sabato 1 novembre 2014

Renzismo? Sarebbe meglio parlare di cosa vogliamo noi

 Fonte: il manifesto | Autore: Aldo Carra
La redistribuzione di sinistra in quattro punti. Per un lavoro di cittadinanza attiva come sostegno ai redditi minimi. Nell’80 la fascia a basso reddito era tassata del 10%, la più alta del 75%. Oggi sono al 23% e al 41%. Ma la leva fiscale da sola non è sufficiente per ridurre il divario sociale e cambiare la mappa del lavoro
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Nell’analizzare la “redi­stri­bu­zione ren­ziana” abbiamo scritto il mani­fe­sto del 18 otto­bre ) che si tratta del pas­sag­gio dalla lotta di classe all’invidia di classe (chi ha un lavoro è più pri­vi­le­giato per chi non lo ha, chi lo ha fisso rispetto a chi è pre­ca­rio…). Di fronte ad un pro­cesso così deva­stante, che pene­tra nelle pie­ghe e nelle pia­ghe sociali del paese, la sini­stra corre dei rischi enormi: tra i due popu­li­smi, ren­zi­smo e gril­li­smo, che si ali­men­tano a vicenda e che supe­rano entrambi la distin­zione destra-sinistra, la sini­stra rischia di restare schiac­ciata e di appa­rire come un inu­tile resi­duo del passato.
Sot­trarsi a que­sta morsa non è facile, ma è di que­sto che dovremmo par­lare nel dibat­tito che si è aperto. Dovremmo farlo, però, par­tendo dai pro­blemi e dai sog­getti sociali che ci inte­res­sano e cer­cando di non fare rie­mer­gere due nostri vec­chi vizi: quello dei con­fini — la sini­stra si auto­de­fi­ni­sce in fun­zione della distanza che prende dal Pd o dalla vici­nanza a Rifon­da­zione – e quello delle “cer­tezze” che stanno, spesso, più nel dire quello che non vogliamo, piut­to­sto che quello che vor­remmo. Que­sti vizi ci hanno por­tato nel pan­tano in cui ci tro­viamo oggi.

