mercoledì 26 giugno 2019

Emilia nostra, le mani della 'ndrangheta su politica e affari.

Il presidente del consiglio comunale di Piacenza accusato di mafia. Imprenditori che non denunciano e chiedono favori alla cosca. E le relazioni pericolose che portano all'ex Ad di Unicredit Ghizzoni.

 Emilia nostra, le mani della 'ndrangheta su politica e affari

Da un lato gli incendi, i danneggiamenti, insomma, il tadizionale metodo mafioso. Dall'altro personaggi insospettabili affiliati alla cosca, contigui ad essa o che hanno tentato di usare il clan per arricchirsi. Imprenditori e industriali del Nord, emiliani e lombardi, che con i boss hanno stretto rapporti, chiedendo favori, e subìto le loro imposizioni senza mai denunciare. È il doppio volto della 'ndrangheta emiliana. Che con i suoi esponenti di punta sarebbe stata in grado di intervenire sul banchiere Francesco Ghizzoni, all'epoca dei fatti amministratore delegato di Unicredit.

Nelle oltre 250 pagine di ordinanza di custodia cautelare firmate dal gip del tribunale di Bologna su richiesta dal pm Beatrice Ronchi della procura antimafia di Bologna, c'è la fotografia del dopo Aemilia, il maxi processo contro la 'ndrangheta emiliana. È un'istantanea amara, che ci dice quanto poco sia mutato nei territori dove domina la famiglia Grande Aracri. Il centro resta Brescello, provincia di Reggio Emilia. 
Nel paese sciolto per mafia nel 2016  ai boss finiti in carcere si sono sostituiti i nuovi sovrani che hanno preso in mano le redini della cosca. E hanno saputo stringere rapporti con personaggi in vista dell'economia locale.L'ultima operazione conta sedici arresti, 76 indagati, una miriade di società finite nel mirino degli investigatori. E soprattutto ci sono gli affari, gestiti dai Grande Aracri, originari di Cutro, paese del Crotonese, ma residenti ormai da decenni nel cuore dell'Emilia. La famiglia di 'ndrangheta colpita duramente nel 2015 con l'operazione “Aemilia”. Dopo quegli arresti un gruppo di affiliati storici ha collaborato con la giustizia. Sono state riempite migliaia di pagine di verbali. Dichiarazioni che hanno permesso di ricomporre ulterioramente il mosaico criminale realizzato dai clan a queste latitudini. Quest'ultima indagine è in parte frutto delle rivelazioni dei pentiti. Un colpo duro alle nuove leve e ai boss rimasti fuori dalla prima grande retata di quattro anni fa. Come Francesco e Salvatore Grande Aracri, padre e figlio. Fratello e nipote del mammasantissima Nicolino Grande Aracri, detto “Manuzza”, il capo dei capi della 'ndrina.

Il presidente

Il giovane Salvatore Grande Aracri può contare su una rete di complici e affiliati molto estesa. Tra tutti spicca la figura di Giuseppe Caruso, “Pino” per gli amici. Professione: dipendente dell'agenzia della Dogane, prestato alla politica, eletto in quota Fratelli d'Italia(il partito di Giorgia Meloni) presidente del consiglio comunale di Piacenza. Per i pm dell'antimafia bolognese è un affiliato della 'ndrangheta emiliana.

Caruso spiega così il suo ruolo nella cosca: «Io ho mille amicizie ... da tutte le parti: bancari ... oleifici ... industriali. Tutto quello che vuoi ... quindi io so dove bussare ... quindi se tu mi tieni esterno ti dà vanlaggio, se tu mi immischi ... dopo che mi hai immischialo ... e mi hai bruciato ... è finita ... perché la gente li chiude le porte ... la gente mi chiude le porte ... che vuoi da me ... se tu sei bruciato ... non ti vuole ... hai capito quello è il problema ... quindi allora, se tu ci sai stare, è così». Del resto Caruso è sempre pronto a mettere a disposizione il suo pacchetto di conoscenze.
Riso e omertà

