sabato 22 novembre 2014

L'impresa quando era responsabile. Ripensare all'Olivetti con Luciano Gallino

ADRIANO OLIVETTISe si leggono le riflessioni del grande sociologo Luciano Gallino, L'Impresa Responsabile. Intervista su Adriano Olivetti, si prova un sentimento paradossale: per quanta modernità (senso radicale di innovazione, cultura industriale, sociale, urbanistica..) ci sia stata in quello straordinario laboratorio, l'Olivetti di Adriano, se paragonata alle retoriche spesso vuote del presente.

  Editor Einaudi
Con al centro proprio quel lavoro che oggi viene considerato dal Jobs Act o dalle Convention di Confindustria più che altro una variabile dipendente quasi in toto da altri fattori: il tasso di profitto e il corso delle azioni - ci ricorda Gallino nella densissima introduzione - il "ritorno" sugli investimenti e la produttività dei concorrenti. Con l'inevitabile conseguenza che non appena uno di questi fattori vacilla, la prima opzione a cui pensa un'impresa consiste, nella maggior parte dei casi, nel tagliare i posti di lavoro. Senza avvertire alcuna responsabilità sul piano sociale anzi contando sul plauso della borsa che fa schizzare regolarmente in alto le quotazioni. In che cosa si esprimeva invece la responsabilità sociale dell'Olivetti? Anzitutto in salari elevati (pratiche vere di redistribuzione) in un'organizzazione del lavoro rispettosa della persona sulle linee di produzione, in un'assoluta stabilità dell'occupazione. Per non dire del welfare scandinavo: scuole interne di formazione, case per i dipendenti, ambulatori, asili e biblioteche. Un'impresa intesa come agente di sviluppo della comunità locale, responsabile anche nei confronti del territorio e della sua bellezza (con la promozione dei primi piani urbanistici in Italia).

Un sogno perduto nel passato? Gallino ama ricordare quante volte si è sentito obiettare che oggi non sussistono più quelle condizioni perché la globalizzazione impone vincoli in termini di competitività. E ancora che i lavoratori hanno accumulato nel trentennio del dopoguerra dei privilegi (questa è l'obiezione preferita da Gallino, la più scopertamente politica) che oggi né le imprese né lo Stato possono permettersi.
Ora è innegabile che molto sia radicalmente cambiato. Non però la produzione di ricchezza quanto invece la concezione stessa dell'impresa - spiega - le ragioni sociali della sua esistenza: condizionate come sono dalla presenza del patrimonio dei fondi comuni di investimento, fondi pensione, compagnie di assicurazione tesi a perseguire un unico scopo, far rendere al massimo i capitali loro affidati. "Proprietari globali", questi, che posseggono la metà del capitale azionario complessivo del mondo, attenti alla massima produzione di ricchezza ma senza responsabilità nei confronti del lavoro e della società.
Gallino fa un esempio che ci fa capire perfettamente i meccanismi "dell'impresa irresponsabile" che oggi va per la maggiore: se un'impresa consegue profitti del 10 per cento - poniamo - e gli investitori pretendono che essi salgano al 15 a brevissimo termine è evidente che aumentare l'investimento in ricerca, tentare nuove strategie commerciali, espandersi in nuovi paesi, diventano pratiche irreali. Si procede invece al riacquisto di azioni proprie, a qualche sorta di fusione, spesso con un massiccio ricorso al debito, al licenziamento di alcune centinaia o migliaia di dipendenti.
Certo non è detto che un esempio del passato, come è l'Olivetti, debba contenere un insegnamento. Però ci può aiutare a capire dove stiamo sbagliando. Sempre che non siamo arrivati al punto di credere - conclude - che quanto sta accadendo al mondo, alle forme di convivenza, al nostro modo di sentirci persone, non dipenda per nulla dalle scelte improntate al neoliberalismo di imprenditori e politici (che è un' ideologia non una scienza): insomma dalle "responsabilità" in campo sociale ed economico di chi quelle scelte ha operato.

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