dinamopress
Verso lo stato di Amazonas, tra il popolo degli Apuriná. Dove le parole cambiano di significato
Con una temperatura al
mattino di 32°, cominciamo il viaggio a nord verso lo stato di Amazonas,
il più esteso del Brasile. Siamo diretti a Boca do Acre dove vive il
popolo Apuriná, in una delle zone più colpite dagli incendi. Viaggiamo
grazie a Ivy e Rose del CIMi, il Consiglio Indigenista Missionario,
partner della Cooperativa Lavaca in questa pretesa di recarci sul posto a
vedere come stanno le cose.
Mentre eravamo con gli Apuriná non c’era segnale telefonico né elettricità, flussi che un eccesso idiomatico associa alla parola “civiltà”.
Anche il rogo delle foreste è considerato civiltà: attacco e disprezzo verso indios e contadini, verso chi rimane fuori dalle mappe geografiche e sociali, verso il clima globale e la biodiversità, la salute dei popoli e del pianeta.
Lungo il viaggio incrociamo camion che possono caricare a malapena due o tre tronchi di alberi una volta giganteschi, con diametro di due o tre metri. Legname che sarà lucidato nel Primo Mondo.
Abbiamo visto anche un’infinità di buoi bianchi in campi nei quali avrebbe dovuto esserci la selva. La carne di manzo è la più richiesta e quotata nei mercati europei, molto di più della carne vaccina convenzionale, figuriamoci di quella da allevamento intensivo. Qui troviamo uno degli aspetti cruciali dell’Amazzonia riciclata in maniera infernale: terre per bestiame prelibato.
Altri aspetti chiave: miniere, petrolio, dighe, soia transgenica. Proseguiamo verso nord: fanno 36 gradi. Tenendo conto di alcuni effetti della civiltà, è un mistero sapere cosa hanno da dire su questi tempi, nel bel mezzo dell’Inferno, le persone e i popoli accusati di vivere nella barbarie.
Mentre eravamo con gli Apuriná non c’era segnale telefonico né elettricità, flussi che un eccesso idiomatico associa alla parola “civiltà”.
Anche il rogo delle foreste è considerato civiltà: attacco e disprezzo verso indios e contadini, verso chi rimane fuori dalle mappe geografiche e sociali, verso il clima globale e la biodiversità, la salute dei popoli e del pianeta.
Lungo il viaggio incrociamo camion che possono caricare a malapena due o tre tronchi di alberi una volta giganteschi, con diametro di due o tre metri. Legname che sarà lucidato nel Primo Mondo.
Abbiamo visto anche un’infinità di buoi bianchi in campi nei quali avrebbe dovuto esserci la selva. La carne di manzo è la più richiesta e quotata nei mercati europei, molto di più della carne vaccina convenzionale, figuriamoci di quella da allevamento intensivo. Qui troviamo uno degli aspetti cruciali dell’Amazzonia riciclata in maniera infernale: terre per bestiame prelibato.
Altri aspetti chiave: miniere, petrolio, dighe, soia transgenica. Proseguiamo verso nord: fanno 36 gradi. Tenendo conto di alcuni effetti della civiltà, è un mistero sapere cosa hanno da dire su questi tempi, nel bel mezzo dell’Inferno, le persone e i popoli accusati di vivere nella barbarie.
Tutti gli scatti sono di Nacho Yuchark
Questo articolo fa parte di una copertura giornalistica cooperativa nella regione amazzonica dell’Acre realizzata da lavaca.org – Rivisita Mu e sostenuta da dinamopress. Sul campo, ci sono il giornalista Sergio Ciancaglini e il fotoreporter Nacho Yuchark.
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