giovedì 19 settembre 2019

Quel che resta del PD. "Un cartello da Calenda a Fratoianni, o saremo spazzati via". Intervista a Matteo Orfini.

All'indomani della scissione di Italia Viva, l'ex presidente del Pd rilancia l'unità: "Renzi sbaglia" e la scissione è "ancora più drammatica per i buttafuori del partito che spiegano che tutto sommato è un bene".

Ecco Matteo Orfini, che stavolta non ha seguito Matteo Renzi:
“Perché è un errore, che rischia di danneggiare non solo Renzi, ma l’intero campo progressista. Siamo in uno dei momenti più drammatici della sinistra italiana”. Inizia così una conversazione con l’HuffPost, in cui il capocorrente dei “giovani turchi” propone un contenitore all’americana:
“Da Calenda a Fratoianni, altrimenti saremo spazzati via. Lo dico proprio nel momento più difficile”.

Orfini Diceva: uno dei momenti più drammatici della sinistra italiana. Non le sembra eccessivo?
No, ed è reso ancora più drammatico dalla sottovalutazione che il gruppo dirigente del Pd fa in queste ore di ciò che è accaduto e che rischia di travolgere la sinistra e il governo, faticosamente messo su dopo 15 mesi di egemonia salviniana.

Scusi: Renzi sfascia tutto perché se non è il capo o capetto non sa stare in una comunità e la colpa è degli altri?
La premessa è che Renzi sbaglia. E trovo politicamente incomprensibile il modo in cui ha giustificato la sua scelta: quando un leader dice “vado via perché non mi sopportavano” significa che non ha argomenti. La non sopportazione sentimentale non è una categoria della politica. Se dovessi fare un partito solo con le persone con cui mi trovo bene a cena… Detto questo, la scissione, se era prevedibile come ha detto Zingaretti, andava evitata. Invece c’è davvero un tratto di consensualità in quel che è successo.