Sarebbe meglio, per­ciò, par­lare di cosa vogliamo, di come pen­siamo di rag­giun­gerlo, e met­tere sul piatto i nostri dubbi ed i nostri tra­va­gli con la mas­sima fran­chezza e cor­rendo il rischio di sba­gliare, rischio che fa parte di qua­lun­que ricerca. Il mondo del non lavoro di cui ci stiamo occu­pando è, a mio parere, il tema numero uno da affron­tare. Come pen­siamo di par­lare con i sog­getti che lo com­pon­gono, indi­cando per­corsi cre­di­bili che diano spe­ranza, che li coin­vol­gano e li fac­ciano diven­tare pro­ta­go­ni­sti del loro futuro?
Natu­ral­mente le coor­di­nate di fondo non pos­sono che essere que­ste: inve­sti­menti pub­blici per creare nuovo lavoro, ricon­ver­sione del modello di svi­luppo e, per repe­rire le risorse neces­sa­rie, redi­stri­bu­zione dall’alto verso il basso. Per fare que­sto non ci sono altri stru­menti che la tas­sa­zione dei grandi patri­moni con ali­quote pro­gres­sive ed una mag­giore pro­gres­si­vità della tas­sa­zione dei red­diti (in Ita­lia, nel 1980, l’aliquota sulla fascia di red­dito più bassa era del 10% men­tre quella sulla fascia più alta era del 72%; oggi l’aliquota sui red­diti più bassi è salita al 23%, quella sui red­diti più alti è scesa al 41%). Quindi lotta all’evasione, tas­sa­zione dei grandi patri­moni e pro­gres­si­vità sono le stelle polari che deb­bono orien­tare la poli­tica fiscale e redi­stri­bu­tiva della sinistra.
Ma riaf­fer­mare que­sti prin­cipi gene­rali non è suf­fi­ciente, né con­vin­cente per­ché la glo­ba­liz­za­zione ed il ricatto della fuga dei capi­tali verso i paesi a più bassa tas­sa­zione ren­dono dif­fi­cile la rea­liz­za­zione a breve di que­gli obiet­tivi. Per rea­liz­zarli serve una nuova poli­tica euro­pea che superi l’austerità, che uni­fi­chi i bilanci dei paesi, che pro­muova inve­sti­menti per una nuova poli­tica indu­striale. Insomma un’Altra Europa. Obiet­tivi per i quali ci vogliono tempo, alleanze, pro­cessi.
C’è poi un’altra domanda che non pos­siamo elu­dere: pen­siamo vera­mente che, anche se doves­simo riu­scire a scon­fig­gere l’austerità e ad atti­vare un nuovo modello di svi­luppo, sia pos­si­bile creare occa­sioni di lavoro suf­fi­cienti per que­gli otto milioni di senza lavoro di cui abbiamo par­lato men­tre, nel frat­tempo, fioc­cano chiu­sure e crisi che espel­lono altri lavo­ra­tori oggi occupati?
Fran­ca­mente penso di no e penso che, per essere cre­di­bili, dob­biamo ela­bo­rare e pro­porre la “nostra” idea di redi­stri­bu­zione del lavoro nella società con­tem­po­ra­nea. Nel con­fronto con gli altri paesi euro­pei siamo tra quelli con la disoc­cu­pa­zione più alta, ma anche un paese in cui i pochi occu­pati che abbiamo lavo­rano molto di più della media euro­pea. Que­sto feno­meno è dovuto alla minore pre­senza in Ita­lia di lavoro a tempo par­ziale ed al mag­giore ricorso al lavoro straor­di­na­rio: se si alli­neas­sero le ore di lavoro all’Europa, si potrebbe creare qual­che milione di posti di lavoro in più.
Pos­siamo allora non affron­tare seria­mente il tema della redi­stri­bu­zione delle ore di lavoro? Certo il tema è deli­cato, ma una sini­stra che voglia guar­dare al futuro deve affron­tarlo e ragio­nare su moda­lità, forme e tempi. Alcune pre­cise pro­po­ste esistono.
  1. Abbas­sare l’età pen­sio­na­bile ren­den­dola fles­si­bile per per­met­tere al sin­golo lavo­ra­tore o di andare in pen­sione prima con una pen­sione ridotta, oppure di ridurre il suo ora­rio di lavoro, negli ultimi anni del per­corso lavo­ra­tivo, con­sen­tendo, così, all’azienda di assu­mere nuovi dipen­denti a tempo par­ziale e con­trat­tua­liz­zando que­sta transizione;
  2. Ridi­se­gnare l’imposizione fiscale e con­tri­bu­tiva in base all’orario di lavoro impo­nendo una ali­quota più bassa per il lavoro part-time, più alta per l’orario nor­male, più alta ancora per il lavoro straordinario;
  3. Detas­sare i con­tratti azien­dali di soli­da­rietà, per gover­nare i pro­cessi di ristrut­tu­ra­zione, ridu­cendo al minimo licen­zia­menti e disoc­cu­pa­zione con­nessi a crisi aziendali;
  4. Isti­tuire con­tratti di soli­da­rietà ter­ri­to­riali, di “soli­da­rietà espan­siva”, che con­sen­tano, in set­tori di lavoro non attra­ver­sati da crisi azien­dali, di con­trat­tare ridu­zioni di ora­rio in cam­bio di nuove assunzioni.
Natu­ral­mente que­sto per­corso implica misure di difesa dei red­diti esi­stenti e, per ridurre al minimo la per­dita di potere d’acquisto, si dovrebbe agire sulla ridu­zione degli oneri sociali come si è fatto in Ger­ma­nia con alcuni con­tratti di soli­da­rietà che hanno fatto scuola in mate­ria. Ma non c’è dub­bio che que­ste ed altre scelte simili potreb­bero con­tri­buire a creare nuovi posti di lavoro e rispon­dere in maniera più con­vin­cente al mondo di cui stiamo parlando.
A que­sta linea di redi­stri­bu­zione si dovrebbe affian­care, inol­tre, anche una cre­di­bile pro­po­sta di red­dito di cit­ta­di­nanza. Pro­po­ste in mate­ria sono in campo, ma esse hanno un punto di debo­lezza nel carat­tere assi­sten­ziale che esse assu­mono se sgan­ciate da una pre­sta­zione lavo­ra­tiva. Un modo per supe­rare que­sti limiti potrebbe essere quello di con­fi­gu­rare un red­dito di “cit­ta­di­nanza attiva” e cioè di col­le­gare il red­dito ero­gato a pre­sta­zioni lavo­ra­tive effettive.
Si può, cioè, pen­sare ad un seg­mento nuovo di lavoro e di red­dito: quello del “lavoro di cit­ta­di­nanza attiva” con­nesso a pre­sta­zioni lavo­ra­tive di uti­lità sociale, sia come soste­gno minimo per chi non pos­siede altri red­diti, sia come red­dito inte­gra­tivo per com­pen­sare ridu­zioni di ora­rio e di retri­bu­zione volon­ta­rie o neces­si­tate, ma sem­pre con­nesse ad una pre­sta­zione di lavoro da effet­tuare per la col­let­ti­vità sulla base di pre­cisi pro­getti ter­ri­to­riali. In que­sta dire­zione va il ten­ta­tivo, in atto in Puglia, di isti­tuire un “lavoro minimo sociale di cittadinanza”.
Ci sarebbe il rischio di ripe­tere la tri­ste espe­rienza dei lavori social­mente utili? Que­sto rischio si potrebbe evi­tare adot­tando una moda­lità nuova di finan­zia­mento dei pro­getti locali. Essa potrebbe con­si­stere nel con­di­zio­nare il finan­zia­mento al rag­giun­gi­mento di obiet­tivi pre­cisi, misu­ra­bili e cer­ti­fi­cati e tra­sfor­man­dolo in “finan­zia­mento vero e pro­prio” in caso di obiet­tivi rag­giunti ed in “pre­stito da resti­tuire” in caso contrario.
Una redi­stri­bu­zione di lavoro e red­dito come quella trat­teg­giata con­tra­ste­rebbe le spinte alla fram­men­ta­zione ed alla con­trap­po­si­zione che il ren­zi­smo ali­menta e sfrutta, darebbe sol­lievo alle situa­zioni di mag­giore disa­gio eco­no­mico, cree­rebbe con­ver­genze tra chi sta den­tro e chi sta fuori dal mer­cato del lavoro, con­tri­bui­rebbe, quindi, ad un pro­cesso di riu­ni­fi­ca­zione del varie­gato mondo del lavoro di oggi.
Una redi­stri­bu­zione, insomma, alter­na­tiva a quella pro­po­sta dal governo che potrebbe dare un respiro nuovo ad una sini­stra del ven­tu­ne­simo secolo.

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