domenica 27 dicembre 2015

La rivolta invisibile dei contadini.

Hanno scelto con molta consapevolezza di coltivare la terra e hanno pensato «dobbiamo rompere con l’agricoltura tradizionale», dove non è importante cosa e come si produce quanto cosa si ottiene in termini di profitto. Piccole aziende familiari e cooperative sperimentano nuovi rapporti con tra campagna e citta, grazie anche ai Gruppi di acquisto solidale, in cui trovano spazio la mutualità, il dono, la costruzione di relazioni basate sulla fiducia reciproca. Sono produttori del paesaggio e della qualità dei luoghi, superano e contestano le regole della certificazione biologica non solo per motivi di costo. Nelle campagne di tutte le regioni, dice una ricerca dal titolo «Contadini per scelta», fiorisce un’agricoltura diversa, una forma di lotta sociale inedita e poco visibile.
 
Negli ultimi tempi, anche in Italia, si è ricominciato a parlare e scrivere dei contadini, sono cresciuti associazioni, reti, movimenti, che chiedono il riconoscimento di un mondo rurale che si dava ormai quasi per estinto. Ma a livello di massa poco si sa dei sacrifici, delle difficoltà, della vitalità di un mondo contadino che si tende spesso ad idealizzare. Ci è parso quindi importante dare la parola a quanti da anni portano avanti pratiche agricole non convenzionali. La nostra intenzione non era quella di fare una indagine sociologica con pretese di completezza bensì quella di raccogliere un certo numero di testimonianze di vita e di lavoro.
Sono trentasette le testimonianze che abbiamo raccolto nel corso di due anni (2010–11) seguendo i contatti suggeriti da alcuni interlocutori, mediatori e scegliendo i nostri testimoni nel vasto mondo dell’agricoltura contadina, dalle piccole aziende familiari a realtà più complesse di tipo cooperativo ed anche imprenditoriale. Abbiamo preso in considerazione territori diversi, dall’Ossola al Cuneese, dalla costa ionica calabrese all’entroterra ligure di levante e alla Sicilia orientale, dall’Appennino romagnolo ed emiliano alla pianura padana. Come in tutte le indagini qualitative la rilevanza dei materiali raccolti si presta a differenti considerazioni. Sapevamo che le narrazioni dei nostri testimoni avrebbero avuto i caratteri della singolarità e della soggettività ma contavamo sul fatto che il mosaico che andavamo componendo, frutto dell’incontro tra i diversi punti di vista dei soggetti, avrebbe costituito una sorta di costruzione polifonica ricca di molteplici significati.
Le esperienze che abbiamo incontrato e la nostra riflessione sui materiali di intervista ci portano a indicare che quello che è stato chiamato il «lungo addio» della società rurale, la sua prevista scomparsa, è invece un processo complesso che sta approdando a inedite figure sociali e a nuove pratiche nell’universo agricolo. Non solo, queste esperienze, nonostante il loro carattere minoritario e le evidenti difficoltà che incontrano ad affermarsi, presentano una pluralità di forme e di iniziative che sta reggendo all’urto congiunto della tecnica e del mercato e ci indicano la via per la costruzione di alternative al modello agricolo dominante. I contadini non sono spariti anzi ritornano e manifestano forme inaspettate di resistenza e di riscatto.

Alcuni tratti di contadinità che caratterizzano le persone intervistate danno il segno delle esperienze portate avanti. Sono contadini colti, non solo perché spesso hanno conseguito elevati titoli di studio, quanto perché padroneggiano gli strumenti culturali per inserirsi pienamente nel mondo in cui debbono operare. Sono professionisti riflessivi, cioè capaci di rappresentare la complessità della loro condizione e di riflettere sulle proprie scelte e sulle prospettive dell’agricoltura.
Mantengono relazioni molteplici con le comunità locali e con l’ambiente urbano rispetto al quale non manifestano alcun segno di subalternità. Fanno parte di reti territoriali di produzione e di vendita spesso a dimensione locale ma talvolta anche molto estese. Spesso le loro aziende ampliano le proprie attività dagli ambiti produttivi a quelli sociali e culturali.
