In
tempi di giustizieri fai-da-te e ministri inutili che li benedicono; in
tempi di lento scivolamento verso la pigrizia mentale dunque verso la
barbarie; in tempi in cui pensare non va più di moda perché costa più
del lavoro fisico, qualche volta; in tempi in cui il dubbio va evitato
come la peste e quindi sei preda di ogni truffatore ti sappia vendere
qualcosa; in tempi di moralisti senza morale…
Questo è un lampo di saggezza e intelligenza che non vi potete perdere.
Questo è un lampo di saggezza e intelligenza che non vi potete perdere.
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Sono passati proprio tanti anni da quando si cantava “Imagine” e il nuovo avanzava al ritmo di “mettete dei fiori nei vostri cannoni“.Succedeva tanti anni fa, nella bellissima piazza Navona, a pochi metri dalla fontana del Bernini voluta dalla terribile donna Olimpia.
Succedeva che nell’allora famosissimo bar “Ai tre scalini” dove si faceva un gelato particolare, il tartufo nero, forse allora il più famoso d’Italia, e dove turisti e intellettuali erano di casa, succedeva che un ladruncolo rubasse una radiolina a un avventore seduto a gustarsi il suo tartufo nero, in un’atmosfera che vive ormai solo in qualche vecchio film e in antichi ricordi.
Succedeva che l’aitante figlio del proprietario, armato di pistola e di spirito guerriero, rincorresse il ragazzetto. Un italiano doc, sebbene di borgata, perché erano ancora abbastanza vicini i tempi in cui “gli albanesi eravamo noi” come dice un bellissimo libro di Gian Antonio Stella che, ovviamente, ha avuto meno successo de “La casta”.
Succedeva che quando il ragazzetto, credo un diciassettenne, si accorse di essere inseguito da un giovane armato, gridò “tiè te la lascio” e lasciò a terra la radiolina scappando via.
Ma si sa, quando si entra nel ruolo del giustiziere e si ha una pistola in mano, ci si aspetta il trionfo con corona d’alloro solo se si compie l’opera già iniziata e così il giovane aitante sparò ad un altro giovane, più giovane e più sfortunato di lui, e lo uccise.
Credo fosse la fine degli anni “60 o al massimo l’inizio degli anni “70, appunto quelli in cui si cantava Imagine e mettete dei fiori nei vostri cannoni.
Forse una ricerca negli archivi mi confermerebbe la data esatta ma non è troppo importante. Quel che mi sembra importante è il resto.
So che qualcuno avrà voglia di leggermi, pochi pochi ma non importa. In fondo anche Manzoni pensava ai suoi 16 lettori e io non sono Manzoni, quindi me ne bastano dieci 😉
Allora vado avanti.
Mia madre amava tanto il tartufo nero di piazza Navona e ogni tanto mio padre, la domenica, quando noi eravamo ancora piccoli e stavamo all’oratorio o in casa dei nostri amici, la portava a godere due ore di felice libertà concedendosi il lusso di sedere ai tre scalini.
Poi il tempo passò e il tartufo rimase un ricordo. Il bar cambiò nome. Non nella sua denominazione ufficiale, quella ce l’ha ancora, ma nell’appellativo che gli diedero i romani.
Chi non è di Roma deve sapere che i romani avevano, e in parte ancora hanno, una particolare arguzia nel dare nomi e soprannomi a cose e persone a seconda delle situazioni. Quello diventò “il bar dell’assassino”.
Al bar dell’assassino non si va.
Forse neanche per fame si sarebbe andati, a maggior ragione non si poteva andare per puro piacere. Basta tartufo nero.
Noi intanto eravamo cresciuti ed erano anni in cui i ragazzi discutevano di tutto. Ed erano anni in cui “addirittura” quanto si apprendeva a scuola (addirittura è amara ironia pensando ad oggi) diventava alimento per le nostre discussioni. Così, quel po’ che si conosceva di Cesare Beccaria ci aiutava a capire la differenza tra vendetta e giustizia e quel po’ che si conosceva di Marx ci aiutava a capire quanto fosse necessario porre delle priorità tra la vita e il patrimonio.
Poi cominciava ad arrivare la psicologia, ne parlavano perfino i preti! e in pochissimi anni l’Italia fece un salto socio-culturale così intenso che non sarebbero bastati due secoli normali per far cambiare tutto quello che cambiò tra l’inizio degli anni “60 e la fine degli anni “70.
