lunedì 24 novembre 2014

Elezioni Regionali Emilia Romagna. Stefano Bonaccini eletto presidente dell'Emilia Romagna, Pd perde 700mila voti . Il neogovernatore deluso per la vittoria "mutilata".

BONACCINI PRESIDENTESe Renzi da Roma sorride per le due regioni vinte, il Pd in Emilia soffre.

BONACCINI PRESIDENTE
 Non piange, perché alla fine Stefano Bonaccini (nella foto) farà il governatore e il testa a testa con il leghista Alan Fabbri (alter ego di Salvini) resterà un lampo di quando le sezioni scrutinate erano poche decine. Il Pd emiliano soffre perché in sei mesi, dalle europee di maggio, ha perso quasi due terzi dei suoi voti: da 1,2 milioni a circa 500mila. Un'emorragia spaventosa, una scissione silenziosa di tanti “compagni” che sono rimasti a casa, non hanno votato per la lista Tsipras e neppure per Sel, che era comunque alleata del partitone. Il risultato è molto al di sotto delle più nere aspettative: 37% di votanti, 30 punti in meno del 2010, l'ultima vittoria di Errani. Ancora di più se si guarda alle europee di maggio. Meno votanti che in Calabria, uno schiaffo per la tradizione emiliana, sempre in testa agli indici di partecipazione al voto, per tutto il Dopoguerra.

Per i vertici del Pd emiliano è uno tsunami, e non tanto per il rischio di delegittimazione del governatore, ma per il segnale politico lanciato da centinaia di migliaia di simpatizzanti ed elettori. Non a caso fino a oltre le due di notte non parla praticamente nessuno del Pd locale. Bonaccini arriva nel palazzo della Regione dopo le due e mezza, quando ormai la sua vittoria è chiara, ma è chiarissimo anche che si tratta di una vittoria mutilata. Lui, che è un uomo che conosce bene questo territorio, l'antifona l'aveva capita benissimo, soprattutto nelle ultime due settimane, quando era stato costretto a prendere le distanze da Renzi che pure era venuto qui per sostenerlo anche come gesto di amicizia personale: “Si vota per la Regione, non per il governo nazionale”. E ancora, rivolto al mondo legato a Cgil e Fiom: “Continueremo con la concertazione, qui il rapporto con i sindacati ha sempre dato buoni frutti”. Dalla Fiom erano arrivati messaggi espliciti di invito al boicottaggio, “Fate un regalo a Renzi, non votate Bonaccini”. L'invito è stato colto, ma sarebbe eccessivo attribuirne solo al sindacato la responsabilità.
Dopo il trionfo alle europee, con il Pd sopra il 52% in Emilia -Romagna, anche la festa dell'Unità bolognese di fine estate era stata un successo per Renzi, con un bagno di folla caloroso e un tripudio in camicia bianca insieme ai leader socialisti europei. Dopo quel momento di pace, con il leader che dal palco della festa omaggiava tutto il partito a partire da Bersani, è successo qualcosa: il Jobs Act, le manifestazioni piazza, lo scontro sempre più duro con Cgil e Fiom. E intanto in Emilia la campagna elettorale non decollava, con le primarie pasticciate, il ritiro di Richetti, il flop ai gazebo. E poi le inchieste e i verbali sulle spese pazze, 41 consiglieri indagati su 50, le carte giudiziarie che sono uscite sui giornali fino a pochi giorni prima del voto hanno gettato un'onda di discredito sulla classe dirigente regionale. E Bonaccini è stato il parafulmine di tutto questo, molto al di là delle sue responsabilità personali, visto che la sua posizione per circa 3mila euro di rimborsi regionali sarà presto archiviata.
Ma è il silenzio che parla meglio di tanti dettagli. Fino alle due mezzo del mattino del Pd non parla nessuno, tranne il deputato cuperliano Andrea De Maria che si sofferma sul “prezzo pagato a sinistra”, soprattutto per “le scelte del governo sul lavoro”. Bonaccini arriva al palazzo della Regione col volto tirato, che parla più di tante parole. La linea è quella del nazionale, “due regioni su due vinte dal centrosinistra, se era un test nazionale sul governo lo abbiamo superato molto bene”. Le percentuali, dunque. Pd sopra il 43%, il candidato al 48%, “quasi 20 punti in più del leghista Alan Fabbri”, fermo al 31%, che comunque parla di “risultato storico”. E' finita l'Emilia rossa?, chiedono i cronisti che lo assediano a Bonaccini. “Andiamoci cauti con queste analisi, nel 2012 dopo Parma molti osservatori dicevano che il M5s ci avrebbe travolti...”. E ancora: “Non è finita l'Emilia rossa, e neppure la storia di un centrosinistra radicato in questa regione. I cittadini ci chiedono uno scatto, anche nel rapporto con l'istituzione Regione che è percepita lontana”.
Il neogovernatore non ha dubbi: ”In altre regioni dopo una vicenda come le inchieste sui consiglieri avremmo rischiato di perdere, qui non è successo”. Solo alla fine, Bonaccini parla della “sofferenza di un pezzo del Pd che ha voluto dare un segnale restando a casa”, ricordando gli inviti a non votare Pd del leader Fiom Papignani. La linea è chiara: due regioni su due, (quasi) 20 punti di distacco dal principale sfidante, il leghista Fabbri. “Ora dovremo aprire una nuova stagione, adesso bisogna aprire una fase di cambiamento, abbiamo 5 anni per dimostrare di poter fare bene. Non si può essere soddisfatti di una partecipazione così bassa...”, spiega il governatore. Lo scarso risultato dei partiti dell'estrema sinistra resta comunque una consolazione: “Chi non ci ha votato non è andato più a sinistra, la lista Tsipras probabilmente non entrerà neppure in Consiglio”. Alla fine, il governatore dell'Emilia è stato scelto dal 48% del 37% di votanti: poco più del 16% degli aventi diritto al voto. Da queste parte non era mai successo. Fabbri, sindaco di Bondeno, oscurato da Salvini per tutta la campagna, arriva al palazzo della Regione dopo Bonaccini, con l'aria di chi ha fatto il botto.
La Lega Nord supera il 20%, nel 2010 si parlò di un boom per il 13%, vennero scritti molti libri su questa discesa delle camicie verdi sotto il Po. C'era ancora Bossi, e il governo Berlusconi, un'altra era geologica. Di certo, Salvini la sua sfida dentro il centrodestra l'ha vinta, con Forza Italia sotto il 9%. “Il pallone Renzi si sta sgonfiando”, twitta il leader del Carroccio. Anche Renzi twitta la sua soddisfazione.

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