Ma ciò che caratterizza meglio di tutto gli intervistati è che sono tutti contadini per scelta. La scelta di cui parliamo non è soltanto quella di chi ha preferito dedicarsi all’agricoltura provenendo da altri contesti di vita e di lavoro, né quella di chi ha deciso di proseguire in una tradizione familiare preesistente. Fare il contadino è una scelta che va ben oltre il mero dato occupazionale e che accomuna in larga misura tutti i nostri testimoni. Essa riguarda un modo di vita, un certo rapporto con i luoghi e la natura, uno specifico modo di produzione e di rapporto con il mercato, distinguendosi e ponendosi come alternativi (spesso in modo radicale) rispetto ai modi dell’agricoltura convenzionale-industriale.
A questo proposito risulta cruciale il modo di coltivare la terra e di allevare gli animali. Si tratta di un modo di produzione che va spesso oltre quelle che sono le regole della certificazione biologica rispetto alla quale alcuni dei nostri testimoni sono critici non solo per motivi di costo. Questo modo di produzione contadino lo ritroviamo in aspetti quali: le scelte colturali, i modi di mantenere la fertilità del suolo, il recupero di varietà e razze tradizionali, la riproduzione e lo scambio dei semi, lo scambio dei saperi, la cura artigianale dei prodotti. Sono questi solo alcuni tratti di una contadinità che recupera saperi e tradizioni rigiocandole dentro la modernità, intrecciandoli con saperi e modi contemporanei.
Sono molte le motivazioni delle pratiche agricole, anche multiformi, che cercano una fuoriuscita dal modello agroindustriale dominante. Queste motivazioni emergono chiaramente dalle esperienze che abbiamo documentato. Innanzitutto vi è la dimensione esistenziale, la irriducibilità di certe scelte; in diversi testimoni, dalle loro parole emerge la passione per la terra e gli animali, la forte integrazione di vita e lavoro, l’orgoglio per i frutti del proprio lavoro. Per le persone che abbiamo incontrato l’agricoltura non è un mezzo come un altro per ottenere un reddito ma è un fine in sé da cui si cerca di ottenere un’esistenza dignitosa. Non a caso i tratti profondi che i nostri testimoni hanno manifestato sono sobrietà, sacrificio e un rapporto insieme materiale e spirituale con la terra. Siamo cioè di fronte ad un completo ribaltamento rispetto alle logiche dell’agricoltura convenzionale, dove non è tanto importante cosa e come si produce quanto cosa si ottiene in termini di reddito.
In questa scelta di vita e di lavoro gioca un ruolo importante sia il legame con la propria storia sia la memoria di un passato che non contiene nostalgie o estetismi. C’è spesso una figura mitica, un nonno, uno zio, una resdora, ma anche autori di testi, maestri che hanno lasciato tracce importanti. Abbiamo trovato in parecchi casi anche le tracce dell’onda lunga dei movimenti alternativi ed ecologici del secolo scorso così come legami ideali con i movimenti alternativi attuali. Sono tutti elementi che operano per abitare il presente in forma nuova, per costruire alternative concrete alla realtà agricola dominante.
L’orizzonte ideale di molti di questi contadini e, per certi versi, anche di quei soggetti che hanno sviluppato la dimensione imprenditoriale del loro lavoro è una nuova forma di economia morale. Vale a dire una visione dei rapporti economici rispettosa dei diritti, ispirata non al profitto ma al benessere individuale e collettivo. In questa visione e nei comportamenti che ne derivano trovano spazio la cooperazione, la mutualità, la solidarietà, il dono, la costruzione di relazioni basate sulla fiducia reciproca. Non a caso troviamo spesso l’attenzione per la conservazione del paesaggio, la vivibilità dei luoghi, l’uso della terra, i beni comuni. La finalità di questa economia non è l’arricchimento ma quello di una vita dignitosa, in equilibrio con la natura, basata su rapporti di scambio che riconoscano il valore del lavoro incorporato nelle merci.