Erano anni sconvolgenti, anni in cui davvero si stava provando la sfida tra civiltà e barbarie. Ne’ la violenza della polizia, ne’ il terrorismo di Stato riuscivano a fermare quella marea montante di giovani che dai 14 anni in su volevano cambiare il mondo.
Sarebbero arrivate altre strategie, a volte veicolate su gambe inconsapevoli, a far rifluire quella marea. E i risultati sarebbero andati avanti nel lungo periodo e li stiamo vedendo.
Tornando ai tre scalini, le notti estive della seconda metà degli anni “70, mi videro spesso a piazza Navona. Allora avevo un magnifico pastore tedesco a pelo lungo che era la mia guardia del corpo e che tornava con me, noi due soli, a casa all’alba, visto che in nome del femminismo non volevo essere accompagnata dai miei amici.
Erano passati anni dal giorno in cui il ladruncolo era stato ucciso per una radiolina, tra l’altro restituita, ma era ancora vietato dalla nostra coscienza sederci al bar dell’assassino.
Le nostre serate tiravano avanti con amici che si aggiungevano quando finivano il turno al giornale per cui lavoravano e si riprendeva il discorso su tutto. Allora io ero tra i più giovani e crescevo anche sulle storie di chi aveva venti anni più di me e aveva fatto esperienze a me impossibili per motivi anagrafici. Ora sarebbe il contrario. Ma solo se ancora ci fosse quell’atmosfera e quella voglia infinita di cambiare il mondo.
Certo, anche allora c’era chi, tra la vita e la proprietà, metteva al primo posto la seconda, ma non faceva parte del nostro giro e a noi sembrava naturale cercare di convincerlo del suo errore tirando fuori di tutto, compresi pure Cristo e don Milani.
Oggi, con infinita amarezza, devo dire che quella battaglia l’hanno vinta loro.
Leggo che il tabaccaio di Navone Canavese che ha ucciso un ladro, non in una colluttazione, ma sparandogli dal balcone e centrandolo mentre scappava, ha avuto l’onore addirittura di una fiaccolata in suo sostegno. La proprietà ha vinto sulla vita, la barbarie sulla civiltà.
Il bar dell’assassino oggi è un bellissimo bar ristorante molto frequentato.I giovani a piazza Navona non passano la notte parlando di tutto. Una legge orripilante, basandosi sul legittimo diritto alla difesa e distorcendolo fino a diventare licenza di uccidere è stata appena emanata da questa Repubblica Italiana che, morso a morso, sta divorando lo spirito della Costituzione che avrebbe dovuto rappresentarla.
Che fare? spiegare ai giovani che qualcuno li sta manovrando per renderli acefali nemici della conquiste umane costate oceani di sangue? no, non potrebbero ascoltare, e non per colpa loro. Una corrente sotterranea dice che noi, quelli della mia generazione e dintorni, abbiamo commesso molti errori, il che è anche vero, ma questo, invece che spingere alla correzione di quegli errori, li tuffa nel baratro della barbarie. Quella scintillante, quella che tra musica assordante che impedisce la parola e ipnosi consumistiche diversamente presentate, la nasconde, la barbarie, mentre ce li tuffa dentro. E con loro anche gli adulti che non hanno mai fatto parte di quella grande minoranza che illusoriamente credevamo fosse maggioranza e che voleva cambiare il mondo.
Volevamo mettere l’uomo al primo posto e non il capitale.
Non è andata così.
Anche questa battaglia l’abbiamo persa.
Ma siamo ancora in tanti e i nostri ideali sono duri a morire. Siamo pronti a passare il testimone e siamo certi che c’è chi è pronto a prenderlo, correggere gli errori e iniziare nuove battaglie.
Fiaccolate contro la licenza di uccidere forse riusciranno a prendere il posto delle fiaccolate in onore degli assassini alle quali, con indubbia coerenza, partecipano Lega e CasaPound, ma alle quali partecipano anche cittadini che con qualche confusione si ritengono di sinistra o altri che recitano il pater nostro senza capirne la contraddizione con la loro fiaccolata.
Be’, per quelli come me la lotta continua e, se possibile, con intelligenza e ancora, come diceva il Che, senza perdere la tenerezza.
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