsi sui giovani? Anzitutto perché, se volessimo veramente seguire un fil rouge storico, dovremmo dire che quei giovani militari della prima guerra mondiale sono quelli che misero a ferro e fuoco l’Europa intera durante quella che si può denominare senza problemi “la guerra civile degli anni 20”, vinta in larga parte dalla Reazione.

Secondariamente perché tutti gli indicatori della natalità e a proposito delle fasce giovanili in Italia (ma anche in Europa) ci descrivono una situazione tragica, da collasso ed inselvatichimento, e non da potenziale fase rivoluzionaria.

Tuttavia il vento della storia sembra aver riiniziato a soffiare, questa almeno è l’impressione che alcuni, fra cui il sottoscritto, hanno. Ahimè qualsiasi formazione che si consideri antagonista (se si hanno dubbi su chi sta da questa parte della barricata meglio rileggere l’articolo sui sinistrati nostrani) è ancora fortemente impreparata. Per questo dobbiamo, anzitutto, passare ad una controffensiva di tipo culturale: non possiamo affrontare il nemico in campo aperto, non solo perché ce lo sconsigliano tutti i libri di storia militare, ma perché sarebbe controproducente ingaggiare una battaglia che assumerebbe la forma del martirio. Ed in questo momento non ci servono i martiri, abbiamo bisogno di persone con l’occhio lungo, attivisti politici e culturali che abbiano, come diceva Weber, lungimiranza (capacità quindi di analizzare con freddezza e razionalità), fedeltà alla causa e senso di responsabilità (assumersi quindi le proprie, di responsabilità, positive o nefaste che siano).

Il nemico ha capito, lo si diceva anche su questo blog qualche giorno fa con un ottimo contributo, che non può basare la sua opera solo sul dominio: è necessaria una forte assuefazione ed egemonia. Credo che questo possa essere il punto su cui stuzzicarli, come una guerriglia d’altronde deve fare contro un esercito regolare. Essere quell’aquila che arrivava ogni giorno strappando un pezzo del fegato di Prometeo e mangiandolo.

Per esempio, la questione dei vaccini, senza entrare nel merito dell’obbligo o meno, su cui alcuni potranno esprimersi meglio di me, è risultato parzialmente un volano per il potere: i problemi sorti negli ultimi giorni, se consideriamo anche la situazione economica attuale, possono essere una spina nel fianco per i piani del nemico. Una possibilità almeno di scompigliare, momentaneamente, i suoi progetti.

Se quindi non ho la forza necessaria per conquistare il quartiere centrale del potere dovremo concentrarsi sui suoi apparati e minarlo in altri punti. Ed i giovani in tutto questo? Tanto tirati in ballo a destra e manca, spetta a loro indubbiamente questo compito storico. Per forza di cose dovrà essere così. Badate non sto negando che andremo probabilmente incontro ad una sconfitta sul piano giovanile, si dovrà vedere se saremo all’altezza, tuttavia se esiste una consuetudine nella storia è la seguente: i periodi di forte agitazione hanno sempre visto coinvolti i giovani da vicino.

In questo paese molto ipocritamente ho sentito dire spesso che siamo capaci di fare una cosa buona al secolo: il Risorgimento e la Resistenza. Nulla di più falso, in realtà il popolo italiano ha fatto anche altre esperienze grandiose. Ad ogni modo, se qualcuno fosse mai persuaso da questa argomentazione, ne tragga due conseguenze :

1) spetta ai giovani compiere questa «cosa buona» ;

2) ve ne sarà almeno una nel secolo XXI.

Tralasciando i luoghi comuni, sono abbastanza convinto che abbiamo una finestra di tempo di 4 – 5 anni per organizzare una prima offensiva. Se non vi fosse questa offensiva temo che qualsiasi speranza di cambiamento deve essere rimandata per 20/30 anni. La dinamica è simile a quella degli alpinisti che, guardando le condizioni atmosferiche, stimano quanto tempo avranno per provare a raggiungere la vetta e per fare ritorno. Chiusasi quella finestra, se sono ancora sulla vetta, rischieranno di morire.

Aggiungo anche una suggestione: molti filosofi e storici marxisti hanno giustamente postulato che con la caduta del muro e del blocco sovietico si dovesse far terminare l’era contemporanea. Io mi trovo assolutamente d’accordo in questa disamina ed aggiungo, inoltre, che dopo circa 20 anni di postmodernità stiamo entrando in un nuovo ciclo: un tempo in cui la scienza proverà ad instaurare il suo governo, con forme tecnocrate e bio-politiche sempre più presenti. Insomma, il ribaltamento del sogno di Platone dei filosofi al potere che si avvera. Non solo, come non rilevare come questo possa essere un fattore aggravante visto che, i miei coetanei, sono nativi digitali e credono che prima del 2000 si girasse ancora in carrozza e non vi fosse civiltà. Non si crea dunque il mito dell’età d’oro precedente, ma si getta la memoria storica assieme a quello che è considerato come non progressista o, comunque vetusto, in un dimenticatoio.

Siamo dunque ad un anno 0: molti studiosi già utilizzano le formule come «before-Covid» e «after-Covid». Vi è dunque una pretesa a cancellare quello che è stato finora ed addirittura, lo dico con fare provocatorio, equiparare questo grande sconvolgimento planetario alla venuta, presunta o meno che sia, di Gesù Cristo.

Una via mondiale ad un post-capitalismo, parafrasando la via italiana al socialismo di Togliatti, si sta mano a mano delineando.

Dunque, tornando a noi: che fare -come direbbe Lenin -? Anzitutto, come monaci del Medioevo, assicurarci di mantenere salde le nostre radici e non dimenticare il nostro patrimonio culturale e filosofico. Attivarsi per riscoprire quel diritto alla ribellione di Locke, padre del pensiero liberale, che non va condannato e/o lasciato nel dimenticatoio, soprattutto perché si sta ripresentando un nuovo feudalesimo alle porte. Infine, riscoprire l’amore e la dedizione nei confronti della politica ben consci che, come lo stesso Socrate ed alcuni passi della Repubblica ci insegnano, le vie più lunghe e lastricate sono spesso quelle che ci portano più vicini ai grandi risultati e alle grandi verità/risposte.

Fonte: La Prima Linea

 

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