Pino Caruso, il politico, è indagato per associazione mafiosa. Ma anche per un episodio di truffa ai danni di Agea (l'agenzia che eroga i fondi in agricoltura) che coinvolge due imprenditori del riso molto in vista. Si tratta di Massimo Scotti e Claudio Roncaia. Il primo è il cugino del patron di Riso Scotti, il famoso “doottor Scotti” della pubblicità, ed è presidente del Consiglio di Amministrazione della Riso Roncaia. Il secondo è il titolare della Roncaia Spa, un'azienda di Castelbelforte, provincia di Mantova, che navigava in pessime acque. Per la truffa né a Scotti né a Roncaia viene contestata l'aggravante mafiosa, anche perché in un altro episodio sono ritenuti vittime, seppure senza mai aver denunciato, di una serie di imposizioni del clan.
Per esempio sono stati obbligati ad affidare il trasporto del riso ai camion di un affiliato pagando il servizio il 20 per cento in più del dovuto. In altri casi hanno dovuto regalare alcuni quintali di merce per i ristoranti della 'ndrangheta emiliana.

L'amico banchiere

Come sono entrati in contatto questi imprenditori con il clan? A dire degli affiliati intercettati dagli investigatori della squadra mobile, alla famosa fiera Cibus che si tiene ogni anno a Parma. A Caruso li avrebbe presentati lo zio di Salvatore Grande Aracri, il nuovo boss emergente della mafia padana. Ma c'è di più. Claudio Roncaia stava attraversando una fase nera in quel periodo. Era il 2015 e i conti aziendali erano in rosso. Per questo chiede aiuto a Pino Caruso, il politico affiliato. Proprio grazie all'intervento di quest'ultimo, Unicredit avrebbe cancellato il nome di Roncaia dalla “centrale rischi”, così da agevolare prestiti bancari in futuro.

«Hai visto come ci muoviamo?», dice soddisfatto Caruso a Roncaia una volta portata a termina la missione in Unicredit. Usa il plurare, Caruso. Per indicare che il gruppo, la cosca, a cui appartiene si è mosso. E lo ha fatto senza sbavature, senza sollevare sospetti. Caruso, dunque, risolve i problemi di Roncaia in Unicredit, scrivono gli investigatori e gli inquirenti. Ma quali erano gli agganci di Caruso nel più grande istituto di credito italiano? «il personaggio intervenuto per risolvere le problematiche di Roncaia era l'allora amministratore delegato di Unicredit Francesco Ghizzoni», si legge nell'ordinanza di custodia cautelare. Lo stesso Ghizzoni che in quello stesso periodo era stato tirato in ballo da Ferruccio De Bortoli per le pressioni che avrebbe ricevuto dall'allora ministro Maria Elena Boschi, che avrebbe chiesto al banchiere di valutare l'acquisizione di Banca Etruria di papà Boschi.

«Con l'Unicredit abbiamo, stiamo per firmare un accordo 50 per cento ... siamo andati con ... è andato ... da Ghizzoni e quello l'abbiamo risolto». A confermare l'intervento di Ghizzoni è una seconda intercettazione. Il 30 settembre 2015 il fratello di Claudio Roncaia, Riccardo spiega a un suo amico che « l'amministratore delegalo, Ghizzoni di Piacenza...siamo andati a casa sua ... ci manda una persona che lo conosceva ... in due giorni l 'ha risolta». La persona che conosce Ghizzoni, emerge dall'ordinanza, è proprio Caruso. Anche Massimo Scotti nel corso di una conversazione confennava l'intervento del Ghizzoni per l'estinzione del debito: «è stato Ghizzoni ha fare intervenire l'ufficio legale di Unicredit... che ha quindi formulato una richiesta alla quale loro (inteso Roncaia) avrebbe aderito ... con l'ufficio legale, loro han determinato e han detto ... guardate noi per chiudere vogliamo 600.000, noi abbiam detto va bene ti do 600.000 ... chiuso, basta fine del gioco». Una manina santa. O meglio, come lo definiscono in un'intercettazione «un angelo in paradiso».

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