Non c'è reato, per ora. Ma al di là dei termini legali, esiste in politica una questione etica. Come diceva Enrico Berlinguer.
Hanno
sempre avuto un acuto senso del potere, questi gigli di cui si è
circondato l’ex Premier Matteo Renzi. Un senso gagliardo, onnivoro,
guappo. “Si vira su Viola, ragazzi”, “Un messaggio a Ermini va dato”: il
potere come entitlement, ( lo diciamo in inglese, va, così Renzi ha un
un tweet pronto per sfotterci) cioè come diritto a fare quel che ti
pare. Il potere come potere appunto – se ce l’hai lo usi fino in fondo,
per tutto, tanto è tuo. Non ha regole, non ha limiti e soprattutto non
ha padroni.
Sarà un caso che tutto il
gruppo di Matteo Renzi alla fine si è sempre trovato impigliato dentro
il labile confine fra uso pubblico e uso privato della propria influenza
, fra mestieri dei padri - Boschi, Lotti, Renzi, in banca, in editoria,
in contratti pubblici - e la fortuna dei figli? Storie di contratti e
contatti, di scambi materiali con la immateriale moneta dell’influenza
politica.
Insomma, la passione e l’ampio uso del potere è stata la debolezza del renzismo, e la sua nemesi .
Eppure
nulla fin qui ci aveva preparato alla storia che si sciorina sotto i
nostri occhi, dalle pagine di una inchiesta giudiziaria. Lotti e il Csm,
un ex ministro dello sport e i magistrati dell’organo supremo di
autogoverno della Magistratura tutta. Storia da romanzo d’appendice –
una camera d’albergo di notte a Roma, un gruppo di uomini, un
appuntamento con tutti i segni della clandestinità, in cui si
discute, nientemeno!, di come disegnare la nuova mappa delle procure
italiane.
A partire dalla più importante d’Italia, quella di Roma, la
stessa dove uno dei presenti, Luca Lotti, è imputato per il caso Consip, e dove potrebbe arrivare quel giudice Creazzo che a Firenze ha indagato i genitori di Renzi.
Il
gruppo di uomini in quella stanza d’albergo ( e scusate se la fantasia
corre: come saranno seduti? Avranno preso una suite per avere più
poltrone o saranno stati in piedi nella camera da letto? E cosa avrà
pensato il portiere? O magari era un rito ripetuto?) si conosce bene e
parla con la sicurezza di chi gioca al risiko. Dalle conversazioni
riportate negli atti del procuratore generale della Cassazione, Riccardo
Fuzio nel documento con cui ha comunicato ieri l’avvio dell’azione
disciplinare a carico dei cinque consiglieri del Csm coinvolti, sembra
emergere un disegno chiaro: l’intenzione era quella di favorire su Roma
la nomina di Marcello Viola. “Si vira su Viola, sì ragazzi”, dice
Lotti, chiamando con tale familiarità i due giudici del Csm. Palamara
parla di Creazzo, e si rivolge a Ferri: “Gli va messa paura con l’altra
storia, no?” E ancora: “Metti paura, dai... Liberi Firenze, no?”. Ma
perché limitarsi solo a Roma e Firenze? Si nomina così la Calabria, e
poi perché non Torino ? Nel gioco degli spostamenti, il gruppo pare
prenderci gusto e con certa sicumera gioca sulla cartina d’Italia come
Chaplin nel Grande Dittatore, facendo rimbalzare la palla del globo
terrestre. Come in tutte le congiure c’è anche un ostacolo, il
vicepresidente del Csm David Ermini, che - e qui l’intreccio si fa
fitto – è stato nominato dai renziani, ed è amico di Luca Lotti. I
togati del Csm presenti nella stanza si lamentano di lui e riportano a
Lotti le lamentele anche di altri colleghi. L’ex ministro rassicura:
“Però qualche messaggio forte gli va dato”.
“Non
ho commesso nessun reato!” si difende ora Luca Lotti. Certo, reato non
c’è, almeno per ora. Ma la vicenda ha tutti i contorni di un lurido
gioco di potere. Un intreccio di arrogante uso della propria influenza,
di convergenza di interessi, e soprattutto abuso della fiducia dei
cittadini. Un gioco segreto piantato nel cuore del più alto degli
organi, quel Csm che dovrebbe garantire al paese uno standard etico
superiore per gli uomini che gestiscono la giustizia del paese, e la cui
Presidenza, in maniera fortemente simbolica, è affidata allo stesso
Presidente della Repubblica.
Non c’è
reato, ripete Lotti, ma come spiegare allora il divergente comportamento
del suo amico, e ex compagno di cordata Ermini? La scelta diversa di
due uomini pure così vicini, è da sola una indicazione di colpevolezza
per Lotti e un riconoscimento dell’indipendenza di Ermini. La violazione
delle regole di quella che è una delle più alte istituzioni garante
dell’etica pubblica, può davvero essere considerata come scrive ancora
Lotti nella sua difesa “parole in libertà, non minacce o costrizioni?”
E’
la domanda che evita il nuovo segretario del Pd Zingaretti. La sua è
una netta presa di distanza dall’ex Ministro, ma evita il cuore del
problema: al di là dei termini legali, esiste in politica una questione
morale. Come diceva Enrico Berlinguer, celebrato in questi giorni, ma
evidentemente dimenticato in tutti gli altri giorni dell’anno.
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