mercoledì 26 giugno 2019

Da Mercatone Uno a Whirlpool, quando il lavoro diventa un miraggio.

Grandi, medie, piccole. Nel nord, al centro, al sud. Così tante aziende si arrendono.  E migliaia di famiglie rimangono per strada.  Ma al ministero nessuno se ne occupa. 

Da Mercatone Uno a Whirlpool, quando il lavoro diventa un miraggioMercatone Uno, Whirlpool, Tessiture di Nosate, Husqvarna, Porto di Cagliari e tante altre aziende. Non ha confini la geografia dell’Italia che ha chiuso o rischia di chiudere bottega. 

La crisi, annunciata all’improvviso o in corso già da anni, colpisce le imprese da Nord a Sud, isole comprese. 

 

Comincia così, nel peggiore dei modi, l’estate per migliaia di famiglie: la vita di coppie, genitori, figli e single stravolta dall’incertezza e, per molti, dalla mancanza di uno stipendio. Sotto pressione non è solo il sistema Paese e la sua reputazione nel mondo industriale. Anche l’ambiziosa corte del ministro Luigi Di Maio rischia di uscirne a pezzi. Schiacciata com’è tra i piani di ristrutturazione di società nazionali e multinazionali, le aspettative dei lavoratori-elettori e una spiccata inesperienza. Il nostro viaggio parte proprio da qui: via Veneto 33, Roma, sede del Mise, il ministero dello Sviluppo economico.Il fallimento della catena di arredamento Mercatone Uno, praticamente sotto gli occhi dei funzionari di Di Maio, è il sintomo di una situazione non sempre sotto controllo. La lettura di due visure societarie avrebbe infatti potuto rivelare come alcuni dei nuovi acquirenti degli ipermercati fossero già stati coinvolti in una precedente procedura fallimentare, chiusa nel 2017 davanti al Tribunale di Vicenza. Dall’insediamento del governo di Giuseppe Conte al crack, dichiarato il 24 maggio scorso dal Tribunale di Milano, sono infatti trascorsi 358 giorni: nel frattempo nessuno ha tenuto conto di due semplici visure, pubblicate dalle banche dati delle Camere di commercio. Come è possibile?


La risposta va cercata in quello che all’inizio di febbraio accade nel ministero di via Veneto. Da un giorno all’altro Di Maio non rinnova l’incarico, e non solo per limiti di età, a Giampietro Castano, 75 anni, il dirigente che da undici anni e sotto vari governi è responsabile dell’Unità di gestione delle vertenze per le imprese in crisi. Via lui, i funzionari targati 5Stelle si prendono tutti i dossier: dai 144 casi ereditati dal governo gialloverde nel giugno 2018 con 189 mila lavoratori coinvolti ai 138 ancora irrisolti nel 2019 per un totale in crescita di 210 mila dipendenti. E sono numeri che non calcolano l’indotto.
Pretendere di vigilare sui contenziosi aperti senza la necessaria esperienza è però un azzardo giocato sul futuro di migliaia di persone. La differenza con la squadra di Castano, mille vertenze affrontate e il soprannome di Mister 130 crisi, la si vede già nei curricula degli attuali protagonisti. La carriera del ministro del Lavoro, carica che Di Maio, 33 anni, somma a quella di capo del Mise, è già nota: «Ho avviato un progetto imprenditoriale di e-commerce, web marketing e social media marketing, oggi portato avanti dai miei ex soci», dichiara dalla piattaforma Rousseau del Movimento 5 Stelle. Anche la sua percezione della realtà è famosa: «Oggi abbiamo abolito la povertà», esulta dal balcone di Palazzo Chigi il 28 settembre 2018, dopo appena centoventi giorni da ministro. Proprio questa settimana l’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, pubblica dati in leggera crescita rispetto al precedente governo: un milione 822 mila famiglie in condizioni di povertà assoluta (contro un milione 778 mila del 2017) per un totale di cinque milioni di italiani, l’8,4 per cento della popolazione.

Nonostante la stretta relazione tra poveri, lavoratori precari e nuovi disoccupati, la gestione dei tavoli di crisi non viene assegnata a dipendenti del ministero selezionati per capacità. Al posto di Giampietro Castano, Di Maio piazza due fedelissimi. Uno è il capo della sua segreteria tecnica, Daniel De Vito, 34 anni, nato ad Avellino come il ministro. Dal 2008 al 2014 lavora gratis come docente e assistente volontario del professor Claudio Preziosi, alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Salerno. Nei sei anni completa anche la pratica forense nello studio legale del suo professore. E dal 2014 al 2018 arriva la sua prima assunzione: funzionario legislativo dei 5Stelle alla Camera. L’altro è il vicecapo di gabinetto di Di Maio, Giorgio Sorial, 36 anni, di Brescia. Laureato in ingegneria elettronica per l’automazione, con master in amministrazione aziendale a Dublino. Deputato 5Stelle dal 2013 al 2018 e trombato alle elezioni dello scorso anno. Il partito della Casaleggio associati però non lo lascia disoccupato: da esperto di robot industriali, oggi Sorial nel ministero di Di Maio presiede i tavoli di crisi che dovrebbero salvaguardare il lavoro umano.