Ma mi perdoni: il Pd si è posizionato politicamente dove voleva lui. E che fa? Rompe a freddo il giorno che giurano i sottosegretari. Qual è la motivazione? Il “non comando io”. Roba da chiamare quelli con il camice bianco.
Lei continua a far finta di non capire. Ho detto che Renzi ha fatto un errore, ma trovo lunare l’intervista di Zingaretti e quelle del gruppo dirigente del Pd che si auto-elogia per la tensione unitaria dimostrata in questo periodo. Noi in 20 giorni abbiamo subito due scissioni, Calenda e Renzi, come effetto della tensione unitaria. Pensi se non ce l’avessimo avuta…. A fronte di questo si fa spallucce, come se niente fosse. Si dice: parliamo d’altro.
A me sembra che la cosa più lunare sia aver rimosso il tema Renzi dal Congresso del Pd e averlo seguito sulla linea del Governo. Cioè non averlo combattuto, non tanto il non aver ceduto al ricatto “o così o me ne vado”.
Proprio perché continua a non voler capire, mi affido a due esempi. Quando Rutelli decise in andarsene a fare l’Api, io organizzai a casa mia un incontro in gran segreto tra Rutelli e D’Alema nel tentativo di evitare quella uscita. Non ci riuscimmo, ma tentammo fino all’ultimo. E quando andarono via quelli di Mdp, da reggente del Pd, passai giorni a provare a convincere Speranza, Rossi ed Emiliano. Ci furono incontri, telefonate. Almeno riuscii a contenere quella emorragia, convincendo Emiliano a partecipare al Congresso.
Ma che c’è di sbagliato nella separazione consensuale? Se è accaduto così è perché, evidentemente, la storia si è consumata. Bisognava solo prenderne atto.
Ma sta scherzando? Qui siamo di fronte a una scissione più rilevante di quelle, perché va via un ex premier, una personalità che ha peso e radicamento nel nostro popolo. E, invece di tentare almeno di contenerne l’impatto, abbiamo assistito alle interviste dei buttafuori che spiegavano che tutto sommato era un bene.
Chiamiamo il “buttafuori” per nome. Ad esempio, Goffredo Bettini dice: “Renzi copre il fronte moderato, il Pd fa la sinistra”, tipo Ds e Margherita 2.0. Dove è l’errore?
Bah, almeno Bettini, rispetto ad altri, ha fatto un ragionamento politico. Ma non è questo lo schema di Renzi. A Bettini dico: il nostro capo delegazione al governo è Dario Franceschini, quello di Renzi è Teresa Bellanova. Chi è più moderato e chi di sinistra? La verità è che quella di Renzi è un sfida altamente competitiva al Pd, gioca nello stesso campo ed è molto distruttiva.
Con ricadute sul governo, dice lei.
Beh, è chiaro. Perché aumenterà la conflittualità e rischierà di rendere più fragile l’azione del Governo, facendo emergere la debolezza dell’attuale Pd. Domando: che cosa è oggi il Pd?
Lo chiede a me? Per me, se ci tiene a saperlo, è il donatore di sangue di un’operazione che ha subito.
Apprezzo l’analisi. Ma io credo che un’alleanza emergenziale di fronte a un pericolo democratico servisse. Il punto è che non si capisce politicamente chi siamo. Vede, spesso Zingaretti per rivendicare il nostro buono stato di salute fa l’elenco degli incarichi ottenuti: Gentiloni, Sassoli, i ministri, ma un partito non può pensare se stesso sono nella dimensione del potere.
Perché prima di Zingaretti come era? Lei lo sa meglio di me. Il segretario ha dovuto assecondare l’onda governista. Da anni il Pd si concepisce solo nella dimensione del governo.
Questo è anche vero e infatti è una delle ragioni della nostra sconfitta e della forza di Salvini nella società italiana. E proprio per imparare dagli errori, non possiamo immaginare che la soluzione sia solo sommare la debolezza nostra a quella dei Cinque stelle. Domando? Per fare cosa? Per allearsi alle regionali? Così non ha senso.
Perché è contrario all’accordo alle regionali?
Mi fermo prima di questa domanda. Il problema non è il candidato civico o non civico. Il problema è che, dopo decenni, rischiamo di perdere le regioni rosse. E pensiamo di risolverla passando con una frettolosa intervista di Franceschini dal considerare i Cinque Stelle un alleato con cui siglare un accordo emergenziale a un alleato politico strategico, dopo che per anni abbiamo detto che erano dei pericoli. Dove è la politica in tutto questo?
Per una volta sono d’accordo con lei. Infatti c’è una buona dose di trasformismo in questa fase. Pensi che Conte sabato da Orban alla festa della Meloni e domenica dalla Cgil, dopo aver governato un anno con Salvini.
Prima ancora incontrerà Tsipras alla festa di Articolo 1. Sono certo che saprà apprezzare le differenze degli interlocutori.
Va bene, ma in tutto questo suo ragionamento, non capisco il “che fare”.
Due cose. Credere nella possibilità che il Governo funzioni, uscendo dai titoli da libro Cuore. Investimenti significa ripresa nel ruolo pubblico in economia e chiudere con l’era del mercatismo? Immigrazione significa rimettere in discussione le scelte scellerate che hanno portato alla più drammatica crisi umanitaria degli ultimi decenni?
I decreti sicurezza sono rimossi dall’agenda.
Appunto. Per me vanno rimossi dalla legislazione, non dall’agenda. Insomma, spendersi con convinzione per dare subito un’anima a questo Governo. Noi vinceremo le Regionali se questo Governo funzionerà. Se fallirà, il destino è segnato.
Secondo?
Il secondo punto è come diamo risposta allo sconcerto e allo spaesamento della nostra gente, perché gruppi dirigenti irresponsabili hanno diviso un popolo unito. Anche grazie a Salvini, in questi mesi è cresciuta tra la nostra gente la voglia di combattere insieme superando le divisioni del passato. Quando siamo saliti sulla Sea Watch gli elettori di sinistra si sono identificati con quel gesto, a prescindere dalle appartenenze di partito. Oggi quei 5 parlamentari sono divisi in 4 partiti, ma quel popolo continua a volerli vedere uniti.
Per come si è messa, l’unica è che fate un’alleanza. Non è né la prima né l’ultima volta che si fanno coalizioni.
Proprio perché non è la prima volta, sappiamo bene quale è l’esito di una tale prospettiva: il disastro.
Amen.
Il centrosinistra non si riorganizza attraverso la frammentazione. Ma rilanciando l’idea di un unico grande contenitore politico che tenga insieme ciò che è diviso, da Calenda a Fratoianni. Dico io: combattiamo nello stesso campo? Sì. Non si vota per tre anni? Sì. Quel popolo è unito nel paese? Sì. Non possiamo dividerlo noi per gli egoismi dei gruppi dirigenti. Abbiamo il tempo per studiare formule nuove: luoghi di coordinamento, liste uniche da presentare alle elezioni regionali. Per arrivare a un grande cartello o partito democratico e progressista, diverso da come è stato concepito il Pd e più simile ai democratici americani per modello organizzativo.
Ma scusi, si è appena rotto tutto. Dopo una scissione, anzi due, lei immagina una ricomposizione addirittura allargata? Non pensa manchino i presupposti del ragionamento?
Lei dice così perché lei fa il giornalista, e sottovaluta la forza creatrice della politica. Non è quello a cui pensavano Prodi e Veltroni? Non è quello che aveva in mente Renzi quando prendevamo il 40 e che sognano i nostri elettori? O è più attraente un pentapartito a egemonia grillina? Partito di Renzi, Pd, Calenda, Leu, i Cinque stelle: che forza attrattiva con un tale Ogm?
Fuori tempo massimo. Questo era il Pd per come doveva essere e non è stato.
È molto difficile. Ma se non si fa saremo spazzati via.

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