Queste considerazioni ci portano a capire come queste esperienze si alimentino di un cambiamento sociale e culturale più generale. Dall’immagine diffusa del mondo contadino come realtà residuale ed arretrata si sta passando a una rappresentazione di questa realtà come manifestazione concreta della possibilità di produrre in modo ecologico e sostenibile prodotti sani e di qualità. È un cambiamento culturale in cui si intersecano una varietà di tendenze presenti nella società quali: lo sviluppo della sensibilità ecologica, la maggiore attenzione per il cibo, la difesa del paesaggio e la lotta contro la cementificazione, la riscoperta dei beni comuni. Sono tutti elementi che spingono verso un modo diverso di fare agricoltura di cui i contadini sono attori necessari e consapevoli. L’altra novità di grande rilievo per lo sviluppo dell’agricoltura contadina è la diffusione dei Gruppi di acquisto solidali, la loro organizzazione in reti e Distretti di cui sempre più spesso i contadini sono parte attiva. La loro importanza non dipende soltanto dal fatto che aprono un nuovo e consistente mercato per i prodotti dell’agricoltura contadina quanto soprattutto nella forma solidale di scambio che viene a instaurarsi tra consumatori e contadini, dove hanno grande rilievo i rapporti fiduciari, lo scambio di valori d’uso, la trasparenza dei costi e il riconoscimento del lavoro incorporato nei cibi, il mutuo sostegno.
Considerando più da vicino le pratiche messe in atto dai nostri contadini per emanciparsi dai mercati globali e dalle forme dell’agricoltura convenzionale troviamo una grande varietà e ricchezza di iniziative che testimoniano delle loro capacità di essere soggetti attivi di cambiamento. Le esperienze che abbiamo incontrato manifestano una notevole capacità sia di rimodellare il rapporto con la natura sia di sviluppare iniziative e progetti che partendo dalle loro realtà produttive investono parti di società sensibili al cambiamento nei rapporti di scambio con l’agricoltura. Queste pratiche, tra loro necessariamente interconnesse, si possono analizzare da due diversi punti di vista: l’approccio agro ecologico e la progettualità contadina. L’approccio agroecologico consiste nella sostanza di un ritorno alla natura, «elemento intrinseco al processo di riemersione del modello contadino». Nei nostri testimoni abbiamo incontrato un elemento così rilevante da essere quasi scontato, quello di lavorare con la natura, con gli animali, di confrontarsi ogni giorno con valori che si riferiscono alla vita, di essere fieri dei loro animali, della qualità dei loro prodotti, freschi e gustosi, del fare biologico.
L’attenzione dei nostri contadini va ben oltre i requisiti formali del biologico, tende necessariamente a controllare la qualità dei fattori di produzione (il concime, i mangimi, i semi) nel tentativo di stabilire un ciclo produttivo il più possibile autonomo ed esente da fattori inquinanti. In questo lavorare con la natura si presenta inoltre l’attenzione e la cura dei luoghi; la consapevolezza della cura del territorio, il fare paesaggio che non è folclore o selvaggitudine come punto di vista dei cittadini, ma è tenere viva un’economia e un luogo, è ricostituzione di un binomio di natura e società, è rispetto di un passato che ha sedimentato progetti, opere e segni che non si devono cancellare per una fragile modernità.
I nostri testimoni sono produttori del paesaggio e della qualità dei luoghi, contro l’abbandono e il deserto sociale delle campagne e dei territori rurali di collina e di montagna, e motivano il loro impegno su questo elemento, misconosciuto, che fatica ad emergere, del contatto con la terra, della cura dei luoghi, dell’attenzione ai margini. Nella progettualità contadina che riguarda la costruzione di reti e di cultura troviamo le caratteristiche più innovative di un processo sociale che vede impegnati i contadini e le loro pratiche nei confronti della società e della costruzione di un altro modello di agricoltura.
Un presupposto fondamentale delle capacità progettuali è l’accesso e la contaminazione di differenti culture. Queste aziende agricole assumono, a volte, le forme del monastero laico, intendendo con questa metafora un luogo dove si incontrano saperi, si misurano e si arricchiscono pratiche, dove «si tengono insieme contadinità e managerialità» ricercando le mediazioni tra un interno comunitario e il contesto del mercato, dove si sperimentano formule organizzative e pratiche che si muovono tra tradizione e modernità.
