gaetano del monte dinamopress
Sequestrati dalla Procura di Lecce gli ulivi da abbattere. Dieci indagati tra dirigenti della Regione, docenti dell’Università di Bari e ricercatori del Cnr. Dovranno rispondere di: diffusione colposa di malattia delle piante; falso materiale e ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici; getto pericoloso di cose e deturpamento di bellezze naturali.
Li hanno definiti, con spregio, visionari e santoni. Persino irresponsabili. Sono i cittadini, le associazioni ambientaliste e i comitati, che - sorti in ogni angolo della Puglia - da un anno a questa parte stanno conducendo una dura battaglia per contrastare il piano governativo che prevede l’eradicazione di migliaia di ulivi secolari. Blocchi stradali, presidi notturni, originali pratiche di disobbedienza civile, ricorsi al Tar, momenti di informazione e sensibilizzazione. È articolata e varia la grammatica della protesta sorta attorno alla cosiddetta emergenza xylella. E comprende anche esposti e denunce alla magistratura competente per territorio.Poche ore fa è arrivato il primo pronunciamento della Procura di Lecce, che da mesi indaga sull’affaire xylella: “inerzie, imperizie e negligenze configurabili a carico degli organi istituzionalmente preposti alla gestione del fenomeno” scrivono il procuratore aggiunto Elsa Valeria Mignone e il sostituto Roberta Ricci motivando il decreto di 58 pagine con cui è stato disposto il sequestro preventivo di “tutte le piante di ulivo interessate da operazioni di rimozione immediata, previste in esecuzione del Piano degli interventi approvato dal capo del Dipartimento della Protezione civile e dal Commissario delegato”. Non solo. Anche di ” tutte le piante interessate da richieste di rimozione volontaria, in esecuzione delle previsioni disposte dal Commissario Giuseppe Silletti, sulla base dei verbali redatti dagli ispettori sanitari in cui si rileva la presenza di sintomi ascrivibili alla xylella fastidiosa”. A tutte le piante di ulivo già destinatarie di provvedimenti di ingiunzione di estirpazione di piante infette emessi dall’Osservatorio fitosanitario regionale, si consente, altresì, la facoltà d’uso ai proprietari, dunque, “qualsivoglia intervento di coltivazione”. Con esclusione soltanto dell’estirpazione della pianta o del taglio al colletto del tronco. Secondo quanto scrivono nel decreto di sequestro i giudici della Procura diretta dal procuratore distrettuale antimafia Cataldo Motta “emerge chiaramente la colposa compromissione della biodiversità agraria”, della flora che si trova in aree protette e sottoposte a vincolo paesaggistico, di cui gli “oliveti monumentali presenti nel Salento costituiscono tratto indiscusso, oltre che risorsa economica, occupazionale e culturale”. Sempre secondo quanto scrivono i giudici, è rilevante: “la perseveranza colposa, tale da sfiorare la previsione dell’evento, se non il dolo eventuale, nell’adozione, da parte dei protagonisti istituzionali (e non) della vicenda, di un piano di interventi unicamente diretto alla sistematica distruzione del paesaggio salentino”. I reati ipotizzati dagli investigatori, fino ad ora, sono quelli previsti dagli articoli 452 bis e 452 quinquies, 476, 479, 500, 674 e 734 del codice penale. In sostanza, le accuse mosse da giudici sono: “ diffusione colposa di una malattia delle piante, falso materiale e ideologico commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici, getto pericoloso di cose e deturpamento di bellezze naturali”.
A doverne rispondere, una sfilza di dirigenti, della Regione Puglia e non solo: Antonio Guario, ora in pensione, per tanti anni a capo dell’Osservatorio fitosanitario regionale. Il successore nell’incarico, Silvio Schito. Il dirigente del Servizio Agricoltura Area politiche per lo sviluppo rurale, Giuseppe D’Onghia. Il dirigente capo dipartimento delle Politiche europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Servizio fitosanitario centrale, Giuseppe Blasi. Tra gli indagati ci sono anche: Vito Nicola Savino, docente dell’Università di Bari e direttore del Centro di ricerca, sperimentazione e formazione in agricoltura, Basile Caramia di Locorotondo e Franco Nigro, micologo, docente di Patologia vegetale presso l’Università di Bari. Oltre a loro, Donato Boscia, responsabile della sede operativa di Bari dell’Istituto per la protezione sostenibile delle Piante del Cnr, Maria Saponari, ricercatrice del Cnr di Bari pure lei, e Franco Valentini, ricercatore presso l’istituto agronomico mediterraneo (Iam) di Valenzano.