Giovedì 18 aprile Sorial convoca una riunione di aggiornamento sul passaggio di proprietà della Mercatone Uno. Lo affianca Davide Crippa, 40 anni, ingegnere ambientale e sottosegretario allo Sviluppo economico dei 5Stelle. La catena di ipermercati è stata acquistata da due società. La parte principale con 55 punti vendita appartiene ora alla milanese Shernon Holding. L’accordo era stato formalizzato con i commissari dell’amministrazione straordinaria il 9 agosto 2018. Dal verbale della riunione si scopre però che gli amministratori della Shernon hanno chiesto al Tribunale di Milano l’ammissione alla procedura di concordato preventivo senza informare il ministero. È un grave segnale d’allarme che rivela una situazione già prefallimentare. Ma nessuno si allarma. «Il vicecapo di gabinetto», cioè Sorial, riporta il verbale, «ha concluso l’incontro confermando il supporto del ministero dello Sviluppo economico all’azienda Shernon... auspicando che ci possa essere un rilancio delle attività nel più breve tempo possibile».

I funzionari di Di Maio continuano così ad affidare gli oltre duemila lavoratori della Mercatone Uno e i diecimila dell’indotto a una società praticamente bollita. Ma quando un mese dopo il Tribunale di Milano accoglie le istanze inderogabili dei fornitori, a loro volta danneggiati dalla voragine di novanta milioni bruciati nei primi otto mesi di nuova gestione, i 5Stelle se la prendono con il Pd e l’ex ministro Carlo Calenda, che ad agosto non era più ministro: «Ha ceduto la Mercatone Uno a una società fantasma di Malta», lo accusa il Blog delle Stelle.

È la prova che lo staff di Di Maio non ha studiato il dossier: perché la Shernon non appartiene più a una società maltese, ma alla Maiora Invest di Padova. E lo stesso amministratore-socio delle due imprese, Valdero Rigoni, 59 anni, ora indagato dalla Procura di Milano, tra il 2014 e il 2017 aveva già liquidato per fallimento un’altra sua società che commerciava mobili, la Ctf Italia, di cui era comproprietario con la socia Patrizia Garbin. Sarebbero bastate due visure per intervenire in tempo e forse evitare il vicolo cieco a migliaia di famiglie.

Non ci sono soltanto i casi più famosi come Alitalia, Piaggio Aero, Pernigotti, Honeywell. Vertenze altrettanto difficili riguardano le aziende più piccole. Crisi che nemmeno arrivano al ministero e spesso si fermano ai notiziari locali. Come la chiusura improvvisa della Tessiture di Nosate a Santo Stefano Ticino vicino a Milano (105 dipendenti a casa), lo stop alla produzione delle moto svedesi Husqvarna a Valmadrera in provincia di Lecco (102 operai in bilico), il crollo dei traffici nel porto di Cagliari, con la previsione di un meno 82 per cento e stipendi a rischio per settecento lavoratori assunti e dell’indotto. Drammi personali che, come denuncia la lettera inviata a Di Maio da tre sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil del Molise, nelle regioni del Sud sono aggravati da spopolamento e crollo demografico.

«Negli ultimi dieci anni non c’è mai stata un’assenza di interlocuzione con il ministero. Oggi a fatica ti rispondono al telefono», protesta da mesi Marco Bentivogli, segretario generale di Fim-Cisl, il sindacato dei metalmeccanici: «Adesso ci sono ministri assenti. E quando c’è interlocuzione, è con sindacati filo-governativi. Il governo del cambiamento si è trasformato in casta». Il successo dello sciopero generale del 14 giugno scorso è la risposta di piazza che non si vedeva da anni.

Francesco Paoletti, 53 anni, professore associato di Organizzazione aziendale all’Università di Milano Bicocca, da mesi dalla sua pagina Facebook corregge con garbo e competenza gli errori, le falsità, le finte certezze economiche che la propaganda politica diffonde in rete. «C’è stato un rallentamento nel commercio internazionale che per la nostra economia è vitale, perché è trascinata dall’export», sostiene Paoletti, «e noi soffriamo un po’ di più perché siamo la seconda manifattura più grande d’Europa. La novità nell’ultimo anno però è un’altra: è il ragionamento che le aziende internazionali stanno facendo sul rischio Paese in Italia, di cui forse non ci si rende conto».

Bastano i titoli degli ultimi giorni. A cominciare da quello ispirato da Paolo Savona, 83 anni, ex ministro di Conte e presidente della Consob, l’autorità che dovrebbe tutelare gli investitori e la trasparenza della Borsa: «Il debito pubblico può arrivare a 200 per cento del Pil, sarà sostenuto dal risparmio degli italiani». Un’ulteriore allusione al prelievo forzoso dai conti correnti delle famiglie. E poi l’accusa di atteggiamento mafioso all’Unione Europea e il progetto dei minibond che secondo lo stesso ministro dell’Economia, Giovanni Tria, sono pericolosi e illegali.
«A livello internazionale», spiega Paoletti, «ci si chiede che cosa vogliamo fare in Italia. Ci sarà un’Italexit? Vogliamo davvero uscire da un mercato comune europeo di 500 milioni di abitanti? Le aziende straniere valutano il rischio immediato e a lungo termine: le chiusure e le razionalizzazioni in corso oggi sono figlie di quello che all’estero pensano potrebbe capitare da noi».

Nessun commento:

Posta un commento