Un elemento che segna e caratterizza le progettualità è dato dalla costruzione di relazioni con le realtà urbane che si presenta in forme inedite. Ciò che oggi sembra cambiare è il tradizionale rapporto di subalternità, culturale prima ancora che economico tra campagna e città. Quello che emerge è un rapporto paritetico che vede i nuovi soggetti rurali confrontarsi da pari a pari con i loro interlocutori urbani. E questo è reso possibile dalla capacità dei nuovi contadini di coniugare cultura ed esperienza, tradizione e innovazione. Essi sono, a differenza di un tempo, pienamente inseriti nella modernità e non soffrono di nessun senso di inferiorità. Anzi sono i cittadini che vanno a lezione da loro, come più di un testimone ci ha raccontato. Sono i network, i valori condivisi, le conoscenze e le esperienze accumulate e messe in comune, le pratiche di fiducia nelle relazioni e negli scambi commerciali, fino alla consapevolezza del proprio ruolo nella società gli ingredienti basilari attraverso i quali si esprime la progettualità sociale e l’azione collettiva del movimento contadino.
La campagna nazionale per l’agricoltura contadina, il sostegno alle reti che favoriscono la riproduzione e lo scambio di sementi tra contadini (la campagna per la modifica della legge sementiera), il percorso della certificazione nelle forme della garanzia partecipata sono alcune delle azioni importanti caratterizzate da una presenza a livello territoriale, locale e regionale. Anche le pratiche di sostegno finanziario e di partecipazione secondo formule mutualistiche e di patto tra produttori e cittadini si stanno estendendo. Queste aziende, da quelle a conduzione familiare a quelle più complesse di tipo cooperativo e anche imprenditoriale, si reggono economicamente combinando in vario modo percorsi che fanno perno su una pluralità di soluzioni: l’autoproduzione di molti degli input (compresi talvolta quelli energetici), la multicoltura, la qualità del prodotto (non necessariamente certificato bio), il lavoro ben fatto e la dimensione artigianale delle produzioni (spesso afferente ad un sapere tacito, fortemente ancorato alla natura e ai luoghi), la multifunzionalità ( agriturismo, fattorie didattiche, ecc.), l’incorporazione di tutta o parte della catena del valore (es. produzione su piccola scala di conserve, farine, pane, formaggi e quant’altro ), la cooperazione formale e informale tra produttori, l’integrazione nel reddito familiare di apporti esterni (spesso femminili), la ricomposizione di filiere di prodotto, e non ultimo il rapporto diretto con il consumatore (mercati contadini, gas, spacci, ecc.).
Quelle che abbiamo incontrato sono tutte forme di economia che cercano di camminare sulle proprie gambe e che si mantengono nonostante politiche di sostegno all’agricoltura che privilegiano la crescita dimensionale e la competitività rispetto ai mercati globali. La loro forza sta nella scelta di non crescere più che tanto e, quando si può, nel creare reti cooperative e reti solidali di produttori. Per questi contadini non crescere più che tanto vuol dire mantenere la dimensione artigianale delle produzioni. In ogni caso la crescita dimensionale , quando avviene, è volta a scopi ben diversi da quelli della massimizzazione dell’efficienza economica perseguiti dall’agricoltura convenzionale (le economie di scala come leva per competere sui mercati globali). Una strategia molto seguita dai nostri contadini è, invece, quella che gli economisti chiamano economia di scopo, attuata sia diversificando le proprie attività sia utilizzando le risorse disponibili per scopi diversi. È qualcosa di molto vicino a quella che viene definita agricoltura multifunzionale nella quale alcuni vedono il futuro dei nostri territori rurali.