Nel registro degli indagati è finito soprattutto il commissario governativo alla cosiddetta “emergenza xylella”, Giuseppe Silletti, già a capo della guardia forestale regionale e indagato in qualità di commissario straordinario per l’emergenza fitosanitaria. Lo stesso funzionario che all’atto dell’insediamento aveva chiesto aiuto al prefetto e al questore di Lecce “per andare avanti con il piano”, cioè di essere affiancato da un numero più nutrito di forze dell’ordine per contenere le manifestazioni di chi, in questi mesi, agricoltori, ma soprattutto attivisti, sono saliti anche sugli alberi, per evitare gli abbattimenti degli ulivi considerati infetti. Ora, è un dato inconfutabile - secondo i magistrati - che l’estirpazione delle piante non è assolutamente idonea, né a contenere la diffusione dell’organismo nocivo, né a impedire la diffusione del disseccamento degli ulivi, “né tantomeno a contribuire in alcun modo al potenziamento delle difese immunitarie delle piante”. Anzi. Richiamando la sterminata pubblicistica scientifica internazionale esistente in materia i giudici concludono che “non è nota alcuna strategia precedente che abbia avuto successo nell’eradicazione della xylella fastidiosa, una volta insediatasi in pieno campo”. Non solo. Altri particolari inconfutabili e citati dai giudici nel provvedimento di sequestro, a sostegno delle convinzioni, sarebbero, ad esempio che: “al disseccamento degli ulivi contribuirebbero diverse concause, di cui l’esistenza di xylella fastidiosa è solo una tra le tante”. Oppure, “è conclamato che la presenza del patogeno non costituisca fonte di rischio per l’incolumità pubblica”. Tutt’altro. Sarebbero proprio le misure previste dai “Piani Silletti” a rappresentare seri rischi per l’incolumità pubblica. I giudici citano, nell’ordinanza, il rapporto sugli insetticidi redatto dall’autorità europea in materia alimentare. Report che abbiamo menzionato su DINAMOpress già in aprile, nel precedente articolo sul tema xylella: “La chimica del capitale e la cura della vita”. In particolare, lì dove si fa riferimento al fatto che “l’uso intensivo di trattamenti insetticidi per limitare la trasmissione della malattia e il controllo dell’insetto vettore può avere conseguenze dirette e indirette sull’ambiente, modificando intere catene alimentari. A ciò si deve aggiungere che i trattamenti insetticidi su larga scala costituiscono rischi per la salute umana e animale”. Sono proprio i rischi per la salute umana, quelli maggiormente evidenziati e che hanno convinto, i giudici leccesi, poche ore fa, a sequestrare tutti gli ulivi che erano considerati da abbattere, o da trattare, con fitofarmaci pericolosissimi.
Al di là di quanto raccontano in queste ore le inchieste giudiziarie, tuttora in corso, ci sono degli elementi socio-politici che emergono dall’analisi del caso xylella. Dei riferimenti teorici che ne ricaviamo dal suo studio. Si tratta di un questione di campo: da una parte, c’è la disperazione di chi ha difeso la propria nuda vita, il corpo biologico residuato da uno stato di semi-cittadinanza. Dall’altra, c’era, c’è, lo Stato, una parte dei poteri locali, il commissario straordinario. Anche qui, per dirla con Foucault, “territorio e popolazione sembrano costituire il campo d’esercizio del potere moderno, come riperimetrazione incessante dell’uno e dell’altra, margine in perenne movimento”. Economie politiche di margine, che la globalizzazione dei mercati agricoli ha reso ormai residuali, dove l’esodo e lo spopolamento sono misura inversamente proporzionale della capacità di resistere. E in Puglia c’è chi ha resistito, in questi mesi, negli ultimi due anni. Si è rivelata all’orizzonte una trama fatta di punti di resistenza transitori e mobili, capace di attraversare le diverse stratificazioni della società così come queste si trovano distribuite all’interno del corpo sociale. Una resistenza intesa in senso meccanico, dunque, come contro-spinta locale all’impatto dei poteri, in sostanza. È ciò che si sta configurando nella regione, attorno alla questione xylella, che, per il momento, è un gioco aperto tra forze, una partita ancora tutta da giocare.
Un altro dato, oltre quello della partecipazione, è la rinnovata centralità, e allo stesso tempo ambiguità, del parere esperto, dell’expertise, nei conflitti che investono l’ambiente, il territorio, la tecnoscienza. Talvolta ci si trova di fronte a un “paradosso dell’expertise”, quale risorsa cui si ricorre sempre più per il policy making e la scelta sociale, ma al tempo stesso sempre più contestata (cfr. Pellizzoni L., 2011). È la spia di quanto le istituzioni democratiche, oggi, mostrino difficoltà a gestire situazioni e questioni in cui gli aspetti tecnico-scientifici assumono un peso consistente. La stessa autorità esperta - come sembra ben evidenziare proprio il caso xylella - appare perennemente in bilico nel suo dover fornire pareri, tra l’incudine che è chiamata a dare alle scelte politiche e il martello della decostruzione del sapere sviluppata dalle scienze sociali e praticata dai contendenti nelle controversie. Persa nell’improbabilità di riuscire a tracciare linee di confine precise e condivise tra fatti e valori, questioni di sapere e questioni di potere, analisi e gestione dei problemi. Dall’altra parte, invece, i cittadini, i comitati, le associazioni ambientaliste, da oggi aiutati dalla magistratura, hanno difeso la vita, disegnando, sperimentando e fronteggiando i nuovi rapporti tra verità, potere e commercio “che investono la nostra sofferenza, i nostri corpi mortali”. Sono cittadini biologici attivi che, come ci insegnato Nicolas Rose, “nello sfidare i propri limiti vitali stanno ridefinendo cosa significa essere umani oggi”. Atraverso un attivismo che non deve essere inteso evidentemente in un’accezione riduttiva, come sinonimo esclusivo di militanza, ma in senso generale come possibilità dei cittadini di agire nelle politiche pubbliche, per tutelare i diritti e prendersi cura dei beni comuni – la salute, l’ambiente, etc – esercitando poteri, o meglio contropoteri, e responsabilità.
Nessun commento:
Posta un commento