domenica 23 novembre 2014

Ilva caos.

Mentre la Commissione Europea ha cominciato a investigare sul trasferimento al gruppo siderurgico dei 1,2 miliardi sequestrati ai Riva, con l’offerta di Arcelor-Mittal è entrata nel vivo la gara per l’acquisto dello stabilimento. Ma l’insipienza con cui si sta affrontando tutta la questione non lascia presagire nulla di buono per il futuro di Taranto.



micromega di Antonia Battaglia
E’ stata aggiornata al 21 novembre prossimo l'udienza preliminare dell’inchiesta ‘Ambiente Svenduto', processo ‘Ilva-gate’, in seguito alla decisione del GUP Vilma Gilli, che si è riservata di deliberare sulle oltre seicento richieste di costituzione di parte civile presentante alla prima udienza preliminare.

E’ di qualche giorno fa la notizia del ricorso effettuato dalla famiglia Riva in Corte di Cassazione contro il decreto del GIP di Milano Fabrizio D’Arcangelo, che ha disposto il trasferimento all’Ilva della somma di 1.2 miliardi di euro posti sotto sequestro dal Tribunale di Milano, nell'ambito dell’inchiesta per frode fiscale a carico di Emilio e Adriano Riva.

Il Commissario Straordinario dell’Ilva aveva chiesto il trasferimento delle somme per portare avanti, secondo le sue affermazioni, i lavori per la realizzazione delle urgenti prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia), ai fini dell’abbattimento dell’inquinamento.

La Commissione Europea, sollecitata da Peacelink, ha cominciato a investigare su queste somme concesse al gruppo siderurgico, che sarebbero invece dovute rimanere a garanzia anche del futuro di Taranto, e che costituiscono un pericolo potenziale per il Tribunale di Milano il quale, a procedimento penale concluso, potrebbe non recuperare quei fondi in quanto la garanzia monetaria è stata sostituita da titoli Ilva. Titoli che potrebbero perdere in futuro il loro valore iniziale, lasciando lo Stato con carta straccia tra le mani e senza nessuna possibilità di risarcimento.

Nel frattempo, sull’Ilva e dell’Ilva si sente di tutto. Si dice che il Governo starebbe cercando nel Gruppo Arvedi un’alternativa ad Arcelor-Mittal, con una partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti. Ma tecnicamente la Cassa Depositi e Prestiti non potrebbe intervenire per il salvataggio di un’azienda in deficit. Si starebbe quindi considerando la creazione di una nuova società esente da debiti e dagli oneri del pesante passato del gruppo siderurgico. Il Fondo Strategico italiano, FSI, collegato alla Cassa Depositi e Prestiti, rappresenterebbe la soluzione al problema. Esso è infatti una holding partecipata come socio di maggioranza dal Gruppo CDP e come socio di minoranza dalla Banca di Italia.

La gara per l’acquisto dello stabilimento, quindi, è entrata nel vivo, visto che pochi giorni fa Arcelor-Mittal, insieme a Marcegaglia, ha presentato l'offerta non vincolante che riconfermerebbe gli attuali livelli di occupazione, l'intenzione di investire per il rilancio della produttività e la volontà di rilevare l'Ilva nella sua interezza territoriale con Taranto, Genova e Novi Ligure.

Arcelor-Mittal chiederebbe, inoltre, la creazione di una ‘bad company’ in cui far confluire tutti i passivi e le numerose problematiche dell’Ilva.

La cordata si impegnerebbe a garantire i posti di lavoro. Ma cosa ne sarebbe dell’attuazione dell’Aia, fissata dall’ultimo decreto governativo con il Piano Ambientale?

Il futuro di Taranto sarebbe legato a quello di Piombino e di Terni, come si vocifera. Il Governo vorrebbe forse nazionalizzare la siderurgia italiana, ma per gestirla in che modo? Continuando sulla falsariga del non rispetto ambientale e della salute umana, quale fattore competitivo in grado di garantire i posti di lavoro? Appare del tutto impossibile conciliare una produzione lanciata al massimo, così come vorrebbe il gruppo Arcelor, il potenziamento del settore strategico dell’acciaio, il rilancio della produzione di Taranto con la messa a norma e le bonifiche. I fondi per realizzare le modifiche strutturali dell’Ilva arriverebbero da dove? C’è qualcosa che non torna.

Non esiste un piano nazionale di politica economica elaborato per settori produttivi, con visioni a lungo termine, che vada al di là del decreto “Sblocca Italia”, tutto incentrato sul consumo di suolo, sulla cementificazione, sullo sfruttamento selvaggio dell’ambiente. Non esistono piani di sviluppo delle diverse aree del Paese, quali il Mezzogiorno, carenti di idee e di fondi per il rilancio dell’economia, l’infrastrutturazione, la crescita sociale, culturale. Manca una politica di grande respiro, attraverso la quale poter affrontare con efficacia le problematiche specifiche delle singole aree e settori del Paese. E Taranto ne è un esempio lampante. L’insipienza e la sciatteria con le quali si sta affrontando la questione ne sono una chiara testimonianza.

Inoltre, il rinnovato pressing del Governo per far approvare in fretta il DDL 1345 sui reati ambientali mira a una veloce riforma che depotenzi il processo Ilva: la punibilità del reato in questione sarebbe affidata a regolamenti degli enti territoriali locali e il reato alla fine potrebbe anche non sussistere più se non fosse dimostrata l’alterazione irreversibile dell’ecosistema necessaria alla definizione dello stesso. Il Ministro della Giustizia, interrogato in merito alla conclusione del processo Eternit, ha affermato, inoltre, che il Governo ha già definito una nuova disciplina della prescrizione dei reati, che arriverà presto in Parlamento.

La confusione nella quale versa il Paese nasce da una concezione del Governo quale ente destinato a occuparsi, più o meno, in maniera teatrale e televisiva, delle varie questioni che di giorno in giorno si presentano e che, per loro natura (si pensi ai dissesti idrogeologici) non possono esser rinviate e posposte.

Tutto è affrontato à la carte, senza piani, senza visione. La questione Taranto meriterebbe di esser inserita in un ben diverso contesto, molto più ampio, riguardante le problematiche industriali, economiche, ambientali nazionali. Invece, tutto è lasciato all’iniziativa del giorno dopo giorno, del decreto dopo decreto, mettendo pezze a destra e a sinistra. Si vive e si governa sul momento, il selfie testimonia l’azione, un avanzare vuoto e senza meta che spreca energia e tempo senza arrivare alla radice dei problemi, che rimangono irrisolti per il futuro.

Il rilancio del Sud passa attraverso alcuni punti cardine quali energia, riconversione produttiva, cultura, ambiente, coesione sociale.

Nella società moderna, scrive Bauman, il tracollo del pensiero e della progettazione di lungo periodo, la scomparsa e l’indebolimento di strutture sociali che consentano di inserire l’individuo in un progetto più ampio, favoriscono la ‘fragilizzazione’ dei diritti e acuiscono la solitudine dei singoli individui stessi, ai quali viene chiesto di sopportare il peso intollerabile delle non-scelte operate dai governi.

(22 novembre 2014)

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