Ma vi è qualcosa che spiega ancora meglio queste scelte: la ricerca dell’autonomia sia rispetto ai mercati dei fattori di produzione (compreso quello dei capitali necessari per impiantare-gestire un progetto agricolo), sia rispetto ai canali-mercati di vendita. È la ricerca dell’autonomia che spinge i nostri contadini a ricostruire filiere, produrre vino ma anche carne, coltivare erba medica e pisello proteico invece che mais, cercare canali di finanziamento alternativi rispetto alle banche, aprire ristoranti, spacci, mercati contadini o comunque canali diretti di distribuzione e vendita.
Ciò fa sì che oggi questo tipo di economia contadina risulti meno vulnerabile rispetto all’agricoltura imprenditoriale che si trova presa nella tenaglia dell’aumento dei costi di produzione e della diminuzione dei ricavi. È un’economia resiliente, capace cioè di resistere agli urti del contesto, che non funziona soltanto secondo le regole economiche dell’impresa, che sa interpretare le peculiarità geomorfologiche, le vocazioni economiche e colturali, i contesti sociali di un territorio italiano che è per tre quarti montano e collinare.
In parecchie interviste vi è però qualcosa di più radicale che è riassumibile nei termini dell’autosufficienza. Con ciò si intende che per reggere il confronto con l’agricoltura convenzionale bisogna «dipendere poco dai soldi» o trovarli in fonti di finanziamento solidali; non solo, significa anche auto produrre fattori che si potrebbero più facilmente comprare (e qui sta una delle principali differenze tra le pratiche dei nostri contadini e il biologico industriale), ma anche farsi la legna da ardere, restaurare un rudere, fare il manico della vanga, tutte attività che in una logica mercatista da contadino-imprenditore non hanno alcun senso economico, ma che invece riempiono i tempi morti, recuperano saperi e risorse inutilizzate, conservano il territorio, fanno paesaggio. Questo tipo di esperienze costituisce un seme prezioso di novità che non è interpretabile secondo i canoni della teoria economica dominante e che indica reali possibilità di cambiamento per la nostra società.
Quello che ci sembra di poter affermare è che, nei territori che abbiamo esplorato, si sono radicate esperienze che resistono e che talvolta sono capaci di sostenere, in vario modo, la proliferazione di altre iniziative. Certo ogni esperienza è irripetibile e le realtà che abbiamo incontrato sono molto diversificate, ma questa è una ricchezza. Non crediamo di esagerare dicendo che quello che abbiamo solo in piccola parte esaminato costituisce il laboratorio dall’agricoltura del futuro. Si tratta ancora di una realtà minoritaria ma che è diffusa sul territorio e che, proprio grazie alla varietà di soluzioni elaborate, è in grado di sperimentare una molteplicità di soluzioni da cui potranno emergere risposte adeguate al cambiamento del modello di sviluppo di un’agricoltura in crisi.
I nostri contadini sanno che per costruire orizzonti di futuro risulterà decisiva lo sviluppo di momenti di aggregazione, dal basso ed istituzionali, capaci di tenere insieme altri soggetti, di costruire alleanze per un progetto che non sia confinato solo all’agricoltura ma coinvolga parti sensibili della società, rappresentanze sindacali e politiche. Lo testimoniano queste interviste e quello che possiamo registrare ogni giorno se prestiamo attenzione a quello che sta avvenendo nel mondo contadino.

Dall’introduzione di «Contadini per scelta. Esperienze e racconti di nuova agricoltura» di Massimo Ceriani e Giuseppe Canale. Intorno ai temi della nuova agricoltura è stato promosso un interessante incontro dalla Rete di economia solidale delle Marche, di cui trovate articoli e  relazioni qui.
La foto in alto è tratta dal profilo facebook di una delle più belle esperienze di agricioltura ribelle romana, quella di Coraggio società agricola, l’altra foto è di Zappata romana e riguarda l’orto urbano di Garbatella, a Roma: insieme ai Gas, gli orti urbani rappresentano il modo diverso con il quale vengono ribaltati i principi dell’agricoltura di mercato. «Coltiva il tuo futuro» è il titolo dell’iniziativa pubblica promossa da Coraggio (in collaborazione con il Coordinamento romano per l’accesso alla terra) il 10 dicembre, a Roma, per ragionare di «idee per il fututo dei giovani».

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