martedì 29 dicembre 2015

Roma Capitale. Mafia a Ostia, nessuno vuol tradurre i dialoghi del clan rom e il processo si blocca.

Interpreti frenati dalla paura di ritorsioni. L'impasse emersa durante l'udienza contro Carmine Spada, cugino dei Casamonica. Il presidente del Tribunale scrive al ministro Orlando. A rischio blocco decine di inchieste contro la criminalità organizzata romana.


Mafia a Ostia, nessuno vuol tradurre i dialoghi del clan rom e il processo si bloccaROMA - "Il processo può subire uno stop: non ci sono interpreti disposti a tradurre i dialoghi in sinti tra gli imputati". L'allarme è rimbalzato da un'aula di tribunale al ministro della Giustizia Andrea Orlando: ci sono procedimenti penali e indagini che rischiano di arenarsi perché i traduttori in grado di comprendere dialoghi in lingua rom di clan della capitale non vogliono tradurre. Il caso finisce così in mano al ministro della Giustizia. È a lui che il presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano si rivolge con una lettera-appello in cui spiega la difficile situazione che la procura di Roma si trova ad affrontare. "La questione degli interpreti che hanno timore di ritorsioni dei clan e dunque si rifiutano di tradurre è gravissima. Quando mi è stato rappresentato il caso ho scritto a tutti i presidenti distrettuali. I colleghi di tutta Italia hanno lo stesso problema. Chiedo dunque al ministro della Giustizia di intervenire. Basterebbe un cambio della normativa o un'estensione della legge riservata ai collaboratori sotto copertura per garantire anonimato a questi interpreti rom".


La questione è assai complessa ed è scoppiata qualche mese fa quando in un'aula di giustizia, mentre si celebrava il processo per estorsione con l'aggravante del metodo mafioso contro Carmine Spada, capoclan della famiglia rom di Ostia, cugino dei più noti Casamonica, il pm Mario Palazzi ha esposto il problema alla corte. Ovvero: molti dialoghi captati attraverso intercettazioni, appositamente fatti in lingua rom, non vengono tradotti. Meglio: gli interpreti hanno rifiutato di presentarsi in un'aula di giustizia al momento di dover confermare quanto da loro tradotto. Hanno paura e sanno che, una volta finito il lavoro con la Procura avranno ritorsioni pesanti da parte di questi personaggi malavitosi. Preferiscono quindi, come hanno riferito ai magistrati, essere denunciati per favoreggiamento piuttosto che essere presi di mira e sapere che prima o poi questi clan la faranno pagare cara.

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